martedì 17 dicembre 2013

Cold Facts

Was it a huntsman or a player
That made you pay the cost
That now assumes relaxed positions
And prostitutes your loss?

Were you tortured by your own thirst
In those pleasures that you seek
That made you Tom the curious
That makes you James the weak?


And you claim you got something going
Something you call unique
But I've seen your self-pity showing
As the tears rolled down your cheeks


Soon you know I'll leave you
And I'll never look behind
'Cos I was born for the purpose
That crucifies your mind
So con, convince your mirror
As you've always done before
Giving substance to shadows
Giving substance ever more


And you assume you got something to offer
Secrets shiny and new
But how much of you is repetition
That you didn't whisper to him too

Crucify your mind - Sixto Rodriguez

Cercate la storia incredibile di quest'uomo, guardate il film-documentario Searching for Sugar Man che ha vinto l'Oscar nel 2013 per averla raccontata. Ascoltatelo, leggete le sue parole, sono piccoli gioielli sepolti in una leggenda.

venerdì 13 dicembre 2013

Addio a una grande viaggiatrice

Ieri ho ricevuto la tragica notizia che Erin O'Connor, la mia amichetta australiana, non c'è più. Era stata investita da un pirata della strada nella notte tra sabato e domenica, ha lottato fino a ieri al Royal Melbourne Hospital, ma non ce l'ha fatta.

Piccola, tosta, sempre sorridente e generosa, aveva solo 32 anni, ma aveva già girato tutto il mondo. Era una ragazza minuta eppure fortissima che amava i viaggi avventurosi e spesso partiva da sola con uno zaino più grande di lei. Ha girato l'Europa e l'Africa, ha scalato le vette himalayane, ha attraversato a piedi la Patagonia e ovunque sia passata ha lasciato bellissimi ricordi di sé, come testimoniano le centinaia di messaggi che continuano ad arrivare sulla sua pagina facebook, ci sono persone in tutto il mondo che sentiranno la sua mancanza e io sono tra queste. 
L'ho incontrata per la prima volta nel 2007 durante il viaggio in Marocco, lo stesso che mi ha fatto conoscere la cara Alison e Nicola. Quando il viaggione del 2010 ho portato me e Sergio in Australia, Erin ha insistito per ospitarci a casa sua dove siamo rimasti per quasi una settimana. Ci ha preparato dei brownies gozzissimi e ci ha fatto conoscere il Footy perché, tra un viaggio e l'altro, faceva la fisioterapista per una squadra di AFL. Questi sono i post che parlano di quei giorni e della partita che abbiamo visto insieme allo stadio.

Aldilà della retorica che viene fuori in queste circostanze, Erin era sul serio una ragazza splendida e affettuosa che ha lasciato un vuoto enorme nella sua bella famiglia, tra i suoi amici e nella comunità dei viaggiatori "zaino in spalla". 
Non riceverò più la sua solita mail in cui chiede che progetti abbiamo per i prossimi viaggi per incontrarci somewhere in the world. Ci incontreremo da un'altra parte, Erin, per un lunghissimo e avventuroso viaggio!

sabato 19 ottobre 2013

Un piccolo favore per grandi meraviglie in pericolo

Tra le varie cose che mi ha insegnato l'Indonesia, c'è l'importanza di proteggere quell'ambiente spettacolare e pieno di vita che ho visitato nei miei viaggi laggiù. Grazie alla rete di Ecolodges di cui vi ho già parlato, ho potuto godere di queste bellezze e contribuire a difenderle. 
Purtroppo, però, la situazione peggiora continuamente. La fantastica foresta del Borneo che ho tanto amato, si riduce ogni giorno di più a causa dei bulldozer che la devastano per far spazio alle piantagioni di palma da olio. I miei bellissimi orangutan perdono la loro casa e, peggio ancora, vengono ammazzati quando si trovano sul percorso di questa mostruosa distruzione programmata. Ho letto di mamme orango che sono state uccise a colpi di machete mentre cercavano disperatamente di difendere i loro cuccioli.
Il governo indonesiano continua a vendere ettari di parchi nazionali a società straniere che spazzano via una giungla che era lì da millenni. Non ricrescerà mai più perché la palma da olio inaridisce il terreno desertificandolo, stagione dopo stagione. E' una catastrofe!
L'unico modo di fermare questo disastro è boicottare i prodotti che contengono olio di palma (peraltro di pessima qualità e tutt'altro che sano) anche se non è facile visto che è contenuto in una miriade di alimenti. Vi chiedo solo di fare un po' di attenzione alle etichette quando fate la spesa: se tra gli ingredienti trovate olio di palma oppure l'ingannevole dicitura "oli vari", evitatelo per favore.
Ecolodges Indonesia mi invia periodicamente la loro newsletter e nell'ultima c'era anche il link a questo video pubblicitario per la protezione della foresta e dei suoi abitanti. 
Se volete andare in vacanza su quelle splendide isole, fatelo tramite  Ecolodges e nel frattempo state attenti a cosa mettete nel carrello della spesa!

martedì 15 ottobre 2013

Fantasia & realtà

L'obiettivo primario di ogni mio viaggio è godermi le bellezze della natura, dai paesaggi agli animali. Seguendo le mie avventure su questo blog mi avete vista con elefanti, leoni, oranghi, macachi, ippopotami e poi ho snorkelato dalla Thailandia all'Indonesia fino alla Grande Barriera Corallina in Australia. 
Prima di poterli fotografare dal vivo, però, tutte queste meraviglie vivevano nella mie fantasticherie di bambina alimentate dai  libri e dai documentari di Piero Angela. Oggi vi regalo due disegni datati 1981 che vi mostrano com'era il mondo nella mia testa quando avevo 6 anni.
Il primo rappresenta il mare e il cielo. Notate che gli uccelli più grandi danno un passaggio ai piccoli portandoli sulla testa e i pesci hanno ovviamente delle case sul fondo del mare con i comignoli che sbuffano bolle invece che fumo. Beh, la Grande Barriera Corallina è più o meno così, no? Le balene che ho visto in Sudafrica non erano azzurre come questa, ma magari lo saranno quelle che vedrò a febbraio in Baja California. Se osservate bene, c'è anche una prova cancellata accanto alla balena ufficiale.
Il secondo disegno è famosissimo nella mia famiglia e tra gli amici come la peggior rappresentazione mai vista di un elefante (non che gli altri animali siano disegnati meglio...). Tutti quelli che l'hanno avuto tra le mani hanno riso fino alle lacrime e ridono ancora al ricordo. E' stato proprio mio papà a chiedermi: "Hai ancora quel disegno dell'elefante? Pubblicalo, così quando sono triste lo guardo e mi viene da ridere!"
Mah... a me sembra bellissimo...

