Dopo 14 ore di volo,
durante le quali le hostess ti svegliano ogni 3 ore per farti
mangiare come i neonati, e una notte a Jakarta al Pop Hotel che da
fuori sembrava chiuso e il taxi voleva scaricarci in mezzo
all'autostrada, finalmente stamattina abbiamo raggiunto Pangkalanbun
nel Borneo indonesiano. Siamo arrivati con uno di quei piccoli aerei
che abbiamo imparato ad apprezzare perché volano ad un'altezza che
permette di godersi il paesaggio; sorvolando l'isola sembrava di
vedere le riprese aeree di film tipo Rambo con montagne ricoperte di
fitta giungla a perdita d'occhio, poi una striscia d'asfalto per
atterrare e intorno qualcosa che sembra un paesino, ma dall'altro
lato si vedeva l'avanzare delle piantagioni di palma da olio che
divorano la foresta come mostri.
All'aeroporto è venuto a
prenderci la nostra guida, Ponco (si legge poncio, come
l'impermeabile dice lui ridendo) che ci accompagnerà per i prossimi
cinque giorni. Dall'aeroporto al porto fluviale di Kumai sono 20
minuti d'auto e per l'ecolodge Rimba, dentro il parco nazionale, sono
circa due ore di barca. Prima di andare a Kumai, però, Ponco ci
propone: -Vi va se ci fermiamo al matrimonio di un mio amico? Tanto è
sulla strada.-
Wow, io e il TdC abbiamo
ripensato alla sfacciataggine di Mario, la guida al Kelimutu, ma con
questa uscita Ponco salta in testa alla classifica e, ovviamente, noi
abbiamo accettato perché non si rifiuta mai d'imbucarsi a un
matrimonio. All'inizio pensavamo di dover tenere un basso profilo
essendo stranieri infiltrati ad una cerimonia musulmana, tra l'altro
io in maglietta sbracciata e Sergio in pantaloncini, immaginate
l'imbarazzo mentre in fila con gli altri invitati tutti eleganti ci
riempivamo il piatto incoraggiati da Ponco. I genitori degli sposi, invece, ci
hanno accolti con entusiasmo e si sono presentati invitandoci a
prendere altro cibo, mentre Ponco ci spiegava lo svolgimento della
cerimonia e la tradizione della sera prima di ricoprire gli sposi di
polvere nera.
Non mi aspettavo tanta
apertura e ospitalità, forse avevo dimenticato che in Indonesia le
differenze non sono un problema perché su queste isole (a parte
nella zona di Aceh) vale tutto, davvero. Ricordate i villaggi dove ci
portava Mario con la chiesa e accanto la moschea e la capanna dello
stregone? Ecco, così Qui sono musulmani al punto che non si vende
nemmeno l'alcol, ma due stranieri possono imbucarsi
tranquillamente a un matrimonio. Ci hanno perfino fatto salire sul
palco con gli sposi e le famiglie per fare le foto! Apparire
sull'album di nozze di una coppia musulmana del Borneo è senz'altro
un buon inizio.
L'orangutan è più
signore
In quel piccolo porto
dall'aria piratesca che è Kumai, una barca tutta per noi era pronta
a portarci fino a Rimba sulle acque del fiume, che si chiama sempre
Kumai, rese torbide dall'attività estrattiva di una vecchia miniera
d'oro. Ponco ci ha spiegato che questo colore fangoso scende dalla
miniera fino al mare, ma risalendo verso l'interno il fiume diventa
poi più limpido anche se scuro, come fosse caffè. In questa
regione i fiumi sono le strade e le barche il solo mezzo di
trasporto. Lungo le rive, verdi di alta vegetazione, di tanto in
tanto spunta un molo che porta ad un villaggio oppure ad uno dei
centri di conservazione e studio dell'ambiente e della fauna locale,
oppure al nostro ecolodge dove ci ha accolto Daisy, giovane e gentile
come tutto lo staff.
Rimba è un posto davvero
sperduto nella foresta dove l'elettricità c'è solo dalle 17 alle 22
e le stanze sono palafitte collegate tra loro, alla reception e al
ristorante da lunghe passerelle in legno, molto scivolose quando bagnate. La pioggia è ancora abbondante nonostante la stagione secca
sia formalmente iniziata.
Dalle parti di Rimba non solo non c'è internet, ma manca anche il segnale per i cellulari che prendono solo in certi punti del fiume.
Dalle parti di Rimba non solo non c'è internet, ma manca anche il segnale per i cellulari che prendono solo in certi punti del fiume.
Pioveva alla grande al
nostro arrivo, un bel temporale che si abbatteva sulla foresta e
sugli edifici in legno come uno schiaffo, eppure per me era
bellissimo perché la giungla del Borneo, nel mio immaginario, era
anche questo. Alla reception del lodge è appesa una lavagna con le
foto degli animali e uccelli della zona e l'elenco degli avvistamenti
compilato dagli ospiti. Tra gli alti alberi tra le stanze è facile
trovare i macachi dalla coda lunga, noti per essere dispettosi e
ladri di cibo, quindi le porte delle stanze devono rimanere sempre
ben chiuse.
