Sapete che trascorro sempre un paio di giorni a Bali prima di tornare dall'Indonesia. Di solito per essere sicura di arrivare in tempo per il volo internazionale, svuotare la valigia in lavanderia e fare un giro al mercato. Questa volta, ne ho previsti un po' di più per permettere a Francesco che non c'è mai stato di visitare l'isola degli dei e per farlo stare un po' comodo dopo che ha pazientemente sopportato Kalimantan e Sumatra (che poi gli sono piaciuti un sacco, comunque). In fondo, serve anche un po' di relax in vacanza, dopo aver tanto esplorato e fatto attività, quindi ce la siamo presa comoda, decidendo al momento cosa ci andava di fare. Naturalmente, ho scelto di stare a Ubud perché neanche ai miei amici interessano le spiagge per surfisti e i locali per la vita notturna, poi avremmo deciso da lì cosa visitare nei giorni successivi.
La prima mattina, ho consegnato in reception il mio sacco per la lavanderia e, dopo la colazione in giardino, ho portato i miei &Friends in giro per la cittadina. A Francesca era piaciuta tanto la danza tradizionale che nel 2019 abbiamo visto rappresentata dagli abitanti di un quartiere a nord della via principale e vogliamo portarci suo marito. I biglietti erano in vendita fuori dal mercato, ma non troviamo i venditori quella mattina, quindi facciamo un giro tra le coloratissime bancarelle ripromettendoci di riprovare più tardi. La piazza del mercato è occupata da lavori in corso per il rifacimento della pavimentazione, quindi le bancarelle si sono temporaneamente diffuse in diverse strade. La mattina presto, vendono principalmente prodotti alimentari per gli abitanti che si affollano con motorini e sacchetti prima di andare al lavoro. Verso le 10, invece, compaiono abbigliamento, casalinghi, opere d'arte e artigianato e souvenir per i turisti. Francesca si imbarazza a contrattare, quindi siamo io e Francesco a occuparci degli acquisti. Percorriamo le vie più conosciute, poi mostro loro un paio di scorciatoie e il vicolo che sbuca dietro il nostro alberghetto. Fa sempre caldo, ma non ci sono zanzare e possiamo stare in maglietta, pantaloncini e sandali. Francesco è più rilassato!
A pranzo, stendiamo un programma per i tre giorni che abbiamo a disposizione: visitare Tanah Lot, il famoso tempio sul mare ritratto in tutte le cartoline, poi la valle di Jatiluwih con le risaie patrimonio dell'Unesco e fare la passeggiata Campuhan ridge walk. Il resto del tempo per acquisti vari, andare all'ufficio postale a imbucare le cartoline e assistere alla danza kecak che, da cartelloni esposti all'imbocco del quartiere, scopriamo essere in programma per quella sera.
A Ubud è facile orientarsi una volta presi un paio di punti di riferimento, così, dopo pranzo, posso lasciar libera la coppia di visitare la Monkey Forest, mentre io torno in camera ad aggiornare il blog. Ci diamo appuntamento più tardi alla banca dove dobbiamo prelevare. Per arrivarci, passo davanti al mercato e trovo i venditori di biglietti per le danze. Ne compro subito tre, sperando che i ragazzi non facciano lo stesso, ma sono abbastanza sicura che non abbiano contanti sufficienti. Sono fortunata, quando li incontro mi dicono di aver visto i venditori, ma non avevano ancora prelevato.
La sera, prima di andare allo spettacolo, ci concediamo un aperitivo vicino all'albergo con le prime birre della vacanza perché in Borneo e Sumatra se ne trovano, ma non beve nessuno, mentre a Bali, di religione induista, si beve liberamente e non dobbiamo sentirci irrispettosi. Certo, la birra Bintang non è un granché perché purtroppo l'Indonesia è stata una colonia olandese, fosse stata tedesca la birra sarebbe migliore, ma ci accontentiamo.Negli anni, ho assistito a diverse danze balinesi, ma la kecak è la mia preferita perché accompagnata da un coro che sostituisce gli strumenti e la versione di quartiere mi piace ancor di più perché il gruppo è formato da famiglie, dai bambini ai nonni, tutti impegnati a portare avanti una tradizione millenaria. Francesca l'aveva apprezzata molto sei anni fa e anche Francesco ne esce soddisfatto.
Sulla via del ritorno, ci fermiamo a uno dei chioschi che organizzano tour dell'isola. Non ci interessano le giornate intere con tappe serrate, chiediamo quindi se si può prenotare un'auto che ci porti solo a Tanah Lot e ritorno il giorno dopo. Ci accordiamo perché venga a prenderci alle 14, poi, se il servizio ci piacerà, prenoteremo anche per Jatiluwih.