domenica 22 settembre 2013

Progetti

Il 2013 è stato per la Barbuna viaggiatrice un anno un po' povero, solo l'avventura di maggio in Indonesia (comunque straordinaria!). Per l'anno prossimo, però, aspettatevi grandi cose e tanti articoli.
Per cominciare la Baja California in febbraio con le amiche, il primo viaggio solo donne di Semm de Passacc, poi due avventure con il TdC e ora vi racconto com'è nata l'idea della prima (per la seconda ci sarà un altro post.)
Io e il TdC progettavamo di iniziare l'esplorazione del Sud America dal Perù, quando ho ricevuto il numero di agosto del National Geographic con un bel reportage sui leoni e ho capito che avevo voglia di tornare in Africa.
All'inizio ho puntato l'Uganda perché volevo vedere, oltre alla savana dei leoni, anche la giungla di Tarzan e i gorilla di montagna. Sembrava meraviglioso: il fiume, il lago Vittoria con le sue isole e le misteriose montagne ricoperte di fitta foresta. Anche il volo era aveva un buon prezzo, buona la rete di trasporti interna e varie possibilità di alloggio. Sembrava tutto possibile finché abbiamo scoperto il costo degli ingressi ai parchi. Proibitivo, terrificante, discriminante! Va bene non aprire al turismo di massa che in genere finisce per devastare i luoghi più belli, ma non è neanche giusto che certe meraviglie della natura siano accessibili solo ai ricchi. Si parla di 500 dollari al giorno per visitare un parco!!!
Allora ho ripiegato sul Mozambico, più economico e citato sempre nel reportage sui leoni come uno dei pochi ambienti dove questi magnifici felini possono prosperare.
Facendo qualche ricerca su questo Paese semi sconosciuto, è venuto fuori che si tratta di una meta di tutto rispetto riguardo le bellezze naturali. Tanto per cominciare il Grande Limpopo che è appunto il parco nazionale dove si trovano i leoni e gli altri grandi mammiferi, poi la riserva marina nei pressi di Vilanculo dove si snorkela nell'Oceano Indiano in compagnia di delfini, tartarughe e squali balena (...e già il nome è un capolavoro). 
Mi sono ricordata che Hannes, il ragazzo che abbiamo conosciuto l'anno scorso in Zambia, è nato a Cape Town, ma è cresciuto proprio in Mozambico, quindi la miglior guida possibile per un viaggio del genere. Gli ho scritto e ha detto che mi manderà un paio di piani di viaggio così potremo scegliere la proposta che preferiamo. Purtroppo ci vorrà qualche tempo perché è impegnato su diversi fronti: ha da poco preso il brevetto di volo così potrà mostrare ai suoi ospiti (noi!) gli splendidi paesaggi africani anche dall'alto; poi c'è sempre il suo progetto di costruire un villaggio tradizionale sul terreno che ha comprato in Zambia con l'aiuto di volontari e donatori, un insediamento aperto ai turisti, ma soprattutto un luogo dove ospitare famiglie in difficoltà offrendo casa, scuola e cure mediche e lavoro; ha pubblicato un libro sul Sudafrica che è mezzo guida e mezzo racconto di viaggio scritto con un amico; infine dedica tutto il tempo libero che gli rimane alla sua fidanzata tedesca.
Tornando ai leoni, sappiamo che devono affrontare gli stessi problemi degli oranghi del Borneo, cioè la riduzione del loro habitat causata dall'uomo e una caccia illegale a scopo commerciale. Pericoli che minacciano questi e molti altri animali meravigliosi. 
In Sudafrica i leoni vengono anche allevati in cattività per poi finire uccisi nelle riserve private dove, pagando, i ricchi sono liberi di ammazzarli per divertimento. Certo, meglio mandare i cacciatori in questi parchi che nelle zone protette, ma è davvero necessario? Non potrebbero trovarsi un hobby meno orrendo? 
La chiamano caccia sportiva, ma io non riesco proprio a capire come inseguire un leone o un elefante a bordo di una jeep e sparargli con un fucile possa definirsi uno sport.  Di sicuro non migliora la prestanza fisica, né la salute e di certo non è una gran vittoria ammazzare un animale usando jeep e fucile perché questo è barare. È come presentarsi alle Olimpiadi su una Ferrari e azzoppare Bolt per tagliare il traguardo prima di lui, questa è una vittoria?
Dunque non c'è beneficio fisico e non c'è competizione quindi non è uno sport. Inoltre non è una necessità perché questi ricchi non ne hanno certo bisogno per sopravvivere. L'unica opzione che resta è l'inutile crudeltà. 
Questa, però, è solo la mia opinione e visto il successo di questi luna park per assassini, è forse solo mia.

Insomma i ricchi che potrebbero permettersi, al contrario di me, di visitare le meraviglie dell'Uganda, vanno invece in Sudafrica a sparare a leoni allevati per loro e comprano cuccioli di orango da tenere in salotto. Che mondo ingiusto!

sabato 3 agosto 2013

Ovunque siate diretti...

...per le vostre vacanze estive, buon viaggio e ricordatevi di inviarmi la foto de passacc!

giovedì 1 agosto 2013

La cattiveria del giorno

 A vent'anni da Countdown to Extintion, capolavoro del 1993, mi torna in mente il mio ritornello preferito dei Megadeth e mi rendo conto che Dave Mustaine è sempre stato d'accordo con me (non il contrario, notate!) e che purtroppo le cose sono rimaste le stesse. Tutto l'album è ancora attualissimo e gli stronzi siamo Mustaine ed io... Amen.

Just like the Pied Piper
Led rats through the streets
We dance like marionettes
Swaying to the Symphony ...
Of Destruction

martedì 30 luglio 2013

Il fattore ambientale

Per cominciare vi informo che Sephira è tornata sana e salva dal viaggio in autostop in giro per la Norvegia, ma non ha mai trovato una connessione internet per poter raccontare in diretta le sue avventure, lo farà sul blog delle Terroriste appena riesce quindi fateci un salto.
Ah, la Scandinavia! Mi fa sempre venire in mente il capitolo 6 del bel libro di Frank Moorhouse Delitti Satanici in cui si ripercorrono le vicende dei crimini legati ai Mayhem. Più o meno conoscevo la storia dalle riviste di musica che leggevo da ragazzina, ma non l'avevo mai sentita descrivere così bene e con tanti particolari illuminanti e inquietanti. 

mercoledì 3 luglio 2013

Viaggio (nel tempo) di una vecchia metallara

Nella mia vita di fan del rock sono stata a un discreto numero di concerti, il primo, nel 1991, è stato quello di Skid Row e L.A. Guns in quello che ai tempi si chiamava PalaTrussardi e da allora per parecchio tempo le date degli spettacoli delle mie band preferite erano per me i giorni più attesi dell'anno, come ora lo sono le date di partenza dei miei voli. Risparmiavo per i biglietti, sentivo crescere l'emozione nei giorni precedenti e dopo non volevo più tornare a casa, proprio come ora con i viaggi.
Molti dei miei idoli di allora non suonano più o i loro tour non fanno più tappa in Italia oppure sono morti, ma qualche volta capitano ancora da queste parti (quelli vivi ovviamente) e così compro un biglietto per tornare ragazzina. Sul serio, certe serate hanno il potere di farmi viaggiare nel tempo: l'atmosfera e le sensazioni che mi assalgono sono le stesse dei miei migliori ricordi e le ritrovo forti e splendide, assolutamente intatte nonostante il passare del tempo. Riconosci la tua canzone preferita dal primo accordo e non puoi impedire che ti tornino in mente e nello stomaco emozioni d'altri tempi, non puoi fare a meno di cantarla come hai fatto mille volte prima perchè è come riabbracciare un caro amico che non vedevi da tanto.
Ho dei ricordi favolosi di tanti concerti e ho conservato tutti i biglietti, alcuni anche autografati, e ho foto con alcuni di loro grazie alle band di miei amici che spesso hanno aperto spettacoli importanti permettendomi l'ingresso al backstage dove mi aggiravo con un incontenibile sorriso a caccia dei personaggi che popolavano i poster della mia cameretta.
Posso dividere i concerti della mia lista in due categorie: le serate intime (come Savatage o Fates Warning al Rainbow, come Dream Theater a Varese, come Chris Cornell al teatro romano di Verona l'anno scorso) e i grandi eventi (come Monsters of Rock e Gods of Metal, Guns n'Roses e poi Metallica con Megadeth e The Cult allo stadio di Torino, Dream Theater e poi Pearl Jam al Forum di Assago... basta con gli esempi che poi mi commuovo).
All'elenco dei grandi eventi ora posso aggiungere Bon Jovi a San Siro che è stato sabato sera. Il nostro amico Jon ha festeggiato 30 anni di carriera eppure è rimasto lo stesso americanaccio tamarro del primo album ed è proprio per questo che io e altri 50mila abbiamo voluto vederlo.
Prima due appunti negativi: mancava Sambora e mancava parecchio, non tanto alla chitarra perchè a quei livelli i sostituti sono veri professionisti, ma mancava come perfetta spalla di Jon sia nei cori che nell'interazione durante lo show; il secondo appunto riguarda la scaletta che inevitabilmente contava tante, troppe, canzoni nuove che onestamente da It's my life in poi sono calate rovinosamente di qualità e infatti il pubblico le ha lasciate passare senza infamia né gloria (tranne una, ma lo racconto dopo).
Ora veniamo alle cose belle che son state davvero mooolto belle. Tanto per cominciare una scenografia spettacolare come non ne vedevo da tanto, guardate che palco nella foto che ha fatto la Nico!
C'erano 50 mila persone pronte ad esplodere per quelle canzoni storiche che dalle prime note facevano saltare tutto lo stadio. Jon è stato grandioso come ce l'aspettavamo, senza Sambora lo spettacolo era tutto sulle sue spalle, ma è riuscito a tenerci tutti per la gola e per mano, una vera rockstar. Devo ammettere che all'inizio non avevo grandi aspettative considerato che il ragazzo ha da poco compiuto 51 anni, ma dopo essersi scaldato con i primi pezzi si è acceso in tutto il suo splendore cantando benissimo per più di tre ore, ballando, suonando, coinvolgendo tutti con il suo atteggiamento da supereroe della musica (mica a caso il vecchio tatuaggio di Superman sulla spalla e il giacchino di Capitan America che ovviamente quel nerd di mio fratello gli ha invidiato). I vecchi pezzi più famosi sono stati accolti da boati di folla straordinari e tutto lo stadio saltava insieme e io saltavo avanti e indietro nel tempo ubriaca di soddisfazione.