Dopo pranzo Ponco ci ha
portato al feeding point di Harapan Camp, cioè una delle piattaforme
dove i ranger portano cibo per gli oranghi che non riescono a
procurarselo da soli in natura perché, arrivando dalla cattività, hanno bisogno di tempo per tornare selvatici. I ranger forniscono
solo una parte della razione giornaliera in modo che gli
orangutan si abituino cercare altro cibo nella foresta, senza però
entrare troppo in competizione con quelli davvero selvatici che la
abitano.
Qui sono più numerosi e
si avvicinano alle persone più di quanto non facessero a Bukit tre
anni fa, ne sono rimasta impressionata. Noi umani, a parte i ranger,
non eravamo molto interessanti per questi splendidi primati, ci
passavano accanto come fossimo invisibili, al massimo un po'
fastidiosi. Becky, una femmina incinta incontrata sul sentiero verso
la piattaforma, ci faceva le pernacchie e c'era un grosso maschio più
avanti che teneva d'occhio la strada in attesa dei ranger. Quando,
però, si è presentato il maschio alfa, che io ho capito che si
chiama Gianni, gli altri maschi sono fuggiti mentre le femmine si
avvicinavano con cautela. Gianni aveva un testone enorme e voleva
tenersi tutto il latte portato dai ranger cacciando chiunque si
avvicinasse. È stato bellissimo osservare l'interazione dei vari
personaggi sulla scena e incrociare i loro sguardi, praticamente un documentario
dal vivo. Eh, l'orangutan con la sua pelliccia rossa e i suoi occhi
profondi, con i suoi modi eleganti e pacati, è davvero un animale
affascinante. Altro che quei ladri dei macachi, l'orangutan è più
signore.
Tornando a Rimba ci siamo
fermati con la barca ad osservare i salti spettacolari di un branco
di scimmie con la proboscide. Questi grossi primati aspettano
furbamente che le barche spaventino i coccodrilli per poter
attraversare il fiume in sicurezza a nuoto. Si spostano tra gli
alberi con lunghi salti e usano i rami più flessibili come
trampolini.
Risalire il fiume con una
barca lenta come la Rimba Princess è stupendo perché ti fa godere
del paesaggio senza fretta, con il parco nazionale così vivace
intorno, il canto dei gibboni e la sensazione che ogni ramo
galleggiante sia un coccodrillo, tipo Un tranquillo weekend di
paura, ma meno inquietante. L'equipaggio è costituito solo dal
capitano, che ha solo due denti in bocca, ma sorride sempre, e dal
cuoco che assiste curioso alle nostre conversazioni con Ponco.
C'è un motivo se si
chiama pluviale
Colazione alle 7 poi
partenza in barca con il bagaglio per il campeggio. Prima tappa
Pondok Tanggui, un altro feeding point della Fondazione per la
salvaguardia degli oranghi, da dove sarebbe cominciato il nostro
trekking di due giorni e due notti nella foresta pluviale. C'erano
pochi altri turisti e una coppia spagnola che avevamo già visto in
aeroporto, la ragazza sembrava annoiarsi mentre si faceva aria con un
ventaglio e controllava di non essersi rovinata lo smalto alle
unghie. Che diavolo era venuta a fare nel Kalimantan?
Questi centri che cercano
di proteggere la flora e la fauna locale non ricevono alcun aiuto dal
governo, sopravvivono solo grazie alle donazioni e al turismo, anzi a
volte devono anche scontrarsi con gli interessi di Jakarta che
concede sempre più territorio ai coltivatori di palma da olio. Penso
quasi che le persone al governo non siamo mai state in questi luoghi
perché non capisco con che cuore si possano svendere queste
inestimabili meraviglie della natura invece che fare di tutto per
proteggerle.
Quando finalmente tutti
gli altri visitatori se ne sono andati, ci siamo accomodati con Ponco
davanti casa del ranger Satri che sarebbe venuto, con noi e il giovane cuoco Udin, a passare le due notti nella giungla. Mentre aspettavamo
l'arrivo della Rimba Princess, dove avremmo pranzato prima di
incamminarci verso l'avventura, Herna, una vicina di casa del
ranger ci ha dato due patate per attirare una mamma orango con
piccolino che si aggiravano dietro la casa in modo da fotografarli da
vicino. Che regalo fantastico! Avvicinarci tanto è stato
emozionante: la mamma all'inizio era un po' sospettosa, ma poi ha
allungato la mano e con grande delicatezza ha preso le patate dalla
mia mano, più tardi ha fatto lo stesso prendendo banane da Sergio.
