martedì 21 ottobre 2025

L'albero Alberto

 La prima cosa che ho fatto a Sumatra è stata piantare con le mie mani l'alberello per il mio papà. 




Crescerà bello e forte, proteggerà altre piantine da troppo sole o troppa pioggia, sarà un posto sicuro e accogliente dove fare il nido, porterà allegria nella foresta e, siccome non ne ho capito il nome indonesiano, diciamo che la specie è coso. Papà, è proprio il tuo albero!


L'Alber(t)o Colombo si trova nel sito di riforestazione ALeRT di Susukan Baru nel parco nazionale Way Kambas. 

lunedì 20 ottobre 2025

Arrivederci, Kalimantan e benvenuti a Sumatra

L'ultima sera, abbiamo cenato in klotok per sentirci ancora immersi nella giungla. Partendo poco prima del tramonto ce lo siamo goduto in navigazione. Sembrava una cartolina vivente, con la splendida luce dorata del sole calante che illuminava le punte degli alberi e rimbalzava sull'acqua.

Mentre la cuoca ci preparava i suoi deliziosi manicaretti, contemplavamo il panorama e abbiamo incontrato un gruppo di piccoli macachi che giocava sulla riva. Più avanti, su un albero che svettava sopra gli altri, abbiamo avvistato una scimmia che finora ci era sfuggita: il Presbite Argentato. All'inizio ce n'era solo uno, poi due, tre, e altri ne sbucavano dal fogliame, arrampicandosi su per il tronco. Si sono accomodati ognuno su un ramo come decorazioni natalizie. Grazie, Kalimantan, per quest'altra sorpresa.

Il capitano con l'immancabile canottiera bianca ha spento il motore e legato il klotok sulla sponda del parco nazionale, sotto un gruppo di alberi che allungavano i rami verso il fiume e che un branco di Nasica aveva scelto come rifugio per la notte. C'erano femmine e cuccioli proprio sopra di noi e un grosso maschio più all'interno che a un tratto ha cominciato a innervosirsi, probabilmente per l'avvicinarsi di un altro branco. Infatti, mentre lui faceva versi minacciosi, tutte le altre scimmiette si sono agitate, saltando tra i rami verso un altro albero dove è cominciata una lite con urla e foglie che volavano dappertutto. Pareva di assitere al classico alterco per il parcheggio e il bisticcio si è smorzato gradualmente insieme alla luce del sole che sfumava dietro le sagome scure di piante stupende.

Le piogge di questi giorni, torrenziali a tratti, hanno dissetato e ripulito la foresta, rami spezzati e foglie si incontrano nel fiume formando isolotti galleggianti che si arenano sulle riva o viaggiano verso il mare trascinati dalla corrente. Alcuni trasportano semi che fioriscono durante il tragitto in alti cespugli d'erba. Osservando il klotok dal ponte posteriore, nella scarsa luce del crepuscolo, ho avuto l'impressione che si muovesse. Guardando meglio, ho notato che era fermo rispetto alla riva dove eravamo ancorati, mentre era qualcos'altro a muoversi sul fianco opposto: una grossa isola galleggiante si è appoggiata alla nostra barca, scivolando lentamente contro il legno per poi superarci e proseguire il suo viaggio verso il mare.

Si era fatto ormai troppo buio per vedere qualcosa, tantomeno fotografare, quindi l'equipaggio ci ha servito la cena, con uno zampirone acceso sotto il tavolo.

Siamo rientrati presto al lodge, ma alle otto e mezza qui sembra mezzanotte, e fatto il check in online per tornare a Jakarta e da lì subito a Sumatra, siamo andati a nanna visto che ci aspettava una levataccia. Per la gioia di Francesco, quando il maggio scorso, prenotando Rimba, ci avevano chiesto di scegliere tra partire dal lodge alle 4 del mattino o trascorrere l'ultima notte a Kumai per essere comodamente in aeroporto in tempo per prendere il volo dell 8.10, io e sua moglie abbiamo scelto la prima opzione. E così, sveglia alle 3.30 con lui che ha lo sguardo che bestemmia gli dei di tutte le religioni, mentre io e la Fra salutiamo ogni scimmietta, uccello, albero e il molo di Rimba.