L'unico pezzo nuovo di cui vale la pena raccontarvi è quello che da il titolo al tour, Because we can (obamissimo!), perchè quando hanno iniziato a suonarlo è apparsa sugli spalti la coreografia organizzata dal fan club italiano: il pubblico del terzo anello ha composto con bandierine bianche e blu la scritta Bon Jovi forever mentre dalla balconata pendevano striscioni con le date importanti dei 30 anni trascorsi dal primo singolo della band, sotto di loro bandierine bianche e rosse a comporre con quelle più in alto una sorta di bandiera americana e infine noi nel prato con migliaia di bandiere italiane. Davanti a questa dimostrazione d'amore, il nostro amico Jon si è commosso e ha sbagliato l'attacco della strofa, così ha chiesto ai compagni di fermarsi un attimo, ha ammirato la scena e ringraziato il pubblico con la mano sul cuore senza nascondere la lacrimuccia (da buon terrone ha fatto la sceneggiata!) e ha poi ripreso la canzone dall'inizio. È il re! 
Recitato o meno, è stato un grande spettacolo, quello per cui abbiamo comprato il biglietto. La rockstar ha fatto perfettamente il suo lavoro e, a differenza di altri, l'ha sempre fatto seriamente. Aldilà del talento per lo spettacolo, Jon Bon Jovi è stato negli anni un furbo e oculato imprenditore, si è costruito un impero (lui da solo è più ricco dei quattro Metallica sommati) investendo nella sua band e in altre che ha tirato fuori dal cilindro come Skid Row, Cinderella e Tesla. Gente che cantava e suonava meglio di lui non ha raggiunto o mantenuto lo stesso successo, dipende da come giochi le tue carte e Jon ha saputo farlo al meglio. Sarà il sangue italiano: popolo di santi, poeti e truffatori! Dunque, anche se non era il mio preferito in assoluto, è tutt'altro che uno sprovveduto e se sul palco fa il supereroe è perchè in fondo se lo può permettere. Respect!

Lo sguardo che dai mega schermi puntava su ognuno di noi era quello dei miei vecchi poster e mentre molti suoi colleghi coetanei sono ormai dei rottami, Jon è ancora un bellissimo uomo con quegli occhi blu luminosi tra le rughe, un sorriso da cinema e quando più tardi si è tolto la giacca restando in canotta non mi aspettavo il fisico tonico che ha mostrato.
Il momento migliore della serata, per me, è stata Livin' on a prayer. La prima strofa suonata in versione acustica ci aveva ingannato perchè poi è entrata la batteria ed ecco il classicone che tutti attendevamo. Al primo ritornello è venuto giù lo stadio, sul serio, l'ultima volta che ho sentito un boato del genere a San Siro era per Van Basten (che stava in un altro poster) e avevo la pelle d'oca. Che meraviglia!!
Lo so, non potete capire se non avete avuto i vent'anni che avevo io, ma fidatevi: tutti quei concerti indimenticabili son momenti per cui vale la pena pagare, mangiare panini in piedi, fare ore di coda, passare la notte in treno, prendersi degli spintoni, trattenere la pipì, arrostire sotto il sole o infradiciarsi di pioggia, perdere il sonno, percorrere chilometri, sporcarsi. L'ho fatto per essere ripagata dallo spettacolo di artisti che suonano con passione infinita e lo faccio ancora quando viaggio per esser ripagata dallo spettacolo della natura. Non mi fermo davanti a niente per qualche momento di pura e semplice felicità.
A Jon e al resto della band ancora massimo rispetto e tutta la mia gratitudine per questo straordinario viaggio nel tempo.

mercoledì 26 giugno 2013

Donne in viaggio, libri e fumetti

Ecco come la magia del viaggio mi salva ancora una volta dal grigiore quotidiano: mi basta cominciare a progettare che già mi sento meglio anche se la partenza è lontanissima cioè febbraio 2014. 
Tutto nasce da un libro, come spesso mi accade, e questa volta si tratta di Le balene lo sanno di Pino Cacucci che mi regalò Marzia un compleanno di qualche anno fa forse senza sapere quanto mi avrebbe ossessionato il luogo di cui parla ossia la Baja California Sur.

sabato 8 giugno 2013

La mia valigia

Robert Falcon Scott, uno dei miei eroi di sempre, ripeteva spesso che il peggio di una spedizione era passato una volta terminati i preparativi. Non parliamo della fase di ricerca, sogno, pianificazione e aspettativa che per quanto mi riguarda è emozionante quanto il viaggio (e su questo argomento tornerò presto per progettare insieme a voi le avventure del prossimo anno), piuttosto del lato pratico ossia l'equipaggiamento. 

domenica 2 giugno 2013

Riassunto di Sumatra

Ed ecco la seconda parte del viaggio con il commento finale del TdC che non si smentisce mai, ma a noi piace così.

e una mappa per orientarvi tra il 2010 e oggi



sabato 1 giugno 2013

Riassunto del Borneo

Com'è ormai tradizione dopo ogni viaggio, vi riassumo l'avventura in musica. Ho aggiunto diverse foto che non sono negli album e nel finale un saluto da una guida speciale. Intanto preparo quello di Sumatra.
Buona visione con il Kalimantan di Barbuna Jones e TdC!

E una mappa dell'isola


lunedì 27 maggio 2013

Sempre di passaggio...

I vestiti zozzi di avventura girano nella lavatrice come i pensieri mi girano in testa alla fine di ogni viaggio. Mi viene un po' di nausea da rientro, tipo quella che colpisce più o meno tutti di lunedì quando devi tornare al lavoro (per questo ho preso un giorno in più di ferie: almeno evito un lunedì), ma più forte perché non sono stata via solo un weekend e perché faccio sempre fatica a staccarmi dall'atmosfera del viaggio per tornare alla solita vita trascorsa in attesa di partire ancora. L'unica cosa bella del ritorno è riabbracciare (metaforicamente perché  non sono troppo espansiva con la gente) famiglia e amici, cinque minuti dopo mi viene da vomitare per la malinconia. Forse, semplicemente, non dovrei fissare a lungo l'oblò della lavatrice che c'ho lo stomaco sensibile!
Ho già cominciato a fantasticare sulle prossime mete, ma ve ne parlerò poi quando inizierò le ricerche del caso, così vi renderò partecipi dall'idea iniziale al viaggio compiuto. Nel frattempo approfitto del ritorno alla buona connessione casalinga per caricare il video del TdC che fa lo shampoo all'elefantessa.
Lancio anche un'idea che mi è venuta mentre ero via, forse dettata dagli effetti collaterali del Lariam (ah, questa volta ho sognato che Alice Cooper voleva uccidermi e c'era Chuck Norris che doveva salvarmi e ci nascondevamo in uno di quei motel americani che nei film sorgono lungo strade sterrate del Texas. Non avrò la malaria, ma sto impazzendo lentamente...). L'idea è che potreste mandarmi via mail le vostre foto a tema "Semm de Passacc" tipo quella che ho fatto in Australia e che è la copertina di questo blog: scrivetelo sulla sabbia, con i sassi, con i fagioli, con i lego, come vi pare e mandatemi la foto che poi le metto insieme con movie maker e pubblico lo show sul blog. Stupitemi! 
In cambio io cercherò di scrivere più spesso, anche quando non sono in viaggio perché so che vi piace leggermi, anche se quando sono a casa mi dedico soprattutto alle decine di racconti incompiuti dai quali forse un giorno uscirà il romanzo del mio successo.
Adesso devo andare a guardare la centrifuga e poi stenderò approfittando di questa giornata di sole (siamo praticamente a giugno e fa freddo che pare novembre!), magari pomeriggio carico altre foto così Diego, che è  tenuto prigioniero dal sistema sanitario italiano, si svaga un po' in attesa che un dottore zoppo e drogato gli  riveli la causa dei suoi disturbi. Prova con il Lariam!