Ecco un altro dei vantaggi di seguire sentieri diversi dagli altri:
ti si presentano occasioni per pochi. I ranger non permettono ai
turisti di dar da mangiare agli orangutan per un sacco di motivi che
potete anche capire da soli, ma gli oranghi conoscono già Herna e il
fatto che il cibo venisse da casa sua andava bene. Son cose che alle
turiste intente a guardarsi lo smalto di solito non accadono.
Con questa piccola
conquista a darmi il buon umore e nel cuore il ricordo della
bellissima esperienza a Bukit Lawang (vedi blog del viaggione 2010),
son partita con questa nuova compagnia verso l'avventura nella
foresta pluviale. Ranger Satri, Udin e Ponco erano carichi di zaini e
borse come muli perché trasportavano anche l'occorrente per il
campeggio mentre io e il TdC portavamo solo i nostri zainetti da
escursione e qualche bottiglia d'acqua, mi sentivo in colpa.
Il cammino era reso faticoso dall'afa, ma il sentiero era pianeggiante quindi procedevamo di buon passo tra le bellezze della giungla che vedrete nelle foto: liane lunghe 40 metri che pendono da alberi enormi con radici grosse come persone, una rana piccola come un mignolo e una formica grande come un mignolo, funghi neri come il carbone alti 30 cm, piante carnivore dai bellissimi colori che si riempiono d'acqua piovana come bicchieri per attirare gli insetti che poi attaccano con l'acido, orchidee che crescono attorcigliandosi agli alberi, nidi, tane, foglie giganti che gli oranghi usano come ombrelli e mille altre cose stupende e interessanti che una buona guida come Ponco sa farci notare e ci spiega. Il caldo e l'umidità ci incollavano i vestiti addosso e a un certo punto ho desiderato che piovesse per rinfrescare un po', così ho scoperto che Dio per punirci realizza i nostri desideri e la pioggia è arrivata. All'inizio, certo, era divertente e rigenerante camminare sotto l'acqua fresca, poi abbiamo sentito esplodere un tuono e all'improvviso ci siamo accorti che pluviale non è un aggettivo, è una minaccia.
Il cammino era reso faticoso dall'afa, ma il sentiero era pianeggiante quindi procedevamo di buon passo tra le bellezze della giungla che vedrete nelle foto: liane lunghe 40 metri che pendono da alberi enormi con radici grosse come persone, una rana piccola come un mignolo e una formica grande come un mignolo, funghi neri come il carbone alti 30 cm, piante carnivore dai bellissimi colori che si riempiono d'acqua piovana come bicchieri per attirare gli insetti che poi attaccano con l'acido, orchidee che crescono attorcigliandosi agli alberi, nidi, tane, foglie giganti che gli oranghi usano come ombrelli e mille altre cose stupende e interessanti che una buona guida come Ponco sa farci notare e ci spiega. Il caldo e l'umidità ci incollavano i vestiti addosso e a un certo punto ho desiderato che piovesse per rinfrescare un po', così ho scoperto che Dio per punirci realizza i nostri desideri e la pioggia è arrivata. All'inizio, certo, era divertente e rigenerante camminare sotto l'acqua fresca, poi abbiamo sentito esplodere un tuono e all'improvviso ci siamo accorti che pluviale non è un aggettivo, è una minaccia.
Non riesco nemmeno a
trovare le parole per descrivere la quantità d'acqua che il
temporale ha scaricato sulla foresta e la violenza con cui cadevano
quelle gocce da mezzo chilo. In meno di tre secondi eravamo tutti
inzuppati di pioggia calda. Sì, è acqua tiepida come una doccia,
però sparata con le pompe dai vigili del fuoco del cielo! Dove fino
a un attimo prima c'era il sentiero, ora c'era un fiume e l'acqua ci
arrivava alle ginocchia. A un tratto Ponco ha indicato un punto più
profondo dicendomi che dovevo saltare dall'altra parte, -Vado prima
io- mi dice e spicca un salto troppo corto scivolando sul fango
dell'altra sponda con uno zaino sulla schiena e uno davanti. Udin che
lo precedeva l'ha aiutato a risalire. Io non sapevo se ridere o
preoccuparmi, mezza sponda era franata sotto la nostra “agile”
guida e io pensavo a dove diavolo potessi saltare. Udin ha trovato un
tronco perfetto per fare da ponte, così siamo passanti anche io,
Sergio e Satri.
La pioggia continuava a cadere, sempre fortissima, e diventava difficile proseguire con le scarpe pesanti che si incollavano al fango e gli zaini fradici che raddoppiavano di peso. I tronchi sui quali saltavamo per non finire in acqua erano ormai sommersi e con l'acqua all'altezza dei fianchi mi son chiesta perché diavolo insistessimo a seguire il sentiero allagato invece di deviare per una zona più alta e asciutta. Bene, mi sono guardata intorno per la prima volta in quell'istante (perché fino ad allora ero rimasta concentrata solo sulle due questioni fondamentali dove metto le mani e dove metto i piedi) e mi sono resa conto di cosa significa davvero un temporale nella foresta pluviale del Borneo: non c'era più nessun sentiero, non c'era più il terreno, l'intera giungla era un lago battuto dalla pioggia dal quale spuntavano gli alberi e le piante più alte come isole.