A bordo, Krisna ci fa compagnia per il caffè, ma chiediamo di aspettare un'oretta prima di servire cose da mangiare, tanto ne servono due per arrivare a Kumai. Restiamo in silenzio o parliamo sottovoce anche se il motore del klotok sveglia tutti i turisti che dormono sulle barche lungo il fiume. Il cielo è scuro e coperto, ma le aperture tra le nuvole ci lasciano vedere tante stelle, la Via Lattea e riconosco la Cintura di Orione che vedo anche da casa in posizione diversa.

Quando lasciamo il fiume Sekonyer e ci immettiamo nel Kumai, salutiamo la giungla. Alla vista dell'insegna del parco nazionale Tanjung Putin con la statua dell'orangutan che saluta che si allontana alle nostre spalle quasi mi commuovo. Com'è possibile che proprio io, nata dall'altra parte del mondo, in città, in un ambiente dove tutto è facile e confortevole, incapace di praticare qualsiasi sport, sfiancata da una rampa di scale, mi senta a casa nella foresta pluviale? È un mistero, ma è quello che sento.

Al molo dell'ufficio di Ecolodges nel porto di Kumai, scattiamo una foto di gruppo con Krisna, Capitan Canotta, la cuoca e il mozzo-cameriere-tuttofare che in questi giorni si sono presi tanta cura di noi. Purtroppo il capitano si è messo la maglietta.


 Ringraziamo e salutiamo l'equipaggio, mentre Krisna ci porta in aeroporto a Pangkalanbuun. È stato un piacere conoscerlo, ci ha dato tante informazioni e ci ha fatto ridere con il suo humor nero e le sue indistruttibili Crocs blu tutte infangate. Terima kasih!

Due brevissimi voli dopo, usciamo dall'aeroporto di Bandar Lampung, sull'isola di Sumatra che è sempre Indonesia, ma è un altro mondo. Nessuna di queste diciassettemila isole si somiglia ed è il motivo per cui adoro questo arcipelago: in mezz'ora di volo si cambiano panorama, animali, piante, usanze, costo della vita, dialetto, condizioni delle strade, abbigliamento, cibo... 

Il mio fratello indonesiano Dan mi avvisa che c'è un taxi per noi all'uscita che ci porterà alla guesthouse, dove lui e gli altri ci raggiungeranno dopo cena. Infatti, troviamo un signore molto cordiale con il cartello “Simo & friends” in mano. Ci dice di aspettare sul marciapiede mentre va a prendere la macchina. C'è abbastanza traffico per un aeroporto così piccolo e poiché tutte le auto hanno i vetri oscurati non possiamo riconoscere il nostro autista. In coda c'è un macchinone nero con led colorati sul muso. Vuoi vedere che il nostro taxi è quello tamarro? Ma certo!

Le due ore di tragitto fino al parco nazionale Way Kambas scorrono lente, non vedo l'ora di arrivare. Sono anche curiosa di scoprire dove si trovi e come sia la guesthouse che ci ha trovato Hari. Io sono felicissima di supportare la sua nuova attività e orgogliosa di lui per aver avuto il coraggio di lasciare un posto di lavoro sicuro all'Ecolodge Satwa per un progetto di turismo sostenibile che coinvolga la comunità, con una sua rete di affittacamere, di giovani formati da lui per fare da guide ai turisti, di autisti, di lavanderie e tutto quello che può servire per incrementare l'offerta turistica locale. In fondo, per molto tempo il Satwa è stato l'unica opzione per chi volesse visitare il Way Kambas, chi non trovava posto o non se lo poteva permettere doveva rinunciare. Ora, grazie a Hari, esistono alternative e siamo qui anche per valutare il servizio e dargli la nostra opinione.