Il secondo giorno, ci alziamo presto per percorrere il Campuhan ridge walk prima che faccia troppo caldo. Ci incamminiamo in una Ubud che a quell'ora appartiene ai suoi abitanti perché i turisti si alzano tardi e ritroviamo l'accesso al percorso panoramico dietro l'hotel a cinque stelle Ibah. Non decanto troppo la passeggiata, visto che la volta precedente Francesca e le altre compagne mi avevano preso in giro per averle fatte alzare all'alba quando il sentiero era lungo appena due chilometri. Comunque, vogliamo solo fare un po' di movimento lontano dal traffico del centro di Ubud e dal crinale di questa collina si godeva di una bella vista sulle valli di risaie circostanti. Almeno così ricordavamo io e la Fra. Camminiamo per molto più di due chilometri e la vista è ancora ostruita da bar, ristoranti e ville con terrazze panoramiche. Ci viene il dubbio di aver sbagliato strada, di esserci persi una svolta. Purtroppo non è così: il Campuhan ridge walk è stato inghiottito dalle costruzioni e per godersi il panorama che prima allietava la passeggiata bisogna sedersi in un ristorante e pagare la consumazione. Per fortuna, Francesca può testimoniare che il sentiero esisteva, altrimenti suo marito l'avrebbe definita un'altra delle mie invenzioni. Questa delusione mi ha fatto tornare in mente l'Australia, dove per legge i punti panoramici non possono essere occupati da spazi privati, devono restare almeno in parte a disposizione di tutti, devono goderne anche quelli che non possono permettersi di pagare la vista.
Il pomeriggio, addirittura dieci minuti in anticipo sull'orario concordato, il tassista Nengah viene a prenderci per portarci a Tanah Lot. Il meteo promette pioggia e ne incontriamo un po' lungo la strada. Avevo portato un pareo per Francesco da indossare come sarong per entrare al tempio, ma non è obbligatorio, è solo richiesto un abbigliamento rispettoso perché seppur sia diventato un'attrazione turistica, è pur sempre un luogo sacro per i balinesi. Quando arriviamo sta piovendo e Nengah ci presta due ombrelli che ha nel bagagliaio. Che gentile! Non entravo a Tanah Lot dalla prima volta quindici anni fa col TdC e lo trovo ancora un luogo splendido. Con la pioggia ha un aspetto ancora più solenne, i suoi edifici in pietra lavica nera sono circondati da un mare grigio che sembra di metallo. La grande differenza, però, è che a quest'ora del pomeriggio c'è bassa marea e l'edificio principale, che nelle foto del 2010 era un isolotto sferzato dalle onde di un mare turchese, oggi si innalza da una penisola percorribile a piedi. Con tutti i turisti infilati fin sotto il tempio, dove non è consentito entrare se non ai fedeli, la vista perde un po' di fascino. Individuo lo scoglio sul quale ero seduta nelle vecchie foto e chiedo ai miei amici di fotografarmi nella stessa posa, ma dobbiamo attendere che una turista finisca di scattarsi una serie di selfie nello stesso punto. Smette di piovere, arrivano i gruppi dei tour che promettono tramonti suggestivi da postare sui social e pare che nessuno abbia compreso il significato di "abbigliamento rispettoso". Allora, io sono per la libertà di ognuno di esprimersi e vestirsi come gli pare, soprattutto delle donne, però, sono anche per il rispetto della cultura e della sensibilità altrui. Francesco, malgrado il caldo, ha indossato i pantaloni lunghi per lo stesso motivo; Francesca e io abbiamo messo gonne lunghe e maglie non scollate, mentre intorno a noi sfilavano ragazzi in canotta e braghette da surf con ragazze in reggiseno del bikini. Certo, è la moda di oggi e non ci sono espliciti divieti, ma mi ha dato fastidio lo stesso. Chiamatemi Barbi bigotta.
Poiché ci siamo trovati bene con Nengah, l'abbiamo ingaggiato per portarci a Jatiluwih il mattino dopo. Con queste piccole gite, Fra e Fra hanno potuto anche vedere la Bali fuori dai centri urbani, quella dei miei ricordi come passeggera del motorino del TdC. Abbiamo attraversato quei paesini fatti solo di casette tradizionali con i tetti a pagoda e i tempietti di famiglia con i tetti in paglia scura che sembrano avere la frangetta; strade dove non si trova un distributore per chilometri e la benzina si vende in bottiglie di plastica nei cortili dei negozi; i warung, le trattorie locali, affacciati sulla via principale con le sedie di plastica scolorite e i banconi di legno un po' storti; i bambini che giocano a pallastrada e le galline che beccano il riso dai cestini di offerte agli dei; le vette dei vulcani che spuntano all'orizzonte con corone di nuvole e si specchiano nelle risaie; gli sciami di motorini che si vestono di impermeabili di plastica quando comincia a piovere; i falò di rifiuti a bordo strada; le donne in abiti tradizionali con le bellissime camicie ricamate, così eleganti anche in sella a un motorino con in grembo la cesta di fiori e frutta da portare al tempio; lunghe strade a una sola corsia che si inerpicano sui monti o scendono verso il mare seguendo la costa fino a spiagge nascoste e porti dai quali imbarcarsi per altre avventure tropicali. Questa è la Bali che amo e che sento sempre familiare.
