Ricordate l'elefantina di cui vi ho parlato in questo post? L'anno scorso, aveva quasi perso la zampa in una trappola piazzata dai bracconieri, ALeRT e ERU (Elephant Renspon Unit) si sono presi cura di lei, l'hanno chiamata Elena e, grazie a un permesso speciali, siamo potuti andare a trovarla in uno dei quattro centri ERU del Way Kambas.
La sera prima della tanto attesa visita, Dan mi ha avvisata dispiaciuto di non poter venire con noi perché invitato a un meeting di lavoro proprio a metà giornata. Dunque, responsabili di accompagnarci questa volta sono Kiki ed Eddie.
Lei arriva con Yahya un po' in ritardo perché la via principale del villaggio è chiusa a causa dei preparativi per un matrimonio da due giorni, costringendo il traffico a deviare per stradine secondarie; Eddie ci avrebbe raggiunti al punto di ritrovo, un ingresso del Way Kambas un'ora a nord ovest, per un problema con la sua moto. Al povero Dino tocca ancora portarsi noi.
Quando ci ha caricati, stava ascoltando la sua musica rock indonesiana, ma ha avuto la malaugurata idea di essere gentile e farci scegliere cosa ascoltare. Si è sorbito System of a Down, Green Day, qualche cosa italiana da giovani scelta dai Franceschi. A un certo punto, accosta all'angolo tra due strade. “Ecco” dico “adesso ci fa scendere, riparte sgommando e urlando che si licenzia.” Invece, stava aspettando l'auto degli altri per indicargli dove svoltare, ma non ci hanno visti e sono passati oltre. Quindi li ha chiamati, poi abbiamo proseguito fino al punto dove si dovevano lasciare le auto ed entrare a piedi nel parco.
Mentre li aspettiamo, aiutiamo Dino a scaricare e, riunito il gruppo, trasportiamo tutto il necessario per la giornata lungo lo stretto sentiero sopra l'argine che segna il confine del parco nazionale. Il caldo è tremendo, ma almeno la sponda dove comincia il Way Kambas è ombreggiata dalla bella foresta, solo che per raggiungerla bisogna attraversare il fiume su una barca tenuta insieme dalle preghiere. Prima io con Kiki che ha paura dell'acqua, poi Fra & Fra, poi gli altri con i soliti pacchi di derrate alimentari. E, indovinate un po', il povero Dino non viene, rimane ad aspettare Eddie.
Una volta approdati tutti, zaini e pacchi vengono caricati su un carrello trainato da una moto, noi cammineremo e Kiki ci dice che mancano tremila metri al sito ERU. Il sentiero è all'ombra di bellissimi alberi, ma caldo e umidità sono alle stelle a quest'ora quindi ci preoccupiamo. Per fortuna, l'inglese di Kiki non è perfetto: intendeva trecento metri.
Il centro di Tegal Yoso non è aperto al pubblico, ALeRT ha richiesto un permesso speciale per noi per conoscere i membri dell'unità e farci raccontare cosa fanno, inoltre, parte delle nostre donazioni sono andate anche a ERU.