Non sapendo cosa aspettarmi da questa inedita sistemazione, ero un po' preoccupata per Francesco che aveva trovato poco confortevole il lodge di Rimba e stava probabilmente per finire in una casa sgangherata di Sumatra con il bagno senza doccia (tinozza e pentolino sono tipici indonesiani) e senza acqua calda, con un ventilatore a piantana al posto del condizionatore e scarsa o inesistente connessione a Internet. La Fra ha il superpotere di infondere serenità e allegria ed è uno dei motivi per cui la adoro, inoltre, per professione, è abituata a incoraggiare e tranquillizzare donne in travaglio, quindi sapevo di poter contare su di lei per far digerire a suo marito un nuovo livello di disagio.

Le cose, invece, sono andate in maniera totalmente inaspettata.

L'autista del taxi tamarro ci fa scendere nel cortiletto sterrato di una casa tutta bianca esattamente di fronte al Satwa, cioè a trecento metri dall'ingresso del Way Kambas. Ci accoglie una ragazza carinissima che ci consegna le chiavi di due stanze affacciate sul portico piastrellato perché resti fresco durante le calde giornate tropicali. Mi aspettavo di condividere la casa con una famiglia, come ero stata ospite dalla signora Titin anni fa, di fare colazione nella loro cucina, cose del genere. Alla casa, invece, è stata aggiunta un'ala con ingresso indipendente a tre camere dotate di bagni privati. Non dico di essere delusa, ma avevo immaginato un'esperienza diversa. Francesco, d'altro canto, l'ha presa benissimo, meglio che in Kalimantan. Anzi, era sollevato e contento della sistemazione, non si è nemmeno scomposto quando abbiamo scoperto che i bagni sono (almeno quelli) di tipo tradizionale: niente doccia né lavandino, solo water e rubinetto sopra la tinozza con il pentolino di plastica appeso all'attaccapanni. Ci sono perfino l'aria condizionata e connessione Internet con la fibra. È meglio di casa mia!

La cena ci viene servita alle sette nel portico, su un tavolino pieghevole troppo basso per gli sgabelli di legno in dotazione, quindi dobbiamo mangiare chinati sul tavolo o tenere i piatti in mano. Oh, almeno un po' di disagio come piace a me!

Verso le otto, un'auto parcheggia davanti alle nostre porte e ne scendono Yahya, Eddi e il mio caro Dan. Li abbraccio tutti, soprattutto Dan, con cui sono in contatto e in confidenza tutto l'anno. Fra e Fra escono dalla loro stanza e si presentano. I ragazzi ci consegnano un sacchetti di carta colorati che contengono le nostre magliette da volontari con la scritta Guardian of the wild e cappellini. Nel mio sacchetto ci sono anche tre etti del mio caffè preferito. Noi ricambiamo con i doni dell'Italia: la Fra ha portato scorte di disinfettante, garze sterili e bende varie che servono sempre, sia nella foresta che nei villaggi; io un chilo di spaghetti.

Ci sediamo sul pavimento del portico, come si usa qui, a chiacchierare e ripassare il programma dei prossimi giorni, mentre il padrone di casa offre bicchieri di caffè. Sapendo che ci eravamo svegliati alle 3.30, Dan ci invita ad andare a dormire, loro avrebbero finito di bere e sarebbero tornati a casa per venire a riprenderci il mattino dopo alle otto. La Fra e il Fra si congedano, è vero che i voli sono stati brevi, ma ci siamo alzati che era ancora notte e, avendo viaggiato con due compagnie diverse, a Jakarta abbiamo dovuto ritare i bagagli e andare a imbarcarli di nuovo in un altro terminal. Era stata una lunga giornata, in effetti. Io, però, dico che resto ancora un po' con loro. “Ma non sei stanchissima?” “Lo sono, ma adesso sono troppo eccitata per essere tornata da voi e non riuscirei a dormire.”