Attraversando paesaggi e ricordi, giungiamo a Jatiluwih, sito patrimonio dell'Unesco dal luglio 2012 e quindi da allora, scopro oggi, con ingresso a pagamento. C'ero stata due volte quando passeggiare per la verdissima vallata era gratuito e non ci aspettavamo di dover pagare i biglietti, per di più solo in contanti. Ci restavano appena i soldi per pagare Nengah, avremmo dovuto prelevare di nuovo quella sera. Comunque, entriamo e il nostro autista va a passare il tempo nel parcheggio con i suoi colleghi, mentre noi ci addentriamo tra le risaie più famose del mondo. Bisognerebbe venirci in diversi periodi per vedere la valle trasformarsi a seconda delle fasi del raccolto. Oggi è verde di piantine di riso fresche, diventa poi gialla di spighe pronte per la mietitura e poi un mosaico di specchi d'acqua incorniciati dagli argini delle terrazze per la nuova semina. Il riso è protetto da tempietti e statue che propiziano un buon raccolto e la valle viene visitata sia dai turisti che dagli uccelli che si cibano di questo riso e degli insetti che gli girano intorno. Prima di tornare a Ubud, invitiamo Nengah a bere un succo di frutta fresco in uno degli innumerevoli bar vista risaie sorti intorno alla valle. Era sorpreso che gli offrissimo da bere, probabilmente i turisti che accompagna di solito non lo fanno.
Sulla via del ritorno, lo facciamo fermare un paio di volte per fotografare alcuni scorci che avevamo notato lungo strada. Uno si vedeva da un ponte dove c'erano lavori in corso, così ha parcheggiato poco prima e mi ci sono avventurata a piedi, solo che non potevo arrivare abbastanza avanti da inquadrare il bellissimo canyon verde di giungla sottostante. Nengah ci ha spiegato che stanno installando parapetti più alti perché da quel ponte si gettavano spesso i suicidi. Poco più avanti c'è un'altra Monkey Forest, quella di Sangeh che non conoscevo, ma la visiteremo un'altra volta, tanto siamo certi di ripassare da queste parti prima o poi.
A Ubud, concordiamo con il nostro autista che venga a prenderci il mattino dopo alle 6 per un'ultima corsa verso l'aeroporto. Andiamo a pranzo e ci accorgiamo che l'umore sta cambiando, si avvicina il rientro a casa e pensiamo già ai problemi quotidiani che ci aspettano nella vita e nel lavoro, ombre in agguato dietro gli angoli del destino che non vorremmo dover tornare ad affrontare, ma ci tiriamo su elencando le cose belle che ci aspettano allo stesso tempo: la famiglia, gli amici e i nostri gatti!
Prepariamo le valige e usciamo di nuovo a esplorare nuove vie di Ubud, più nascoste, scoprendo una deliziosa libreria e cartoleria con libri di storia indonesiana, quaderni con le copertine rivestite di tessuto batik, mappe antiche delle isole (purtroppo troppo costose per me, altrimenti ne avrei comprate mille), quasi un museo. Compro un quaderno, tornerò con più calma la prossima volta, peccato averla scoperta l'ultima sera. Allo stesso modo, in un altro vicolo che scende dietro il mercato, scopriamo che si può cenare presso alcune case tradizionali insieme alle famiglie che ci abitano. Che bella idea! La mettiamo nella lista delle cose da fare a Ubud la prossima volta che ci passiamo perché la Fra vuole tornare in Indonesia per andare a Flores a snorkelare con le tartarughe e il Fra si lamenterà per il clima, ma poi verrà con noi e si divertirà.
Abbiamo ormai una mappa mentale di Ubud con segnati i nostri posti preferiti e una definizione per ogni strada. Stabiliamo che la via dove alloggiamo è perfetta perché, seppur a due passi dal centro e compresa tra due strade affollate di negozi e locali, rimane tranquilla grazie alla prevalenza di lavanderie rispetto ai ristoranti, quindi la sera non c'è troppo movimento e il profumo di bucato pulito è sempre piacevole. Inoltre, c'è il piccolo warung a cui sono affezionata perché ci cenavo nel 2010 guardando la telenovela indonesiana. Non ho mai proposto ai ragazzi di mangiare lì perché temevo fosse troppo spartano per loro, invece, mi hanno detto che l'avrebbero provato perché è bello vedere che la cuoca e il marito cucinano al momento, non sono i piatti abbandonati in vetrina da giorni che abbiamo visto altrove. Va bene, lo aggiungiamo alla lista.
Arriva l'ora di tornare in camera, prendere in reception il thermos di acqua calda con cui fare colazione in stanza prima di partire, puntare la sveglia alle 5.30 e dormire un'ultima volta sotto le stelle calde dell'Indonesia.


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