venerdì 24 maggio 2013

Piccole cose

Dal mio ufficio nel giardino del lodge vi scrivo gli ultimi pensierini su questa vacanza, aneddoti forse poco importanti, ma che voglio ricordare tra qualche anno quando verrò a rileggere queste righe e avrò dimenticato certi particolari.
In questi piccoli villaggi, anche se ci si trova alle porte di un parco nazionale che dovrebbe attrarre i turisti, quasi nessuno parla inglese, dobbiamo quindi ringraziare Ponco per le dieci parole di Bahasa che ci ha insegnato perché mescolandole in qualche modo riusciamo sempre a farci capire e ad essere gentili.
Non va usato però con la polizia. La mattina in cui siamo partiti per Canti, siamo stati fermati da due poliziotti ad un posto di blocco per un normale controllo e, mentre Driver accostava, Hari ci ha ordinato: “Non parlate indonesiano!”. Dopo aver guardato i documenti di tutti e quattro ci hanno lasciati andare e Hari ci ha spiegato che i poliziotti qui non parlano inglese così ce la siamo cavata senza domande, mica come a Bali che abbiamo perso mezza mattina in chiacchiere con tre poliziotti annoiati!
Il manager dell'ecolodge sembra evitarci, ogni volta che abbiamo bisogno di lui per avere qualche informazione ci dirigiamo alla reception giusto in tempo per vederlo allontanarsi in motorino. Intercettarlo è un'impresa così quando ci riusciamo lo seppelliamo con tutte le domande arretrate e forse lui ci odia.
Sul tabellone degli avvistamenti di fauna selvatica è segnato cobra sputatore e io mi sono immaginata la scena del serpente che sputa a Sergio e lui, da buon terrone, lo stende con una testata.
I Kacang sono palline di tapioca, arachidi, aglio che sembrano piccole uova e vengono vendute in sacchetti come le noccioline. Le abbiamo scoperte in Borneo e ora il TdC ne va matto e ne ha comprate anche da portare a casa.
Tra gli alberi intorno alla nostra stanza vive una coppia di scoiattolini neri che si prendono gioco dei gatti di passaggio scappando velocissimi tra i rami e sui tetti dei bungalow e facendo versetti che sembrano davvero risate.
Al Centro Elefanti c'era una famiglia di turisti locali che ha insistito per farci apparire nelle loro foto, come se fossimo un'attrazione o dei vip solo perché veniamo da lontano; invece nei negozietti del villaggio i bambini piccoli sono terrorizzati da Sergio mentre quelli un po' più grandi ci salutano e ripetono orgogliosi le quattro frasi in inglese che hanno imparato a scuola, come a Flores l'anno scorso.
Beh, poi ci sono ovviamente un sacco di altre piccole cose che  non ho scritto e che mi verranno in mente quando ve le racconterò di persona oppure tra un anno senza un vero motivo perchè è così che funzionano i ricordi: vengono ad abitare nella tua testa e poi fanno quello che gli pare.

Un giorno al Way Kambas

Bina la sensibile
Ieri mattina abbiamo avuto il permesso di visitare il centro per la protezione dei rinoceronti di Sumatra, un'area normalmente chiusa al pubblico in cui le persone che lavorano al progetto cercano di far aumentare la popolazione di questo mammifero quasi estinto. Ci siamo andati con il manager dell'ecolodge perché Hari non stava molto bene da quando siamo stati al Krakatoa.
All'ingresso del centro ci ha accolti un piccolo ometto con gli occhiali che ci ha spiegato per filo e per segno come si lavora alla salvaguardia dei rinoceronti. Mi ha fatto un'ottima impressione, molto professionale ed evidentemente appassionato al suo lavoro che non è per nulla semplice. Gentile e sorridente ci ha raccontato che al centro vivono al momento cinque rinoceronti provenienti da zoo e parchi safari di varie nazioni ai quali erano stati venduti dal governo o catturati illegalmente, ora riportati al loro habitat naturale al quale il progetto spera di poterli riabituare, al punto di riprodursi in libertà. Circa altri venti rinoceronti vivono nel parco, protetti e seguiti dai ricercatori e dai ranger del progetto, mentre la popolazione totale sull'intera isola di Sumatra conta solo duecento esemplari. Non è facile accrescerne il numero perché i rinoceronti sono animali molto sensibili e basta poco a farli ammalare o a impedire l'accoppiamento, in un anno è nato un solo cucciolo e si pensa di ricorrere all'inseminazione artificiale per scongiurare la scomparsa della specie.

mercoledì 22 maggio 2013

Missione foto n.2

Al Krakatoa con la maglia di Stromboli! (indossata solo il tempo di scattare la foto perché nera e a maniche lunghe)

Grazie a tutti per i commenti, è bello condividere con voi le nostre avventure e chi non ha ancora scritto non sia timido che siam tra amici!

Il diavolo alle quattro...

...e mezzo di mattina, l'ora in cui siamo partiti dall'ecolodge per questa escursione con Hari e il giovane autista di cui non ricordo mai il nome, quindi lo chiameremo Driver.
La notte è stata un po' agitata per il caldo, per troppi buoni caffè e per l'arrivo in serata al lodge di una rumorosa compagnia di motociclisti, una spedizione chiamata “Ring of Fire” che sta girando l'Indonesia, quindi alla partenza eravamo piuttosto rincoglioniti. Per raggiungere il porto di Canti da cui partono le barche per la riserva naturale del Krakatoa ci vogliono più di tre ore d'auto da dove ci troviamo e poi da lì sono due ore e mezza in mare se si va con una barca da pesca come la nostra, ci vuole un po' meno tempo e molti più soldi noleggiando un motoscafo. Abbiamo fatto colazione sul tetto della barca navigando tra i numerosi isolotti dello Stretto della Sonda che separa Sumatra da Giava. Superate diverse isole con belle spiagge e con un mare un po' mosso che ci ha tenuti tutti all'aperto perché con l'aria si soffre meno, si cominciava a intravedere la sagoma della nostra meta nella foschia dell'afa equatoriale.
La storia del Krakatoa è raccontata benissimo in una puntata di Ulisse in cui i mitici Piero e Alberto Angela sono aiutati nella narrazione da un'ottima ricostruzione dei fatti dell'epoca sotto forma di film, ma fin da bambina questo è stato il mio vulcano preferito perché già il suo nome mi metteva paura evocando il suono della crosta terrestre che si spacca per far uscire la terribile lava incandescente che era uno dei miei incubi peggiori. Creazione e distruzione insieme, catastrofe planetaria scatenata da una bella isola tropicale... che fascino!
Ora vi spiego un po' in breve: c'è una caldera sottomarina del diametro di circa 7 km che con le sue continue eruzioni di roccia e materiale magmatico ha formato nei secoli una grossa isola con tre coni vulcanici e uno di questi era il monte Krakatoa. Nell'agosto del 1883 l'intera isola è esplosa in una spettacolare eruzione che ha avuto conseguenze su tutto il pianeta. Dell'isola originale è rimasta una parte del monte Krakatoa e due isolotti allungati lungo la circonferenza della caldera. Dal 1925 circa, nel mezzo del vuoto lasciato dall'esplosione, una nuova isola è spuntata crescendo al ritmo di 10 metri all'anno ed è stata chiamata Anak Krakatau che significa appunto figlio del Krakatoa. Il figlioletto, oltre a crescere con un velocità impressionante, è parecchio vivace, infatti, mentre i resti del monte padre sono inattivi e ricoperti di una verdissima vegetazione, Anak Krakatau ha già eruttato diverse volte, l'ultima a settembre 2012 e nelle foto potete vedere la quantità di nuova terra che hanno prodotto i suoi ultimi colpi di tosse. La vegetazione è  quindi ridotta ad una striscia lungo la spiaggia perché viene continuamente distrutta dall'attività del pargoletto.
Più ci avviciniamo all'isola e più diventano chiare le fumarole sul camino principale e il grosso pennacchio di fumo che si leva dalla cima come da un'enorme nave a vapore. Sulla spiaggia c'è una casetta di legno che ospita i guardiani della riserva, questi non sono i sismologi che monitorano la situazione geologica della caldera, ma sono semplici guardie che vigilano sulla pesca illegale. I pescatori usano perfino l'esplosivo e il corallo delle barriere va in frantumi dopo aver impiegato migliaia di anni a crescere insieme a tutte le creature che ci vivono dentro e intorno. Con due di loro, ragazzini che parevano quindicenni, Hari e Driver siamo saliti per un sentiero che porta a circa metà altezza del vulcano perché non è prudente andare oltre, ma già arrivare fin lì sotto il sole di mezzogiorno (perché siamo i...) affondando i passi nella cenere nera e bollente lungo un pendio sempre più ripido, è un'impresa che mette a dura prova. Io sono arrivata a fatica, fermandomi due volte a riprendere fiato e bere. Si passa tra le rocce sparate fuori dal vulcano che lasciano grossi crateri lungo il fianco della montagna, alcune sono enormi e sono state lanciate con una tale forza da rimanere incastrate nel terreno come... come una catapulta! direbbe il nostro Pino Cammino che ha visto tutto.
Arrivati alla fine del sentiero si gode di una splendida vista sul cono principale, sulla caldera e le isole intorno, si vedono bene le fumarole verso la cima e si è circondati da rocce di ogni forma, grandezza e colore. Grossi pezzi di zolfo spaccati dalla violenza con cui sono impattati al suolo dopo essere stati scagliati in aria insieme alle pietre pomici e a pesanti rocce provenienti dagli strati profondi del pianeta. Camminare nella cenere mi ha ricordato la spettacolare salita serale a Stromboli, se vi capita andateci perché è un'esperienza indimenticabile.
Scesi dal monte, Sergio si è rinfrescato facendo il bagno tra le onde trasparenti che si allungano sulla sabbia nera, una nuotata in mezzo alla caldera. Verso la fine della spiaggia c'è un nido di tartaruga marina, il primo sull'Anak Krakatau e i guardiani l'hanno protetto dai predatori costruendo un piccolo recinto intorno alle uova, un cartello indica la data di deposizione così sanno quando togliere il recinto per lasciar andare le tartarughine al mare.
Abbiamo pranzato sulla spiaggia e poi siamo saliti di nuovo in barca per il lungo viaggio di ritorno. Prima di fare rotta su Canti, però, abbiamo fatto un giro intorno all'isola così abbiamo potuto osservare l'impressionante quantità di nuovo materiale eruttato l'anno scorso sull'altro versante rispetto al sentiero fatto a piedi. Dal mare la vista è sconvolgente, ma le foto qui non rendono l'idea.
Sono strafelice di aver finalmente incontrato Krakatoa e Anak Krakatau, è un sogno dell'infanzia che si avvera e fa niente se Sergio voleva buttarmi giù dalla barca maledicendomi per le dodici ore di viaggio che  ci siam sorbiti tra andata e ritorno per passare tre ore su un'isola pericolosa.
La vostra avventurosa National GeoBarbi è soddisfatta!

