sabato 18 ottobre 2025

Galli e bambini

Alla feeding station di Pondok Tangguy, alle nove del mattino, gli alberi erano pieni di macachi che pur di accaparrarsi qualche banana allungavano le manine sulla piattaforma e rubavano al maschio dominante della zona, Jacob, mentre gli altri orangutan attendevano nei dintorni che lui fosse sazio prima di avvicinarsi. È sempre interessante osservare i comportamenti e le relazioni del gruppo, gli sguardi che si lanciano, i gesti. I cuccioli hanno sempre una mano aggrappata al pelo delle mamme e ne seguono ogni movimento. Quelli un po' più cresciuti giocano tra i rami facendo pratica di arrampicata, talvolta afferrando un ramo troppo sottile che si spezza all'improvviso lasciandoli appesi per un piede o una mano in posizioni buffe. Rimarremmo volentieri a goderci lo spettacolo, ma è giusto che la presenza di turisti sia limitata, in fondo siamo ospiti imbucati alla colazione degli abitanti della foresta.

Riprendiamo la Rimba Queen e navighiamo indietro verso il lodge per il pranzo. Lungo il tragitto, Krisna ci racconta che da bambino aveva un gibbone come animale domestico. Un tempo, per la gente era normale, non conoscevano il danno e il dolore che stanno dietro la cattura di un cucciolo (per ottenerlo e venderlo viene sterminata la famiglia che lo difende), né sapevano che liberarlo una volta adulto significava condannarlo a morte perché non sarebbe mai stato in grado di sopravvivere nella foresta, né erano consapevoli che detenere un animale selvatico fosse illegale. Due mesi dopo che il padre di Krisna aveva comprato il gibbone, la polizia aveva bussato alla sua porta e sequestrato il cucciolo per portarlo in uno dei centri di riabilitazione. La famiglia non ha avuto conseguenze legali poiché era la prima volta e gli agenti si rendevano conto che nelle isole meno abitate e nelle località più isolate, le informazioni riguardo le leggi del governo di Jakarta non sempre arrivavano per tempo, non c'era comunicazione, né educazione ambientale. Il merito di Biruté Galdikas, tra gli altri, è stato proprio quello di spiegare alle comunità il loro impatto sulla salute della giungla, insegnare loro il rispetto per gli animali e aiutarle ad adottare uno stile di vita più sostenibile. Sono contenta che con l'avvento di Internet le informazioni ora viaggino più velocemente e raggiungano tutti, per questo motivo i giovani sono più consapevoli e sensibili ai temi ambientali, e poi vivono sulla propria pelle i danni causati al pianeta dalle generazioni precedenti, inclusi noi, che non si rendevano conto (o se ne fregavano) di inquinare, sprecare, deforestare, estinguere più di quanto la natura potesse sopportare. Mi fermo, scusate se ogni tanto mi parte la ramanzina ecologista, ma quando vedi di persona questi luoghi e questi animali, la meraviglia è tanta che l'istinto di proteggerla mi prende la mano.

Dicevo, ci godiamo le chiacchierate sul klotok che procede placido attraverso un magnifico panorama e Krisna ci illustra il programma del giorno dopo: appuntamento al molo del lodge alle 6 (quindi sveglia alle 5.30), colazione bordo, approdo ad Harapan (la feeding station infestata di zanzare del primo giorno), trekking di circa tre ore nella giungla fino a un ramo del fiume più piccolo dove prenderemo le canoe per una crociera a filo d'acqua fino a tornare nel grande fiume Sekonyer e al lodge.

Nel programma che avevo ricevuto prenotando, era segnata solo la gita in canoa e, visto che il giorno prima a Camp Leakey a momenti collassavo per due ore di camminata, dico ai ragazzi che non me la sento di farne tre. Krisna dice che posso anche raggiungere direttamente l'approdo delle canoe e aspettare là i miei compagni, così non rallento tutti e non rovino la giornata con le mie lamentele. Ma loro insistono: e se incontriamo il leopardo nebuloso mentre tu non ci sei? E se ti perdi qualcosa di rarissimo? E, come diceva padre Maronno, se poi te ne penti? Dai, dai, dai, dai, dai, dai, dai, dai, dai, dai, dai, dai, dai, dai, dai, dai, dai... finché, per sfinimento, ho accettato. E va bene! Lo faccio, il cazzo di trekking!