Intorno a un grande tavolo di legno, dove ovviamente ci servono caffè, tè, anguria, ananas e cocco, chiacchieriamo con i mahout che si prendono cura degli elefanti del parco quando sono feriti, malati o salvati da situazioni di maltrattamento. Facciamo tante domande e per illustrare meglio tutte le attività, ci indicano i pannelli appesi alle pareti. Ci sono foto di alcune azioni di soccorso, come il salvataggio di un elefantino caduto in una buca ricongiunto alla sua mamma; i giri di pattuglia per rimuovere le trappole dei bracconieri, con foto dei vari tipi di trappole e come rimuoverle insicurezza; supporto alle squadre antincendio e recupero delle aree bruciate. C'è anche un pannello con tutte le fasi di “addestramento” di un elefante salvato. Insegnargli a sollevare una zampa o la proboscide a comando non è per dare spettacolo ai turisti come purtroppo accade in molte occasioni, ma serve a facilitare i controlli medici con i veterinari specializzati. Scopriamo che per i casi più gravi esiste perfino un ospedale per elefanti nella provincia. Alcuni esemplari possono poi essere rilasciati nel parco e, ricordando i comandi imparati dai mahout, aiutano a riportare nel parco quelli che sconfinano nei campi; altri restano ad abitare nei quattro siti ERU perché non si riesce a inserirli nei branchi per vari motivi e vengono accuditi dagli uomini con cui stiamo chiacchierando e che, secondo me, fanno uno dei mestieri più belli del mondo. È stato molto interessante ascoltare le storie delle loro imprese, ma siamo impazienti di incontrare gli ospiti proboscidati, inclusa Elena, l'elefantina salvata dalla trappola. C'è un grande maschio legato sotto un tendone vicino all'edificio in cui pranziamo, è un calore e quindi aggressivo con gli altri, per questo è tenuto in isolamento, ma i mahout vanno a prenderne altri quattro per farceli conoscere. Siamo eccitatissimi.Mentre aspettiamo il loro arrivo, vengo umiliata da Eddie, che nel frattempo ci ha raggiunti con Dino, perché non solo conta in italiano fino a dieci come gli ho insegnato un anno fa, ma indicando gli escrementi raggruppati in un angolo, si ricorda pure “Cacca di elefante!”
Così ho imparato il 5 in bahasa: lima.
Arrivano gli elefanti. Camminano placidi tra gli alberi con i loro mahout sulle spalle. Un grosso maschio con una zanna sola, un giovane maschio con la sua mamma ed Elena che porta ancora sulla zampa le cicatrici della trappola che gliel'ha quasi tranciata. Sono meravigliosi. Guardarli arrivare dalla foresta con passo silenzioso nonostante la stazza è emozionante, una scena epica da film.
Sfilano davanti a noi, poi svoltano verso il fiume dove fanno due bagni al giorno e noi li seguiamo. Kiki ci chiama: “Simo and friends, this way” per indicarci il sentiero meno infangato. Simo & friends diventa il nostro nome collettivo. In un tratto di fiume circondato dalla splendida giungla tropicale, i pachidermi si sdraiano nell'acqua e si lasciano lavare e coccolare dai loro guardiani. Una bella lavata alle orecchie, via il fango dalle zampe, una controllatina ai denti. Sono bellissimi! Ci invitano a entrare in acqua con loro, ma non potremmo farci la doccia fino a sera e decliniamo, ma accarezziamo le proboscidi con cui prendono pezzetti di canna da zucchero dalle nostre mani. Dopo il bagnetto, li seguiamo di nuovo verso il centro, dove gli serviamo una lauta merenda di banane e patate comprate il giorno prima al mercato. Affido la macchina fotografica a Kiki e mi imbratto di banana schiacciata, saliva e amore di elefante. Qualcuno preferisce essere imboccato direttamente e la lingua cicciotta mi sbava mezzo braccio, ma non importa, sono ubriaca di tenerezza. Lo stesso è per Francesca e Francesco, felicissimi di incrociare gli occhi dolci e le forti proboscidi di questi maestosi animali, incuranti di sporcarsi perché è tutta natura (e tutti anticorpi).Non vorremo andarcene, ma è giunta l'ora di tornare a casa. Ringraziamo ALeRT e i mahout di ERU per la giornata indimenticabile, scattiamo le foto di gruppo che servono sempre per le raccolte fondi e rifacciamo il percorso verso le auto.
Durante il viaggio di ritorno, concediamo al povero Dino di scegliere la musica e scopriamo che la rock band indonesiana che ascolta ci piace parecchio.
Abbiamo ancora negli occhi e nel cuore l'incontro con gli elefanti, non si lava via con la doccia e la sera siamo stanchi e soddisfatti nel nostro portico che profuma di zampirone.
P.s. Francesco ha ripreso tutto con la GoPro montata sulla torretta accanto a noi, caricherò il video insieme agli album fotografici una volta a casa
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