P.s. Abbiamo finalmente ottenuto il permesso di visitare il santuario dei rinoceronti, domani si va!
P.p.s. Riguardate gli album fotografici dei giorni scorsi perché ho aggiunto nuove foto, li trovate tutti nel link a destra photo de passacc.

lunedì 20 maggio 2013

Animali notturni e giovani alberi


La passeggiata notturna è stata emozionante. Il parco era già chiuso, ma un dipendente con le chiavi dei vari cancelli e sbarre disseminati lungo le strade carrozzabili, è venuto con noi, praticamente il parco nazionale era tutto nostro e cominciava a far buio. Abbiamo percorso alcuni tratti a piedi e altri in auto, intanto pensavo a come sarebbe stato avvistare una delle poche tigri rimaste, meno di trenta, aggirarsi tra gli alberi con il suo passo elegante. Purtroppo niente tigre, ma comunque eravamo in casa sua e altri animali si sono fatti osservare. Abbiamo visto, con il cannocchiale e la potente torcia di Hari, i grossi Siamang mettersi comodi a dormire sugli alberi più alti e poi, quando si è fatto più buio, un pipistrellino, un enorme scoiattolo volante aggrappato ad un tronco e uno più piccolo che ha volato sopra di noi da un albero a un altro, un felino che in inglese si chiama leopard cat, ma non so a cosa corrisponda in italiano, comunque è come il leopardo, ma più piccolo. La foresta di notte ha un fascino tutto particolare ed è stato bello esplorarla con le torce fantasticando su ogni movimento e fruscio e verso tra la vegetazione. Usciti dal parco abbiamo proseguito per un po' a piedi tra i campi per cercare di avvistare un animaletto notturno molto strano: il lori lento, con i suoi occhi giganti e siamo stati fortunati come potete vedere dalle poche foto che sono riuscita a scattare.
Siamo rientrati al lodge alle nove passate e le signore della cucina ci avevano aspettato per la cena. È curioso come ci servano ai pasti: una è addetta a reggere il vassoio e l'altra prende dal vassoio una cosa per volta e la posa sul tavolo. Qui si mangia benissimo e ci sono anche diversi piatti vegan per i nostri amici strani, come delle polpette di tofu e semini, tofu fritto con verdure piccantissime, verdure in brodo piccantissimo, germogli di soia con aglio e altre verdure piccantissime, zuppa vegetale piccantissima e anche in Kalimantan abbiamo mangiato zuppe favolose di mais, funghi e qualcosa simile alla cipolla però meno piccanti che qui.
Stamattina siamo andati con Hari a visitare il luogo dove con alcuni amici ha cominciato da un anno un progetto di riforestazione ispirandosi al lavoro svolto a Pesalat. Hanno fondato una piccola associazione che si chiama Alert con alcuni ranger del parco e altri amici dei villaggi vicini e hanno trovato sostegno da un'associazione australiana e una americana che si occupano di salvaguardia ambientale. Per raggiungere quella zona abbiamo passato un'ora sul mezzaccio fuoristrada su piste terribili invase dall'erba e da profonde pozze lasciate dalle piogge e Sergio è stato sul tetto insieme ad un ranger mentre io sono rimasta dentro con Hari e un altro ranger del progetto, è stato come sulle montagne russe, ma con in più gli schizzi di fango.
Hari e i suoi amici hanno costruito una casetta-quartier generale in una zona del parco che era stata distrutta da un incendio e da lì hanno cominciato a piantare nuovi alberi scegliendoli tra quelli più resistenti al fuoco, cioè che germogliano di nuovo dopo un incendio e quelli preferiti da scimmie ed elefanti perché vogliono che gli animali riprendano possesso dell'area. Questi ragazzi hanno costruito torrette di osservazione e tre volontari in turni di tre giorni vigilano sull'area restando a dormire nella casetta per proteggere il loro lavoro. Gli incendi sono causati soprattutto dai pescatori di frodo che si accampano lungo il fiume e poi lasciano accesi i fuochi su cui cucinano, altre volte sono roghi accidentali, ma comunque i ragazzi hanno questo fuoristrada attrezzato per spegnere i fuochi e appena avvistano qualcosa dalla torretta intervengono.  Quando una persona ama quello che fa, sa trasmettere la sua passione agli altri come Hari si illumina raccontandoci di questo progetto e di tutte le idee che ha per migliorarlo e ingrandirlo. Abbiamo piantato due alberi e lasciato un'offerta per dieci, a noi costa pochissimo, ma per la foresta è un aiuto importante e questi ragazzi stanno facendo un grande lavoro.
Al lodge eravamo soli quando siamo arrivati giovedì scorso, poi sono arrivati dei francesi anzianotti e super equipaggiati per le foto, ma non si vedono quasi mai perché partono all'alba per le loro gite e poi dormono il resto del giorno. Oggi sono arrivati anche due ragazzi americani, uno vive a Sumatra ovest e l'altro è in visita, sono molto simpatici, ma si fermeranno solo un paio di giorni e noi domani partiremo prima delle 5 del mattino per andare al Krakatoa! Yuppiiiii!
Qui le foto della passeggiata e del progetto Alert.

domenica 19 maggio 2013

Un elefante si dondolava...

Stamattina abbiamo visitato l'Elephant Center che si trova sempre all'interno del parco nazionale. Abbiamo portato con noi tanti pezzi di canna da zucchero raccolta nel giardino del lodge perché gli elefanti ne sono golosi, infatti quando i proprietari del lodge l'avevano piantata al di fuori delle mura del giardino, gli elefanti selvatici venivano a rubarla, ora le piante si trovano entro le mura, ma adesso sono io la minaccia! La canna da zucchero è buonissima, mi ricorda quando la compravamo spremuta in Cambogia per rinfrescarci dai giri in bici.

sabato 18 maggio 2013

Primi giorni a Sumatra

Il 16 maggio eravamo la mattina in Borneo e il pomeriggio a Sumatra, atterrati all'aeroporto di Bandar Lampung sotto la solita pioggia. In questi piccoli scali non ci sono navette dagli aerei al terminal, quindi alcuni omini distribuivano ombrelli ai passeggeri per ripararci fino al ritiro bagagli. Agli arrivi però non c'era nessuno dell'ecolodge Satwa ad accoglierci, così il TdC è andato al banco informazioni per telefonare. Un errore di comunicazione tra la sede di Bali che gestisce le prenotazioni e Satwa ci ha lasciati abbandonati in aeroporto spaventati da chi ci diceva per raggiungere il Parco Nazionale Way Kambas dove si trova il lodge ci volevano quattro ore d'auto: erano le 5 e qui alle 6 è praticamente notte fonda. Il taxi inviatoci da Satwa, invece, ne ha impiegate solo due così siamo arrivati per cena con il manager che non finiva più di scusarsi. Sembra un caso che ogni volta che arriviamo a Sumatra sia con il buio così dobbiamo aspettare il mattino per guardarci intorno e capire dove siamo finiti.