Il TdC mi ha detto: -Dopo questo siamo pari con Rugen- e ho capito quanto fosse arrabbiato con me per averlo portato laggiù. Ok, siamo pari con la peggior vacanza mai fatta, ma ora l'unico obiettivo è raggiungere il campo base per la notte. Acqua da sopra, acqua sotto, lividi per le botte contro i tronchi sommersi, una leggera inquietudine per le sanguisughe e altre amenità che ci circondavano, ma so di aver visto davvero troppi troppi film perché in tutto quel casino mi sembrava di essere in qualche scena di All'inseguimento della pietra verde. In altri momenti, guardavo Sergio e Ponco dietro di me che sembravano avanzare come soldati nelle paludi del Vietnam di qualche film americano. Avrei voluto fotografarli, ma mi avrebbero annegata.
Alla fine abbiamo raggiunto una piccola palafitta di legno in mezzo a quel lago e ci siamo rifugiati lì stanchi e fradici. Ponco e il ranger ci hanno raccontato che durante la stagione delle piogge erano con dei turisti australiani e l'acqua gli era arrivata fino alla gola, tanto che avevano dovuto camminare con gli zaini in testa, e quanto ridevano a raccontarlo! Alla fine non è altro che acqua, solo tanta acqua.
La pioggia continuava a cadere, sempre fortissima, e diventava difficile proseguire con le scarpe pesanti che si incollavano al fango e gli zaini fradici che raddoppiavano di peso. I tronchi sui quali saltavamo per non finire in acqua erano ormai sommersi e con l'acqua all'altezza dei fianchi mi son chiesta perché diavolo insistessimo a seguire il sentiero allagato invece di deviare per una zona più alta e asciutta. Bene, mi sono guardata intorno per la prima volta in quell'istante (perché fino ad allora ero rimasta concentrata solo sulle due questioni fondamentali dove metto le mani e dove metto i piedi) e mi sono resa conto di cosa significa davvero un temporale nella foresta pluviale del Borneo: non c'era più nessun sentiero, non c'era più il terreno, l'intera giungla era un lago battuto dalla pioggia dal quale spuntavano gli alberi e le piante più alte come isole.
Il TdC mi ha detto: -Dopo questo siamo pari con Rugen- e ho capito quanto fosse arrabbiato con me per averlo portato laggiù. Ok, siamo pari con la peggior vacanza mai fatta, ma ora l'unico obiettivo è raggiungere il campo base per la notte. Acqua da sopra, acqua sotto, lividi per le botte contro i tronchi sommersi, una leggera inquietudine per le sanguisughe e altre amenità che ci circondavano, ma so di aver visto davvero troppi troppi film perché in tutto quel casino mi sembrava di essere in qualche scena di All'inseguimento della pietra verde. In altri momenti, guardavo Sergio e Ponco dietro di me che sembravano avanzare come soldati nelle paludi del Vietnam di qualche film americano. Avrei voluto fotografarli, ma mi avrebbero annegata.
Alla fine abbiamo raggiunto una piccola palafitta di legno in mezzo a quel lago e ci siamo rifugiati lì stanchi e fradici. Ponco e il ranger ci hanno raccontato che durante la stagione delle piogge erano con dei turisti australiani e l'acqua gli era arrivata fino alla gola, tanto che avevano dovuto camminare con gli zaini in testa, e quanto ridevano a raccontarlo! Alla fine non è altro che acqua, solo tanta acqua.
Satri
e Udin hanno montato lì la nostra tenda, mentre quella per loro
sarebbe stata a due isolotti di distanza. Non si poteva accendere il
fuoco perché era tutto bagnato quindi abbiamo cenato con cracker e
biscotti, chiacchierando e ridendo della nuotata, d'altra parte se si
chiama foresta pluviale un motivo c'è. Siamo andati a dormire con i
vestiti umidi, compresi quelli di ricambio, ma cose essenziali come
il passaporto erano al sicuro dentro sacchetti di plastica negli
zaini. Per tutta la notte non ha smesso un attimo di piovere e in
certi momenti la tenda veniva illuminata dai lampi anche se non ci
pioveva direttamente addosso perché la palafitta era coperta dal
tetto. Ogni tanto scoppiavano dei tuoni che sembravano bombe e
cominciava a fare freddo. Dalla nostra posizione mancavano due ore di
cammino per Camp Pesalat, base della seconda notte, e mentre non
dormivo perché mi scappava la pipì, ma non avevo voglia di uscire
dalla tenda, pensavo che se non avesse smesso di piovere avremmo
dovuto affrontare quelle due ore con l'acqua alle ginocchia o peggio.