Dopo un bel pranzetto al lodge, ci siamo rilassati un paio d'ore, chi leggendo, chi facendo l'enigmistica e io scrivendo il blog, poi siamo salpati di nuovo alla volta del villaggio Sekonyer (sì, stesso nome del fiume), quello che prima stava sulla sponda che è diventata parco nazionale e ora sta di fronte. Per scendere dal klotok bisognava saltare su un piccolo molo flottante e poi salire su quello fisso. Sul bordo di quello galleggiante, un abitante del villaggio si stava insaponando per poi lavarsi nel fiume. Francesco è saltato per primo, hop, hop, ed è sul molo fisso. Tocca a me e, leggiadra come sempre, atterro a piedi uniti sul flottante e lo affondo, buttando in acqua il povero signore che, per fortuna, la prende sul ridere, nel senso di ridere di me, stupida turista bianca. La Fra, visto che il flottante era mezzo sommerso, ha fatto un salto più lungo, atterrando sul fisso, mentre io ancora mi scusavo. Sono un disastro, tutti mi chiedono (e pure io) come abbia fatto a sopravvivere finora in giro per il mondo. Se, però, fossi meno imbranata e facessi tutto alla perfezione non vi divertireste né a leggere questo blog né a prendermi in giro.

Comunque, cominciamo a visitare il villaggio che pur essendo povero è molto carino. Krisna ci spiega che i tetti con le assi a X sui frontoni sono tipici dell'etnia Dayak e che gli abitanti hanno mantenuto la loro cultura animista sebbene convertiti all'Islam. C'è infatti una graziosa piccola moschea lungo la via principale di terra battuta che finisce nei campi. I 250 residenti sono principalmente contadini e pescatori, qualcuno lavora a Kumai facendo il pendolare, il resto sono bambini e galli che scorrazzano tra le casette colorate. A proposito di bambini, ce n'era un gruppetto che faceva il bagno nel canale che dal fiume attraversa il villaggio, giocando a tirarsi un pallone. Krisna, che ci stava ancora raccontando delle usanze animiste, li indica e dice: “...infatti questi bambini non stanno giocando, li buttano in acqua per annegarli come sacrificio per gli spiriti.”


La nostra spiritosissima guida ci mostra anche l'edificio che ospita la piccola clinica locale dove lavorano infermiere e ostetriche, la Fra si propone subito per trasferirsi a lavorare qui, ma dovrebbe divorziare perché il Fra vuole vivere in un posto freddo. Scopriamo da Krisna che in Indonesia, dopo la laurea, ogni medico, infermiera e ostetrica deve obbligatoriamente prestare servizio per due anni in un villaggio remoto per fare esperienza, prima di poter scegliere dove proseguire la propria carriera. 

Svoltiamo verso la scuola, che comprende elementari e medie, mentre le superiori sono a Kumai, e, lungo la strada, ci fermiamo a comprare qualche cartolina perché, a differenza di quelle sbiadite che si trovano in giro da quando sono passate di moda, avevano delle foto molto belle della fauna locale. Nel cortile della scuola, sei ragazzine delle medie stavano facendo le prove per uno spettacolo di danza e ci chiedono se vogliamo far loro da pubblico. Ma certo! La Fra registra un video e loro sono un po' emozionate, ma alla fine completano la lunga coreografia con i nostri applausi. I bambini più piccoli, invece, ci invitano a travasare tre piantine nelle buche che avevano già scavato per il loro piccolo progetto di riforestazione. Ci prestiamo volentieri e loro ci fotografano tutti fieri. Per l'albero Alberto, aspetto di arrivare a Sumatra perché voglio piantarlo in un posto dove so che tornerò negli anni per vederlo crescere.

È stato piacevole e interessante visitare questo villaggio perché non è stata la classica messa in scena per turisti, ma una vera lezione di storia e cultura locale. 

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