Missione foto n.1


Come scommesso con il mio fratellino, ecco la foto del TdC sulla panchina degli oranghi (forse proprio la stessa!) come sul National Geographic. Dieci euro?


venerdì 17 maggio 2013

Diario dal Borneo

La vostra attesa è finita: oggi abbiamo una connessione internet e vi regaliamo il racconto della settimana trascorsa in Borneo e in fondo il link a un po' di foto. Buona lettura!



giovedì 9 maggio 2013

Noi si va...

Oggi pomeriggio finalmente prenderemo il volo da Malpensa. Non importa se le previsioni meteo danno pioggia per i giorni in cui dormiremo in tenda, non importa se ho dimenticato di mettere qualcosa in valigia, non importa se devo digiunare fino al decollo se no vomito, non importa se durante la mia assenza Sté dimenticherà di bagnare i pomodori, non importa se fare la ceretta è peggio che andare dal dentista, non importa se avrò gli incubi da Lariam... si parte! Evviva!
Pensate che ormai per me sia routine prendere un aereo e andare a infangarmi lontanissimo, invece sono sempre emozionata come una bambina al compleanno, sono così felice che amici e familiari non possono fare a meno di essere contenti per me e mi chiedono di scrivere e fare tante foto per condividere i miei viaggi con loro (tranne Altea che pensa sempre che mi rapiranno e mi taglieranno la gola). Con il fedele eeeepc e la bella Nikon regalo di Sergio preparerò gli articoli e gli album fotografici, ma li vedrete pubblicati, forse più di uno alla volta, solo quando e se troverò una connessione internet. Abbiate pazienza, è il prezzo dell'avventura.
E' come cominciare a leggere un nuovo libro: incontrerò personaggi incredibili, visiterò luoghi sconosciuti, ci saranno avventurosi colpi di scena, pensieri futili e profondi, fastidiosi imprevisti e momenti splendidi che mi ripagano di tutto. Quei momenti valgono fatica e scomodità, valgono ogni centesimo risparmiato rinunciando a vestiti, scarpe, serate fuori e tutte quelle cose che per me non contano quanto l'esperienza di un viaggio. Per quei momenti continuo a partire e per voi continuo a raccontare.
Au revoir!

martedì 30 aprile 2013

Hey hey hey, na na na na

Meno di dieci giorni alla partenza (per rispolverare l'itinerario leggete qui) e mi son venuti un po' di pensieri.

Abitiamo un piccolo pianeta frutto di fortunatissime coincidenze, praticamente abbiamo vinto alla lotteria cosmica. Siamo protetti da una sottile atmosfera che permette la vita e da un campo magnetico che devia i mortali venti solari, ci troviamo alla giusta distanza dal sole perché l'acqua mantenga lo stato liquido e un sacco di altre belle cose.

L'universo là fuori è un luogo estremamente violento e noi siamo terribilmente fragili. Se ti teletrasportassi su un pianeta alieno non avresti nemmeno il tempo di bestemmiare, prima di essere polverizzato. Stelle lontane potrebbero morire da un momento all'altro e non lo sapremmo perché il cielo che osserviamo è il passato, la luce che vediamo ha impiegato migliaia di anni ad arrivare ai nostri occhi, dunque il luogo da cui è partita potrebbe già non esistere più. Una stella che esplodesse a un milione di anni luce da noi potrebbe colpirci, e se una scarica di raggi gamma ci investisse (no, non diventeremmo tutti Hulk) spezzerebbe la barriera di ozono che protegge il nostro pianeta dalle radiazioni solari e friggeremmo come patatine.

Passeggiamo sul filo del rasoio sorretti da uno straordinario equilibrio di forze, ma l'uomo è in grado di modificare anche una sola delle condizioni che consentono la vita, anche di una misura infinitesimale, provocando un disastro planetario. Siamo una razza di sciagurati e al tempo stesso dovremmo avere l'intelligenza di capirlo.

La natura ha i suoi cicli, i suoi modi di riparare ciò che si rompe o che non funziona, muta, si evolve, si rigenera e cancellerà anche noi che non siamo altro che un istante nelle ere geologiche, ha le sue leggi, superiori alle nostre, precise e infallibili. Riuscirà anche a digerire i danni che le arrechiamo, ma ci sono cose che abbiamo distrutto per sempre, per esempio non rinasceranno gli animali che abbiamo sterminato fino all'estinzione.

La natura, però, ha generato anche noi, quindi non possiamo essere un errore nonostante ci comportiamo da figli ingrati. Non riesco ancora a capire il nostro ruolo nel quadro generale.

Me: “Scusi Signora Natura, perché ha creato gli esseri umani?”

Natura: “All'inizio mi sembravano carini.”

Me: “E poi?”

Natura: “Guardi, ho provato di tutto: la peste, gli uragani, il Vesuvio... ma se ti distrai un attimo son sette miliardi, manco i bacherozzi! La prossima volta provo con gli zombi...”

Ormai siamo diventati troppi perché il pianeta sopporti il nostro modo di vivere, quindi, in un modo o nell'altro, ci estingueremo, che si tratti di una catastrofe naturale, di una malattia o dell'esaurimento delle risorse, non possiamo durare ancora molto in queste condizioni.

La Terra è la nostra casa. Per secoli e secoli l'abbiamo sporcata, consumata e rovinata. Ora che sta cadendo a pezzi sotto i nostri occhi siamo di fronte a una scelta: ristrutturarla o cercarne una nuova.

Ristrutturarla implica parecchio lavoro e la collaborazione di sette miliardi di inquilini. Ognuno dovrebbe spolverare, riparare, pulire e mantenere in buone condizioni la propria stanza perché la ristrutturazione funzioni, ma tutto questo comporta un impegno che la pigra umanità non ha voglia di assumersi.

L'alternativa di cercare una nuova casa, d'altra parte, è troppo costosa. Non possiamo permetterci viaggi interstellari per tutti, non solo economicamente, ma non siamo pronti nemmeno a livello tecnologico, e non sapremmo nemmeno dove dirigerci di preciso. Colonizzare altri pianeti è fuori dalla nostra portata e, onestamente, non penso nemmeno che lo meritiamo.

Se la vita di un uomo durasse duecento anni, questo curerebbe l'ambiente per se stesso. Invece è egoista verso le future generazioni. A nessuno importa dei figli e dei nipoti che erediteranno un mondo sempre più povero e sporco, all'uomo importa solo di godersi la sua breve vita. Questo è il risultato: non puoi bere l'acqua del fiume perché è inquinata, non puoi mangiare un frutto senza lavare via i pesticidi, non puoi vedere le stelle se vivi in città, non puoi giocare per strada, non puoi camminare scalzo.

Poi c'è la nostra prerogativa migliore: la guerra. Fondamentalmente è una boiata, anche se nella storia ha fatto progredire la tecnologia più di ogni altra motivazione, tutto ciò che è stato inventato a scopi militari ha poi trovato utilissime applicazioni nel quotidiano, ma serve per forza una guerra per farci aguzzare l'ingegno? Dovrebbe bastare una sana sfida, tipo a chi arriva primo sulla Luna o chi diventa indipendente dal petrolio prima degli altri, con lodi al vincitore e condivisione dei vantaggi con il vinto. Perché siamo, invece, così stronzi? A parte le ovvietà per cui i conflitti fanno vittime innocenti, impoveriscono i popoli e ingrassano i ricchi e tutte le altre belle parole, non mi viene davvero in mente una guerra giust. Ci scontriamo per ignoranti rivalità, ognuno vuole prevalere sull'altro e dimostrare che la sua bomba è più potente, la sua religione più giusta, il suo portafoglio più gonfio, la sua maglietta più bella e piscia più lontano. Infine, ma non meno importante dal mio egoistico punto di vista, a causa delle guerre io non posso viaggiare in un sacco di Paesi che vorrei visitare.