Durante
la notte nella giungla si sente la vita selvatica, l'aria è piena di
suoni anche in mezzo a tanta pioggia, canti di uccelli e passi di
animali, rumori affascinanti e inquietanti, ma bisognava cercare di
dormire. A un certo punto si è sentito anche qualcosa di simile a
tamburi tribali e abbiamo pensato che nell'altra tenda ascoltassero
della musica. Sergio si è avventurato fuori per fare pipì e le assi
del pavimento scricchiolavano tanto che dall'altro isolotto Ponco ha
chiesto se fosse tutto ok. Una buona guida ha sempre gli occhi
puntati su di te e poi abbiamo scoperto che durante la notte sono
venuti a controllarci un paio di volte.
Chiacchierando:
mondi diversi, stesso pianeta
Appena
è spuntata un po' di luce solare siamo saltati fuori dalla tenda e
Ponco sorridente ci ha portato pane e marmellata per colazione
chiedendoci dei tamburi sentiti la notte, lui pensava venissero dalla
nostra tenda, tipo musica da un cellulare. Mistero.
Abbiamo
indossato i vestiti ancora umidi, le calze di spugna fradicie (che
però sono ottime per proteggersi dalle sanguisughe) dentro scarpe da
trekking bagnate sapendo di doverci tuffare di nuovo nel sentiero
allagato. Pioveva meno, ma pioveva ancora.
Noi
sembravamo due reduci da una sbronza tremenda. Sergio ha detto:
-Siamo in Borneo da due giorni e già facciamo schifo- mentre
Ponco, Udin e Satri se la ridevano: questa è la giungla! Avevano
ragione loro, non c'è motivo di preoccuparsi o essere di cattivo
umore, non c'è nulla di grave o di irreparabile nello svegliarsi
puzzando di cane bagnato. Questo posto è una meraviglia e il resto
passa.
Dopo
la nuova camminata su un sentiero sempre più asciutto siamo arrivati
a Camp Pesalat con il sole, così ci siamo affrettati entusiasti a
svuotare gli zaini per mettere tutto ad asciugare. Ora si poteva
accendere il fuoco e Udin ha cucinato dei noodles in brodo con le
spezie anche se erano le nove di mattina. Ecco come funziona con i
pasti in the wild: non ci sono colazione, pranzo e cena, l'unica
regola è se non piove, cucina.
Camp
Pesalat è una struttura pubblica immersa nella foresta e
raggiungibile solo a piedi. Ha un'area coperta con grandi tavoli e
panche per mangiare, un edificio con sei bagni, una casetta che fa da
cucina con lavandino, un'altra casetta che però era chiusa
e due piattaforme coperte dove montare le tende. Tutto questo in
legno dipinto, cioè la struttura ha tre anni e ne dimostra trenta
perché il governo non ha mai provveduto alla manutenzione e dopo tre
stagioni delle piogge potete immaginare le condizioni.
Ponco
parla un buon inglese, Udin qualche frase e il ranger Satri poco, quindi la nostra guida fa il traduttore in gran parte delle
chiacchierate che sono molto interessanti visto che viviamo in posti
così diversi. Ponco ci ha chiesto se in Italia abbiamo quattro
stagioni. -Primavera è quando è tutto verde, vero?- ha domandato per
conferma prima di tradurre ai suoi colleghi. Hanno chiesto della neve
e dei lupi e siam riusciti perfino a spiegar loro che non ci sono più
le mezze stagioni. Ponco ha risposto che dev'essere il riscaldamento
globale, infatti in Borneo una volta c'erano tantissimi millepiedi e
adesso non più, proprio per colpa del riscaldamento globale e la
gente farebbe meglio a prendersi cura dell'ambiente che lui chiama
green world.
Sono
delle fantastiche chiacchierate che vanno da -A Jakarta buttano la
plastica nel fiume!- a -Voi ce li avete gli orsi?- a -Cosa fa una
guida del Borneo quando va in vacanza? Sta ferma a Kumai- che poi
diventavano lezioni di Bahasa per noi e di italiano per loro. Io e
Ponco avevamo quaderni per appuntarci le frasi più utili (la più
usata è diventata “Hati hati licin” cioè “Attenzione è
scivoloso”) e poi durante le camminate ci interrogavamo a vicenda.
Nel
pomeriggio un nuovo temporale, ma al tramonto una tregua ci ha
permesso di fare una piccola passeggiata di bird watching nell'erba
bagnata e lucida fuori dal campo. Il cielo era fantastico con
grandi nubi in movimento, sempre sospeso tra tempesta e sereno. Ponco
conosce benissimo tutti gli animali e piante della zona, ne imita i
versi e qualche volta gli rispondono, ma possibile che di tutti gli
uccelli su rami lontanissimi che indicasse io ne abbia intravisti
forse tre? E comunque erano controluce e per me potevano essere
qualsiasi cosa mentre lui diceva -Vedi la coda bianca? Vedi le piume
verdi? Vedi le macchie rosse intorno agli occhi?-, ma quali occhi che
non ho ancora capito nemmeno quale albero mi stai indicando? Il
bird watching decisamente non fa per me, ma abbiamo fatto quattro
passi avvolti dalla luce bellissima di un tramonto mancato, causa nubi
tempestose.
