lunedì 27 ottobre 2025

Treewatching e coccodrilli

Per l'ultima escursione a Sumatra, abbiamo indossato tutti e tre le nostre magliette di guardian of the wild.


Dan ci raggiungerà nel pomeriggio. “Mi farò venire a prendere da Yahya o Dino” mi scrive e sappiamo già a chi toccherà.

Entriamo nel parco dall'ingresso vicino alla guesthouse e restiamo fermi al posto di guardia in attesa del ranger che deve accompagnarci. Aspettiamo un po', un altro po', e i ragazzi cominciano a innervosirsi perché ci stiamo perdendo il momento migliore per osservare la foresta che si sveglia, ci siamo alzati presto apposta. Per distrarci, Kiki ci fa scendere dal pickup e ci mostra i pannelli informativi installati a lato della strada: elencano le specie di uccelli e mammiferi presenti nel parco con le aree di avvistamento. È un progetto che ha realizzato lei e ce ne sono altri in altre zone del Way Kambas che ne descrivono fauna e flora. Li avevo visti l'anno scorso a Bambangan, ma un branco di elefanti selvatici li ha abbattuti, per giocarci. Questi all'ingresso sono gli unici rimasti in piedi. Intanto, vediamo partire un altro ranger con un gruppo di turisti, mentre noi che siamo qui con ALeRT veniamo messi da parte. C'è sempre una certa tensione nei rapporti con il personale del parco, i ragazzi sanno di chi fidarsi e chi approfitta del proprio ruolo, ma sono costretti a ingoiare tanti rospi per poter continuare la loro attività nella foresta. Non si tratta solo della tipica pigrizia dei dipendenti statali che è diffusa in ogni paese del mondo, c'è anche corruzione, complicità con i bracconieri e c'è chi porta i propri parenti a pescare illegalmente nei fiumi del Way Kambas la domenica, purtroppo le denunce cadono nel vuoto oppure si risolvono in piccole multe. ALeRT lavora con gli abitanti dei villaggi e i ranger onesti anche per cambiare questo sistema, attirandosi l'ostilità degli altri ovviamente. Io non so mai in anticipo se le persone che mi presentano o quelle che ci fermano per controlli sono amici o nemici, quindi evito di dare troppo confidenza finché non scopro da Dan da che parte stanno ed è davvero brutto che esistano delle parti.

Comunque, i ragazzi si stufano di aspettare, ci mandano avanti con il pickup, mentre l'altra auto resterà ad attendere il ranger. Ci ritroveremo al fiume Kanan dove abbiamo in programma un giro in barca. Il tragitto attraverso la foresta fino al fiume è spettacolare, pare di infilarsi in un tunnel tutto verde e anche la temperatura è molto piacevole, finalmente si respira. Frange di liane che drappeggiano i rami protesi sulla strada, rampicanti che rivestono i grandi tronchi abbattuti dai temporali o dalle termiti, alberi così alti che non stanno in una foto e bisogna riprenderli in video dalle radici alla chioma che si perde nel cielo. C'è chi viene in Indonesia a fare birdwatching, io faccio treewatching.

Giunti a un'ampia radura affacciata sul fiume, scopriamo che il ranger assegnato al nostro accompagnamento è già lì. Le auto dei ragazzi sono, come sempre, cariche di vettovaglie e attrezzatura che il povero Dino aiuta a scaricare e sistemare sulla barca, ma poi non viene con noi e nemmeno Yahya. Partiamo con una sola grande canoa a motore: Fra e Fra davanti, io e Kiki dietro di loro, poi Eddie, il ranger e naturalmente il pilota.