Oh siam proprio una bella razza! La razza superiore, quella intelligente! È davvero intelligente concepire amenità come la guerra, la schiavitù o lo stupro, gettare i neonati nei cassonetti e privare interi popoli delle libertà più elementari, tollerare la crudeltà, lo sfruttamento, la spazzatura che riempie il mondo, la distruzione della natura. Un essere intelligente non è questo, perciò l'uomo è scemo, o perlomeno lo è maggioranza degli uomini e, senza dubbio, sono scemi gli uomini di potere.

Tutto questo per dirvi che non dovrete stupirvi se non farò ritorno dal viaggio che sto per cominciare: preferisco stare con gli orangutan ad aspettare la fine del mondo.


Hey hey hey, na na na na
When the universes collide
Hey hey hey, na na na na
Son, don't get caught on the wrong side
   - Gogol Bordello

martedì 9 aprile 2013

Viaggiare pellavvero

I viaggiatori sono tutti legati tra loro come membri di una bizzarra famiglia. Hanno in comune la lontananza da casa e il desiderio di scoperta non solo di luoghi, ma anche di esperienze e persone. Appena ci si trova intorno a un tavolo si fanno un sacco di domande, si scambiano consigli e si raccontano avventure e disavventure incrementando la reciproca curiosità e alimentando la voglia di viaggiare ancora. Quando due motociclisti si incrociano per la strada alzano la mano per salutarsi. Sono estranei, indossano i caschi, vanno in direzioni opposte eppure si salutano perché fanno parte della stessa tribù, condividono qualcosa che gli automobilisti accanto a loro non conoscono. Questo accade anche ai viaggiatori: raramente ne incontrerai uno che non ti sorrida e non abbia voglia di parlarti. Così abbiamo conosciuto Alison, Nicola, Erin, Paul, John, i ragazzi della gang australiana west coast, Hannes, Bodhi, Mario (che ride come una scimmia) e tutti gli altri diventati amici speciali perchè hanno condiviso con noi momenti indimenticabili.
Viaggiatori, non turisti.
I turisti sono cafoni perché considerano il viaggio un investimento per cui devno essere trattati come ospiti di riguardo e pretendono che tutto si adatti alle loro esigenze personali. Il viaggiatore invece si adatta al luogo e alla cultura che incontra, possiede lo spirito positivo degli antichi esploratori, è aperto alle novità e alle diversità, agli imprevisti e agli incontri.
Il viaggiatore sa anche apprezzare la solitudine: si lascia andare alle maree dei pensieri, si rifugia in un libro al sicuro, scrive e fotografa per conservare i momenti importanti, contempla un paesaggio ridimensionando la percezione di sé.
Gli indigeni, e con questo non immaginate dei tizi in gonnellino di paglia con un osso tra i capelli, ma semplicemente gli abitanti del luogo, in genere mal sopportano i turisti limitandosi ad essere educati perché portano guadagni. Hanno, invece, una sorta di istinto materno nei confronti dei viaggiatori e sono ben disposti ad aiutarli e consigliarli. Sul serio l'ho provato di persona più di una volta.
Cresciamo con questo planisfero appeso in classe alle elementari, con l'Europa al centro. Quello è il tuo mondo: tu al centro e il resto troppo lontano. Lontano, diverso e quindi pericoloso. Le notizie che ci arrivano dagli altri Paesi sono spesso distorte, l'immagine che abbiamo in testa di luoghi mai visitati è piuttosto diversa dalla realtà, sia nel bene che nel male. Quando nella vetrina di una cartoleria australiana ho visto appeso il loro planisfero, quasi non riconoscevo il mondo con l'Oceania al centro. Mi sono resa conto di quanto il punto di vista influenzi la nostra percezione delle cose. Allora ho pensato che vale per tutto: cambiare il punto di vista ci fa vedere altri aspetti di ciò che crediamo di conoscere. 
Non basta una vita intera per vedere e imparare tutto, ovviamente, ma mantenere la mente aperta ci permetterà di vedere più cose. Ho cominciato tardi a viaggiare perché per molto tempo non me lo sono potuto permettere, quindi mi ritengo ancora una principiante. Dalle mie parti è già strano partire in un periodo che non sia il convenzionale mese di agosto ed è quasi impensabile stare via più di tre settimane soprattutto all'estero. Quando però girovagavo tra il sud-est asiatico e l'Australia ho incontrato viaggiatori che erano giro da mesi o anni e lo trovavano perfettamente normale.
Oggi è facile andare ovunque in aereo e in macchina, ma penso a quando ci volevano mesi di navigazione e non c'erano strade. Avrei dovuto nascere in un'altra epoca, tanti luoghi sono stati rovinati o addirittura distrutti da allora e io non potrò più vederli. 
Si viaggiava seguendo le stelle e le stelle, un tempo, si vedevano perfettamente a occhio nudo. Io mi stupisco quando mi trovo sotto un cielo stellato come nel Deserto Bianco in Egitto o come ad Arlie Beach in Australia. Vedevo ogni cosa, la Via Lattea chiara come la scia di una barca e vedevo pianeti colorati e stelle cadenti. Ero ipnotizzata. Pensa che invece era normale ai tempi degli Egizi e dei Maya: vedevano una volta celeste completamente limpida e potevano usarla per orientarsi, per calcolare il tempo, per prevedere le piene dei fiumi, quando seminare e quando raccogliere, quando partire e come ritrovare la via di casa.
Quando viaggio, osservo senza lasciare impronte, cerco di stare con le persone del posto facendomi guidare da loro, ascolto le loro storie e i suoni della natura, voglio immergermi nello spirito del primo ospite. Prediligo le destinazioni meno frequentate, più difficili da raggiungere, più isolate perché non voglio trovarmi nessuno intorno mentre uso il mio superpotere dell'immaginazione. Riesco a viaggiare nel tempo e provare sensazioni antiche. 
Ah, l'era delle grandi esplorazioni! Mi sarei imbarcata su uno di quei velieri in rotta verso l'oceano sconosciuto. Probabilmente sarei morta per qualche malattia dovuta alla scarsa igiene e al cibo mal conservato, ma se fossi sopravvissuta avrei vissuto avventure così fantastiche che si fatica a raccontarle.
Immaginate come ci si sente ad avvistare un'isola che non era su nessuna mappa, ad essere il primo a mettere piede su quella spiaggia di borotalco e osservare il pennacchio di fumo che si leva dall'alto vulcano al centro della foresta. 
Immaginate di attraversare la giungla africana a piedi senza sapere quello che si nasconde tra la vegetazione e sentire un rombo lontano e andare in direzione di quel suono per poi trovarvi davanti le gigantesche Cascate Vittoria. 
Immaginate le tempeste nello stretto di Magellano, le onde che sollevano il vascello e la pioggia che vi sferza il viso e miracolosamente evitate le scogliere taglienti in mezzo a fulmini e schiuma di mare e finalmente raggiungete l'altro oceano mentre le nubi si diradano e il sole fa scintillare la nave bagnata. 
Immaginate di aprire un sentiero tra le montagne himalayane lottando con il gelo e l'altitudine. Immaginate di risalire il grande Rio delle Amazzoni inoltrandovi nella foresta più estesa del mondo abitata da insetti enormi e serpenti velenosi. 
Immaginate di essere il primo a vedere un ghepardo, un koala, un pinguino, immaginate di scoprire Macchu Picchu o Angkor o la tomba di Tutankamon.
Patty, la mia amica messicana, dice che quando è stressata va a Teotihuacan, solo mezz'ora in auto dalla sua casa a Città del Messico, sale sulla Piramide del Sole e pensa. Mi ha portato là nel 2004, dalla cima si vede tutta la piana circostante con i templi, gli osservatori astronomici di pietra e gli alberi. Ci va al tramonto, quando i turisti se ne sono andati, si siede su quelle pietre millenarie e pensa alle sue radici azteche.