Dopo
cena e altre lezioni di indonesiano, io e Sergio siamo tornati alla
tenda mentre i nostri tre compagni avrebbero dormito nella
casetta-cucina. Mentre ci preparavamo per la notte, ci siamo accorti
che il cielo era di nuovo sereno e milioni di stelle spuntavano sopra
le cime degli alberi. Ah che spettacolo la Via Lattea a occhio nudo!
Avrei voluto restare a osservare per ore, ma ero stanca morta e mi
sono trascinata in tenda per un'altra notte di strani rumori e
richiami.
Il maiale scivoloso e
altre storie
La nostra sveglia
naturale, l'alba o lo stimolo della pipì, ci ha fatti alzare alle
5.30 che è un ottimo orario visto che siamo andati a dormire alle
20... e finalmente c'era il sole!
La passeggiata verso il centro di riforestazione Pesalat è stata breve, giusto il tempo di domandarci a vicenda quali animali avessero fatto certi rumori, in particolare dei passi che sembravano di persone sentiti sia da noi che dai tre nella casetta, che sono usciti a vedere senza trovare nulla.
La passeggiata verso il centro di riforestazione Pesalat è stata breve, giusto il tempo di domandarci a vicenda quali animali avessero fatto certi rumori, in particolare dei passi che sembravano di persone sentiti sia da noi che dai tre nella casetta, che sono usciti a vedere senza trovare nulla.
Lungo il sentiero di
sabbia bagnata, abbiamo trovato impronte di cervi e subito
tutti hanno esclamato: -Ecco! Erano i cervi!- Divertiti dalla
scoperta abbiamo continuato a catalogare le orme lungo il sentiero
finché Ponco ha chiesto come si dice in italiano wild pig,
rispondiamo cinghiale o maiale che è più facile da pronunciare.
Così ci ha indicato alcune impronte di wild pig e ad un certo punto
c'era una strisciata nella sabbia, allora Ponco, ripensando alle
lezioni di italiano, ha detto tutto soddisfatto: -Maiale scivoloso!- e
tutti siamo scoppiati a ridere. La frase gli piaceva tanto che per il
resto della nostra permanenza, ogni volta che gli tornava in mente, la
ripeteva e ridevamo di nuovo.
Il centro di
riforestazione di Pesalat è gestito da una famiglia alla quale ci
siamo presentati in bahasa per fare bella figura, se non fosse che
dopo le prime tre battute non siamo in grado di sostenere una
conversazione vera e tutti ci ridono in faccia. Abbiamo contribuito
al lavoro di questo centro lasciando un'offerta per piantare noi
stessi due nuovi alberi dove due incendi negli anni
novanta hanno distrutto ettari di foresta. Il TdC ha piantato un
albero che abbiamo incontrato nella giungla il primo giorno e Satri
ci aveva fatto annusare la corteccia che è rosa e sa di cipolla; io
invece ho piantato un bellissimo albero che chiamano Iron wood,
cioè legno di ferro, perché fornisce un legname resistente e
pregiato. Abbiamo scroccato un ottimo caffè che somiglia a quello di
Bali mentre ci raccontavano della foresta e Ponco ci ha spiegato che
quando dal tronco di un albero morto ne spunta uno nuovo, alcuni
credono che ci abiti uno spirito. Firmando il libro dei visitatori
del centro Sergio ha notato che non c'erano italiani, la maggior
parte erano inglesi, australiani, americani e qualche tedesco e
francese, ma italiani nessuno.
Salutata la grande famiglia abbiamo imboccato una lunghissima passerella di legno costruita per far arrivare i visitatori dal molo fino al centro senza dover nuotare nel sentiero in caso di pioggia. Bella pensata. Noi l'abbiamo percorsa al contrario perché venivamo dalla foresta e andavamo verso il fiume dove la Rimba Princess, che ci aveva scaricati tre giorni prima, stava per venire a riprenderci. Abbiamo impiegato un sacco di tempo a scendere verso il molo perché il legno umido della passerella è iperscivoloso e tra un hati hati licin e un maiale scivoloso dovevamo camminare molto lentamente. Finalmente giunti al fiume ci siamo seduti in attesa, bisognosi di una doccia, di fare il bucato e di dormire in un letto vero. Eppure lasciare la giungla mi ha fatto sentire triste, forse come ogni volta che finisce un'avventura, forse perché è stata stupenda e terribile allo stesso tempo, piena di meraviglie e misteri, piena di sorprese e imprevisti e io non ero ancora pronta a dirle addio.