Il fiume è più ampio di quello percorso in canoa in Kalimantan, quindi gli alberi dalla riva non riescono a farci ombra e comincia a fare caldo. Mentre navighiamo verso il punto in cui ci fermeremo per un pranzo al sacco, ci scorre intorno una foresta di palme, banani, mangrovie e alberi dalle forme esotiche, inoltre, abbondano le piante acquatiche, tanto che in alcuni tratti sembra di navigare attraverso un prato. Avvistiamo diversi uccelli e aquile, ma il pilota non rallenta per farci scattare qualche foto o per avvicinarci a osservare meglio, si nota che è un semplice trasportatore e non un accompagnatore turistico (capitan canotta in Borneo riusciva contemporaneamente a guidare il grande klotok, fumare e avvistare un uccello verde su sfondo verde portandoci esattamente sotto il suo ramo). Qualche macaco agita rami in lontananza e si odono i richiami delle scimmie Siamang, però in generale vediamo molto poco navigando così velocemente e arriviamo al punto di approdo un po' delusi. Sono dispiaciuta per Francesca e Francesco perché avevo creato grandi aspettative, raccontando dell'anno scorso con Hari quando avevo osservato e fotografato uccelli di ogni specie, ma era un altro tratto del fiume e soprattutto un orario diverso, il tramonto. Siamo in anticipo anche per pranzare, visto che sbarchiamo alle dieci e mezza, così i ragazzi preparano tè, caffè e frutta. Accendono un fornelletto per l'acqua in uno spiazzo tra gli alberi dove si siedono a terra a preparare lo spuntino, mentre per noi sistemano delle comode sedie da campeggio all'ombra con tavolino e vista fiume. Quella separazione ci ha messi a disagio, sembravamo tornati ai tempi dei colonialisti bianchi, come ha commentato Francesco. Abbiamo insistito per stare tutti insieme, ma ci hanno comunque servito bevande e frutta sul tavolino. Credo che volessero fare bella figura con Francesca e Francesco e non fossero sicuri di quanta confidenza dare in assenza di Dan.

Per tirare l'ora di pranzo, ci siamo incamminati per un piccolo trekking nei dintorni con il ranger che ci ha raccontato del problema della pesca illegale nella zona. Mentre passeggiavamo con Kiki ed Eddie che traducevano le informazioni, ho notato una bottiglia tra le foglie che ricoprivano il terreno, poi altri rifiuti in plastica: i resti del bivacco di pescatori di frodo. Mi urtava vedere tutta quella spazzatura abbandonata, allora ho proposto di radunarla in un punto e portarcela via al ritorno, in fondo siamo qui per contribuire alla protezione della foresta, non solo a visitarla. Ci siamo dati tutti da fare e ne è venuto fuori un bel mucchio. Il ranger mi è parso interdetto per un attimo, poi ha partecipato e ha affermato che ripulire i campi base di bracconieri e pescatori serve anche a monitorare nel tempo quanto vengono usati. Non sono sicura che lo facciano spesso quanto dice, anche perché l'area verde intorno al loro ufficio fa abbastanza schifo, piena di mozziconi di sigaretta, carte di merendine e perfino pile esaurite. Però oggi è stato fatto.

Ho chiesto a Kiki la differenza tra le parole rimba e utan perché entrambe mi vengono tradotte con foresta. Rimba è nel nome di ALeRT (acronimo di Aliansi Lestari Rimba Terpadu), dell'ecolodge in Kalimantan e del nostro klotok, utan nella parola orangutan dove orang è persona e utan foresta che gli indigeni utilizzavano per indicare i miei primati preferiti come abitanti della zona. Non è stato facile per lei spiegarmelo in inglese, ma credo di aver capito che rimba indica la giungla, una foresta selvaggia, mentre utan è il termine generico per foresta, area boschiva.

Dopo pranzo, Francesca passeggia in riva al fiume cercando di avvistare qualche uccello con il binocolo, durante questo viaggio ha scoperto la passione per il birdwatching. Ad un tratto, la sentiamo chiamare: “C'è un... un... un...” non le viene la parola dall'emozione, ma corriamo tutti a guardare il punto del fiume che sta indicando, appena in tempo per scorgere un grosso coccodrillo inabissarsi e sparire. Era nella lista degli animali da vedere e, grazie alla Fra, l'abbiamo spuntato anche se non abbiamo fatto in tempo a fotografarlo. Era una bestia davvero enorme e si è lasciata dietro una lunga scia di onde, mentre fuggiva disturbata da tanta attenzione. Eddie ci spiega che la popolazione di coccodrilli è cresciuta a dismisura perché vengono rilasciati qui anche quelli recuperati dagli zoo di Giava e Bali e, in assenza di predatori, hanno comodamente invaso le acque dove, fino a pochi anni fa, i ragazzi nuotavano nelle giornate calde. È anche a causa dei coccodrilli che l'anatra alibianche è in pericolo, oltre alla caccia e all'inquinamento delle sue zone di residenza preferite.