martedì 26 marzo 2013

La distrUzione del mese

Son qui che tiro avanti in attesa che arrivi il maledetto 9 maggio per prendere di nuovo un aereo e andare lontano, cerco di non farmi uccidere dall'attesa distraendomi con letture di vario genere (sul comodino un libro sull'esplorazione della Dancalia -vedi post di gennaio 2012- e uno sui serial killer), documentari sulla storia dell'universo e film di catastrofi (che fan sempre ridere come leggete qui). Inoltre, durante il giorno, lavoro anche! Non che vada in miniera, lo so, ma quello che mi stressa è dovermi alzare alle 6 del mattino per lasciare Monza e affrontare il traffico di Milano, poi rinchiudermi otto ore nel mio cubicolo e rifare il percorso al contrario ogni schifoso giorno. Penso sempre che non mi paghino abbastanza per questo e lo pensa anche la mia banca. Io dovrei fare la scrittrice a tempo pieno e intanto viaggiare, ecco, così sarebbe giusto!
Eppure tutto questo, sogno o lavoro, è destinato a finire in un casino apocalittico perchè, come gli amici della Voliera ben sanno, è solo questione di tempo: gli zombi stanno arrivando! 
La foto di halloween in Voliera 2006 qui a fianco dimostra che ci stiamo preparando da diversi anni e, come dimostrano le librerie nelle nostre case, stiamo studiando l'argomento. Noi, però, non abitiamo negli Stati Uniti dove anche i bambini vanno in giro con la pistola e per diritto costituzionale sparano a tutto quello che gli pare compresi i compagni di scuola come all'epoca della conquista del west. Noi dobbiamo organizzarci con dei piani astuti e armandoci di quello che possiamo.
A casa mia il piano prevede... ehm, non ve lo posso svelare perchè altrimenti tutti quelli che lo leggono "ci rubano il lavoro". Abbiamo i mezzi per realizzarlo, ma anche questo, come insegnano tutti i libri, fumetti, film e serie tv, non posso scriverlo perchè la segretezza è una questione di sopravvivenza; comunque, come diceva Tomba, chi ci conosce lo sa.
La morale è: se arrivano gli zombi mentre sono in viaggio, ASPETTATEMI!!!

P.s. Buona Pasqua, se non è un segno Gesù che esce dalla tomba...


mercoledì 6 febbraio 2013

La distrazione del mese

Finito di organizzare il viaggio in Indonesia con Nyoman, non ci resta che aspettare il 10 maggio per partire che visto dai primi di febbraio sembra lontano anni luce. Bisogna far passare questi mesi e il lavoro non aiuta, anzi, ha il potere di allungare orribilmente le giornate, quindi le distrazioni diventano vitali. A febbraio per fortuna c'è sempre il torneo 6 Nazioni di rugby.
Come promesso alla Garau (e con lei non si scherza che è sarda e mi fa paura), vi racconto le prime tre partite dal mio personalissimo punto di vista, cioè la quasi totale ignoranza tecnica, ma grande entusiasmo. Intanto un elogio all'impagabile telecronaca argentina che accompagna i file scaricabili di tutte le partite di rugby, per gli straccioni come me che non possono permettersi Sky.
E la pelota se vaaaaaaa dentro!!!

Galles vs Irlanda
Ho sempre avuto un debole per gli irlandesi, nei nostri viaggi ne abbiamo incontrati diversi, tutti gran compagnoni, e da quando seguo il rugby mi sono anche affezionata alla squadra. Così mi ha fatto piacere vederli dominare il primo tempo come un treno in corsa, una meta dopo l'altra, un calcio dopo l'altro, trenta punti puliti.
Il mio primo idolo è stato l'inglese Johnny Wilkinson, ma ora che ha fatto il suo tempo, il mio nuovo Johnny preferito è irlandese e si chiama Sexton (!!), l'erede di Ronan O'Gara rivale di Wilkinson che pure mi piaceva parecchio.
Questa però è una partita così bella che non si può parteggiare per una sola formazione. Nel secondo tempo il Galles si rialza con fierezza e determinazione. Il rugby si gioca fino all'ultimo istante, non è finita finché non è finita, maledizione! La tensione si taglia con la mannaia, attacco contro difesa, senza pietà, senza paura, avanti strisciando nel sangue, nel sudore e nella fatica. Si vedono passione e orgoglio schiantarsi contro le regole, ferro contro ferro e ne escono scintille.
Il giovanissimo Halfpenny del Galles è un torello che si fa la meta e se la calcia, anche se fallisce questo unico calcio. Pianta la palla oltre la linea appena una frazione di secondo prima di essere scaraventato fuori dal campo da due placcatori. Che numero!
A volte riescono queste prodezze, altre volte le cose più semplici non girano e un passaggio sbagliato diventa un disastro, ma i professionisti non perdono la concentrazione e anche quando s'incazzano (e quando capita fan perfino più paura della Garau) poi riprendono il controllo o accettano di pagarne le conseguenze: la disciplina fa parte del gioco, devi saper usare la rabbia per vincere altrimenti ti si ritorce contro.
Man of the match e uno dei migliori giocatori del mondo è Brian O'Driscoll, per descriverlo si può solo dire che è un guerriero dalla classe infinita e con quella bella faccia da irlandese che vien voglia di stringergli la mano e dargli un bacio in fronte brindando con la Guinness.
Vince l'Irlanda, ma il Galles ha colmato l'abisso di punti che li separava alla fine del primo tempo. Bellissima partita, bravi tutti.

Inghilterra vs Scozia
Veder giocare l'Inghilterra è sempre uno spettacolo. È una squadra piena di nuovi giocatori con la faccia da quindicenni che pestano come martelli, porta avanti un'antica tradizione e ci tiene a non lasciar espugnare lo stadio di Twickenham. Sto parlando di ragazzi che pochi mesi fa hanno asfaltato gli All Blacks su questo campo, dunque fatti non pugnette.
Un'altra cosa che mi piace è la divisa bianca su cui spiccano il sangue e il fango dopo cinque minuti di gioco, quella viola non fa lo stesso effetto, ammettiamolo.
La Scozia è una squadra da cui non so mai cosa aspettarmi, è capace di perdere con una squadra di zoppi come di affondare senza pietà avversari temibili. È sempre una sorpresa perché alterna fasi di alti e bassi tremendi. 
Questa partita appare piuttosto equilibrata all'inizio, sembra un video-manuale di rugby ben fatto, ma poco emozionante. Le squadre poi si scaldano e l'Inghilterra comincia a far lievitare il punteggio come una torta. Gli scozzesi lottano, ma con altalenante convinzione e alla fine non ce la fanno.
Man of the match è Owen Farrel, a proposito di facce da quindicenni, che migliora ad ogni partita mentre il preferito della Fra, Toby Flood praticamente non si è visto (forse l'ha ammaccato un Dany geloso? Perché il TdC era pronto a tagliare la gola a Wilkinson ai bei tempi!)

Italia vs Francia
Il giorno dopo questa partita ho ricevuto una mail dal mio amico francese che cominciava così: “Putain! Non ci credo!” ed è un perfetto riassunto del match.
Ci si aspettava la solita sconfitta: la Francia è sempre tra le favorite, la Francia è cattiva, veloce e gioca bene, i francesi se la tirano, ma non si può dir niente perché sono forti. Hahahahaha! (Scusa, Thibaut, ma è troppo bello!)
L'Italia sta crescendo, però il rugby da noi è ancora uno sport di serie b ed è difficile allevare campioni. Eppure domenica a Roma si vede una partita vera, non la solita pioggia di punti a zero come una nazionale contro l'oratorio feriale. L'Italia ha giocato sul serio mettendo in campo giovani leve di talento contro una Francia confusa. Al contrario di quanto accade nel calcio, nel rugby l'arbitro è il boss, non si contesta, non si insulta, si tratta con rispetto e si abbassa la testa. In questo caso l'arbitro era un precisetti non poco irritante, ma nonostante questo è andata abbastanza liscia.
Certo non siamo stati all'altezza per tutta la partita, facciamo ancora un sacco di cagate, eppure accidenti abbiamo vinto! E non abbiamo vinto con un colpo di fortuna: abbiamo fatto 2 mete, abbiamo piazzato calci tra i pali, abbiamo difeso il punteggio fino all'ultimo istante mentre i francesi lottavano per attraversare la linea di meta perché un calcio non sarebbe bastato a raggiungerci.
È giusto fare spazio ai giovani che stanno giocando bene e hanno voglia di lottare, il nuovo allenatore l'ha capito e i risultati pian piano arrivano. Un giorno guarderemo le nostre partite senza aspettarci per forza un'umiliazione. Speriamo di continuare a migliorare perché finora si perdeva con onore, ma vincere ha tutto un altro sapore e contro la Francia non ha prezzo!