Dal momento che lo sciacquone tropicale è stato riaperto, aspetto che spiova nel salone del Wild Ginger approfittandone per raccontarvi di Hilo. Nella lavatrice a gettoni stiamo lavando la biancheria usata per il lungo viaggio e, come me, altri ospiti hanno attaccato pc, tablet ed ereader alle prese intorno ai tavoli. Dalla reception arriva soffusa una musica hawaiana e io scrivo.
Secondo me, Hilo è bellissima. Fin dal primo impatto all'aeroporto internazionale, che è tutto di paglia e legno, mi sono sentita immersa in un'accogliente atmosfera tropicale, molto più asiatica che americana. Qui è tutto nuvole e fiori colorati, palme e case di legno dipinte che non superano i due piani, verande e portici, negozi che sembrano vecchie botteghe, edifici dei primi del novecento: la classica cittadina da film. È una cartolina continua, con angoli caratteristici e gente sorridente. Tutti salutano e chiacchierano in quella maniera informale e amichevole che mi ricorda ancora l'Australia. Queste isole fanno parte degli Stati Uniti solo formalmente, dal momento che già al primo sguardo si capisce quanto appartengano, invece, agli sperduti arcipelaghi del Pacifico come Polinesia, Fiji, Samoa, Tahiti: sono assolutamente le classiche isole tropicali dell'immaginario collettivo.
A Hilo piove tantissimo, ma fa parte del suo fascino ed è ciò che rende i dintorni così verdi e rigogliosi. I giardini sono pieni di piante dove dimorano uccelli colorati dai versi strani che cantano ogni mattina a squarciagola fuori dalla nostra finestra. Arrivano all'alba a dare il cambio alle piccole rane canterine che ci fanno compagnia tutta la notte.
Passeggiando per il centro storico e il lungomare, riconosco gli scorci descritti nel libro Tsunami e mi tornano in mente le storie di chi viveva in quelle case e in altre che non ci sono più, i racconti del grande maremoto del 1946, appena finita la guerra, nato da un sisma in Alaska e arrivato con furia su Hilo in appena 5 ore. Tutto ciò che ho letto in quel libro si trova tra queste vie, parchi ed edifici e viene raccontato ancora dal Pacific Tsunami Museum che vale una visita di qualche ora. Ripercorre la storia e la scienza dei maremoti di tutto il mondo con foto d'epoca, reperti, lettere, video di interviste e simulazioni interattive. È gestito da volontari e davvero ben allestito.
Dopo il museo, abbiamo attraversato il Farmers Market, il mercato che due volte a settimana riunisce i coltivatori di tutta l'isola che vendono i loro prodotti, dalla frutta al miele. Abbiamo comprato uno strano frutto che sembra alieno, il Dragon Fruit: fuori fucsia, dentro stracciatella. Il sapore ricorda una mela delicata con i semini di un kiwi. Va beh...
A piedi abbiamo continuato attraverso la città (ci hanno detto: "Non camminate troppo veloce perché finisce subito e rischiate di perdervela!") fino a Coconut Island, un isolotto nella baia di Hilo collegato a terra da un ponte pedonale.
Il Wild Ginger è in ottima posizione per girare a piedi il centro città e il lungomare. La camera è spaziosa e pulita anche se semplice; i ragazzi dello staff sono gentili e disponibili sia per dare consigli e indicazioni, sia per fare quattro chiacchiere; la colazione a buffet è spettacolare con tè e caffè a volontà insieme a vari tipi di torte, frutta fresca, il tipico riso dolce con banane, pane da tostare, marmellate e, ovviamente, burro d'arachidi. Alle 7.30 siamo sempre tra i primi a riempirci i piatti.
Ok, ora ha smesso di piovere, quindi vi lascio per andare a esplorare altre parti dell'isola. Al ritorno caricherò un nuovo album con le foto di Hilo e dintorni.
A presto!
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