Ci rimettiamo in barca per tornare indietro proprio all'orario consigliato dai dermatologi: l'una. Nemmeno i coccodrilli sfidano il caldo a quell'ora. In pratica, non abbiamo navigato, ci siamo arrostititi al sole. Decisamente, non l'escursione che mi aspettavo.

Non appena sbarcati all'ufficio dei ranger, quello con la spazzatura nelle aiuole, abbiamo cercato ombra e acqua fresca. Dino è andato a prendere Dan e, intanto, si taglia altra frutta, attirando un gruppo di macachi in cerca di avanzi. Si preparano anche tè e caffè che, non ci si crede, aiutano a sopportare meglio il caldo. Io voglio andare a fotografare gli alberi lungo la strada da cui siamo arrivati la mattina, ma Kiki segue gli ordini di Dan alla lettera: dobbiamo aspettarlo qui. Passa il tempo, mi annoio e scatto qualche foto agli alberi più vicini e all'insegna dell'ingresso della radura dove si sono appesi due graziosi pipistrellini in attesa della sera. Pian piano, mi allontano, sperando che Kiki non mi richiami indietro. Mi accorgo che i miei &friends mi vengono dietro, anche loro annoiati dall'attesa e, poco dopo, arrivano Kiki, Eddie e il ranger. Mi seguono a distanza, non dovrei allontanarmi da sola, però sarebbe scortese impedirmi di andare e i ragazzi sono combattuti. Mi viene da ridere, sembra di giocare a un, due, tre, stella.

A liberare tutti dall'imbarazzo, finalmente arriva Dan. Con lui saltiamo sul pickup e partiamo nella frescura della foresta, questa volta fermandoci a contemplare e fotografare la maestosità delle piante che si intrecciano intorno a noi e su fino in cielo. Il percorso verso l'uscita dal Way Kambas si trasforma in un safari perché, passate le ore più calde, la foresta si rianima di uccelli e scimmie. Avvistiamo macachi codalunga e siamang. Eddie salta giù dal mezzo e li insegue con l'obiettivo tra gli alberi, mentre la Fra è ormai un tutt'uno con il binocolo.

Incrociamo la pista che porta al sito della protezione rinoceronti e parliamo di quanto sia triste che ne siano rimasti così pochi da essere ormai considerati ufficialmente estinti. Al Way Kambas sono sette quelli che vivono nell'area del centro di monitoraggio e non ne sono stati avvistati di selvatici nel resto del parco dal 2017, né in altri parchi. "Chissà se sanno di essere gli ultimi della loro specie" mi domando ad alta voce "Spero di no" mi rispondono Dan e Francesca, sarebbe ancora più triste se si rendessero conto che non c'è nessun altro esemplare come loro al mondo e stanno per scomparire per sempre. Dan ci informa che ALeRT ha anche un piccolo sito in Kalimantan dove ne è rimasto soltanto uno. Mi viene piangere: uno, tutto solo. Ci dice che può organizzare di farcelo incontrare la prossima volta che torniamo in Indonesia. Io voglio andarci di sicuro, anche se so già che mi spezzerà il cuore, voglio andarci l'anno prossimo e raccontare la sua storia.

Vorrei avere più tempo, vorrei restare a osservare la giungla che muta dal mattino alla sera, vorrei dormirci dentro e farne parte. Mi sento a mio agio con i piedi nel fango, con le mani nella terra, con le foglie nei capelli e non mi disturbano le creature che riempiono di vita ogni angolo (tranne le zanzare, quelle devono morire tutte), invece ho paura delle città, mi fanno sentire in pericolo, sporca e malata. Non so spiegarmi da dove provenga questo richiamo così intenso e profondo verso le foreste, forse in una vita precedente ero davvero un albero. In fondo, sono figlia di Albero Colombo.

Usciamo dal Way Kambas e ci voltiamo tutti a salutarlo perché domani si parte per Bali. 

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