Salutata la grande famiglia abbiamo imboccato una lunghissima passerella di legno costruita per far arrivare i visitatori dal molo fino al centro senza dover nuotare nel sentiero in caso di pioggia. Bella pensata. Noi l'abbiamo percorsa al contrario perché venivamo dalla foresta e andavamo verso il fiume dove la Rimba Princess, che ci aveva scaricati tre giorni prima, stava per venire a riprenderci. Abbiamo impiegato un sacco di tempo a scendere verso il molo perché il legno umido della passerella è iperscivoloso e tra un hati hati licin e un maiale scivoloso dovevamo camminare molto lentamente. Finalmente giunti al fiume ci siamo seduti in attesa, bisognosi di una doccia, di fare il bucato e di dormire in un letto vero. Eppure lasciare la giungla mi ha fatto sentire triste, forse come ogni volta che finisce un'avventura, forse perché è stata stupenda e terribile allo stesso tempo, piena di meraviglie e misteri, piena di sorprese e imprevisti e io non ero ancora pronta a dirle addio.
Harapan village con
rivelazione
Dopo la tanto attesa
doccia, un pisolino e il pranzo, siamo tornati con Ponco al primo
feeding point ad Harapan e nel tardo pomeriggio abbiamo visitato il
minuscolo villaggio sull'altra riva del fiume, giusto in tempo per
farci sorprendere dal nostro temporale quotidiano. Ci siamo rifugiati
con Ponco in casa di una coppia di vecchini suoi amici: Pak Mesran
che di mestiere costruisce e ripara tetti di foglie e sua moglie Ibu
Mulia che intreccia piante facendone bellissime sculture. Mentre ci
mostrava come crea un uccello da una foglia, fuori turbinava la
tempesta e Ponco le ha raccontato dei tamburi misteriosi uditi nella
giungla; lei, senza nemmeno scomporsi troppo, ci ha spiegato che
ovviamente erano gli spiriti delle tigri. Ah bene! Gli spiriti suonano
per dare il benvenuto e quando la musica è in lontananza, come nel
nostro caso significa, che sono vicini e viceversa.
Ci sono gli spiriti delle
cascate, quelli delle montagne, quelli della foresta e tanti altri,
ci credono tutti in Borneo sia i musulmani che le tribù Dayak che
sono indu. Ponco era tutto contento perché era prima volta che li
sentiva suonare e gli ho chiesto: -Scusa, ma ci sono tigri in
Borneo?- e lui -No, solo il leopardo nebuloso.- Perché faccio tante domande?
Oh questa Indonesia piena
di magia e contraddizioni, piena di meraviglie e disastri, così
bella e così maltrattata!
Camp Leakey e l'albero
di Natale
Per l'ultimo giorno in
Kalimantan la natura ci ha fatto un sacco di regali cominciando
all'alba, verso le 5, con un gran baccano sul tetto della stanza e
tra gli alberi intorno al lodge. All'inizio abbiamo pensato fossero i
soliti macachi dispettosi, ma poi abbiamo riconosciuto il verso delle
scimmie con la proboscide, così siamo usciti in mutande con le
macchine fotografiche per cercare di catturare uno dei loro salti
spettacolari. Impresa fallita.
Alle 7.30 siamo partiti
con l'ormai nostra barca, visto che da giorni è dedicata solo ai
nostri spostamenti. Direzione: il luogo da cui era partito il trekking,
Pondok Tanggui Camp, perché avevo delle matite colorate da regalare
al figlio di Herna per ringraziarla delle patate che ci hanno
permesso di avvicinare gli orangutan. Un'altra scatola di matite è
andata al cuoco della Rimba Princess, per la sua bambina di cinque
anni e lui ci ha ringraziato preparandoci del buon caffè.
Più tardi abbiamo
risalito il fiume per 20 km verso il più famoso centro di
conservazione e riabilitazione degli oranghi del Borneo: Camp Leakey.
Due ore di viaggio che però sono volate mentre si contemplava il
paesaggio da romanzo intorno a noi. Siamo riusciti perfino a osservare sul serio alcuni degli uccelli che Ponco ci ha mostrato su
un libro, colori straordinari e canti stranissimi. A metà percorso, abbiamo preso una diramazione del fiume e in quel punto si vede perfettamente quel cambiamento di colore dell'acqua di cui avevamo sentito parlare, dal torbido marrone dell'inquinamento da miniera al limpido tè che
vedrete nelle foto. Questo ramo è molto più stretto del principale
e ci si sente ancor più avvolti dalla natura, mentre lentamente si
arriva in prossimità del molo di Camp Leakey e ci fermiamo sulla
riva opposta per pranzare.
Potete leggere in Internet la storia di Camp Leakey e le incredibili vicende di alcuni
orangutan che ci vivono o vivevano come Kusasi e Princess, intanto vi
racconto della nostra visita. Camp Leakey non è per turisti, ma solo
per ricercatori, cioè può essere visitato in certi orari, ma non si
può restare la sera e non ha strutture per ospitare turisti. Il
centro informazioni, che fa anche da piccolo museo, si raggiunge
percorrendo una lunga passerella di legno come quelle a cui ci siamo
abituati in questa zona che si allaga ad ogni temporale. A un bivio,
invece che proseguire verso il centro, Ponco ci porta nella direzione
opposta perché ha notato Siswi, una orangutan adulta, che seguiva
due ranger verso il fiume dove volevano farsi il bagno. Abbiamo
chiesto loro se fosse possibile avvicinarci e ce l'hanno permesso
purché senza disturbare. Quindi, mantenendo una certa distanza, abbiamo osservato Siswi imitare i ranger che si facevano lo shampoo
nel fiume. Si è insaponata da sola e poi ha preso un
secchio e si è versata l'acqua in testa. Ah che spettacolo! Gli
orangutan sono grandi osservatori e imparano velocemente.
Dopo questo bel fuori
programma siamo tornati verso il centro informazioni dove, su una
parete, sono appese le foto delle famiglie di orangutan in un grande
albero genealogico. Qui sono conservati cimeli della fondatrice Biruté
Galdikas, ad esempio la lampada a olio ricavata da una scatola di
sardine, l'unica luce nella capanna che costruì in questo
punto con suo marito nel 1971, cominciando a proteggere la foresta e i
suoi animali. Ci sono pannelli che spiegano quali sono le minacce a
questo splendido parco nazionale, cosacce che ci sono già note come
le coltivazioni di palma da olio, gli incendi dolosi, l'inquinamento
e la caccia.
Fuori dall'edificio abbiamo incontrato una famiglia di maiali selvatici con tanti piccolini e Ponco ha esclamato -Maiale scivoloso!- ovviamente.
Fuori dall'edificio abbiamo incontrato una famiglia di maiali selvatici con tanti piccolini e Ponco ha esclamato -Maiale scivoloso!- ovviamente.
Più tardi, al feeding
point, insieme a una quindicina di oranghi di varie età, si è
presentato perfino un gibbone. Finalmente l'abbiamo incontrato, dopo
averlo tanto ascoltato urlare e cantare nella giungla.
Ponco ci ha raccontato le
storie di alcuni di questi oranghi che sembrano telenovela: chi ha
litigato con chi, le coppie, le rivalità, le sfide per la supremazia nel branco.
Prima di tornare al
lodge, visto che alle 6 di sera è già buio, Ponco ha chiesto a
Capitan Due Denti di portarci in un punto speciale del fiume. Dunque siamo scesi di nuovo
lungo il Kumai, che ci è diventato così familiare. Intanto, in
lontananza, si stava formando una nuova tempesta con grosse nuvole
scure illuminate da un tramonto che la fitta e alta vegetazione non
ci lasciava intravedere. Giunti sul posto hanno spento le luci della
barca accanto a un grande albero. Ecco apparire una prima lucciola e poi blink blink blink se
ne sono accese tantissime altre, centinaia. Brillavano intorno alla chioma di quell'albero accendendosi a intermittenza e disordinatamente sullo sfondo scuro della sera che calava. Sembrava un
albero di Natale in corto circuito, infatti è uscito il cuoco e ci
ha augurato Selamat Natal, appunto Buon Natale.
Triste partenza
Questa mattina ci siamo
imbarcati per l'ultima volta sulla Rimba Princess diretti a Kumai e
poi all'aeroporto di Pangkalan Bun.
Ero triste nel salutare
la giungla che in questi giorni mi è entrata nel cuore e ha voluto
regalarci un ultimo spettacolo: un branco di scimmie con la
proboscide ha attraversato a nuoto il fiume davanti a noi. Portavano
i piccoli sulla schiena e nuotavano “a cagnolino” dalla riva
delle piantagioni a quella del parco nazionale. Sergio ha avvistato
anche una scimmia Silver Leaf, quelle con la cresta grigia in testa.
La giungla ci ha voluti salutare, come gli spiriti con i tamburi.
È stato bellissimo
vivere qui, anche solo per cinque giorni, e spero che alla fine le
associazioni che proteggono questa natura abbiano la meglio sugli
interessi economici perché vorrei tornare e ritrovare tutto questo.
Anche se il TdC mi ha
maledetto quando il temporale ci ha sorpresi nella giungla (infatti
la cosa che mi ha fatto più paura quella notte era che lui mi
strangolasse nel sonno), alla fine mi ha ringraziato per aver scelto
questa meta che consigliamo a tutti voi.
Ci sentiamo poi da
un'altra fantastica isola: Sumatra.
P.s. Papà, ho chiesto
della pianta carnivora gigante, ma non avevano molte informazioni
qui, le montagne sono parecchio più a nord di dove eravamo noi.
Ciao belli!
RispondiEliminaAnche io vi leggo (e Piero con me).
Credo che questo diario del Borneo sia il più avventuroso e bello che abbia letto fin'ora.
Sembrava di essere lì con voi, immersi nel fango!
Le foto non fanno che aumentare la voglia di vivere le vostre meravigliose avventure.
Speriamo presto in buone nuove da Sumatra!
Un bacione!
G.