Ridono tutti, la banda è riunita, come i Blues Brothers, e al mattino comincerà una nuova strepitosa parte di questo viaggio che non vedo l'ora di condividere con Francesca e Francesco.

domenica 19 ottobre 2025

La giungla dei nostri sogni e incubi

Francesco non ama il clima caldo umido dei tropici e quando non dorme diventa nervoso quasi quanto me quando non mangio, dunque questi primi giorni in Indonesia l'hanno provato parecchio. Dopo essersi ripreso dal viaggio infinito, però, ha iniziato ad apprezzare l'esperienza di esplorare il Kalimantan in klotok, di incontrare gli animali stupendi che lo abitano e l'accoglienza delle persone. Insomma, cominciava ad ambientarsi e sentirsi ripagato per il disagio, quando la sveglia per il trekking è suonata alle 5.30 e venti minuti dopo ci siamo trovati fuori dalle nostre stanze per andare al molo. Francesco aveva già in faccia l'espressione “con voi non ci vengo più” poi in cielo è rimbombato un tuono, quindi si è voltato per tornare in camera. Eh no, hai insistito per farmi fare il cazzo di trekking? Ora non puoi lamentarti di nulla per tutto il giorno.

Le previsioni meteo davano temporali per tutta la mattinata e, mentre facevamo una buona colazione sulla Rimba Queen, siamo approdati ad Harapan con una leggera pioggerella.

Io ero vestita da albero (camicia verde e pantaloni beige), Fra & Fra in magliette tecniche e pantaloni lunghi, Krisna in calzoncini corti e Crocs. Appena arriva il ranger che ci accompagnerà nella camminata, imbocchiamo un sentiero sabbioso e, dopo pochi passi, ecco la prima meraviglia: accucciato tra i rami di un albero, un orangutan. All'inizio si è nascosto dietro il tronco, poi ha sbirciato per capire se eravamo una minaccia e, stabilito che eravamo innocui e non intendevamo avvicinarci oltre disturbando la sua colazione, si è lasciato fotografare. È bello incontrare gli orangutan fuori dalle feeding station, senza altri turisti intorno, e godersi l'intimità del momento. Il pelo degli orangutan potrebbe sembrare ispido nelle foto, invece appare setoso e leggero dal vivo, ma ciò che più amo di loro è l'espressività dei volti, degli sguardi. Chissà se anche loro riconoscono le nostre emozioni guardandoci, se trovano in noi dei tratti familiari. Siamo sicuramente diversi nel modo di comunicare, per noi un sorriso è un gesto benevolo, mentre per loro, e per moltissimi altri animali, mostrare i denti è un atteggiamento aggressivo; eppure ci somigliamo e siamo legati.

Riprendiamo il cammino, ma faccio appena in tempo a pensare che la giornata è cominciata nel migliore dei modi, quando arrivano le famigerate zanzare di Harapan. Sono tantissime e feroci, pungono anche attraverso i vestiti e se ne fregano del repellente che ci siamo spruzzati perfino nei capelli. Il ranger ci parla delle proprietà delle varie piante e alberi che incontriamo, ci indica fiori, tane e funghi, ed è tutto interessante e affascinante, però non riusciamo a goderci nulla per colpa delle dannate zanzare. Fermarsi un secondo per scattare una foto significa essere attaccati da ogni lato. Cerchiamo di difenderci, io col ventaglio, gli altri a schiaffi, ma è una lotta senza tregua. Camminiamo il più in fretta possibile tra radici sporgenti e attraverso passaggi che il ranger apre col machete per allontanarci da Harapan, sperando che le zanzare diminuiscano, ma quelle ci inseguono ronzando agguerrite. Krisna mette insieme un mazzetto di foglie che usa come ventaglio per scacciarle, solo che è stancante sventolarsi continuamente. Quegli insetti maledetti hanno trasformato una gita da sogno in un vero incubo. Vorrei che si potesse sostituire l'olio di palma con quello di zanzara, così si risolverebbero due problemi globali in un colpo solo.

Abbiamo un po' di tregua quando attraversiamo una zona di vegetazione più bassa con un labirinto di piste di sabbia bianca dove sono impresse impronte di felino, probabilmente, dice il ranger, di leopardo nebuloso. Peccato che vadano nella direzione opposta alla nostra. Facciamo comunque una deviazione per capire se si trovi ancora nelle vicinanze, però non abbiamo fortuna e proseguiamo inoltrandoci di nuovo sotto le chiome degli alberi. La Fra mi guarda e dice: “Oggi sembri Jane Goodall” e io, sudata, sporca e massacrata dalle zanzare, rispondo: “Intendi morta da una settimana?”

A metà percorso, ci fermiamo per bere e riposare nei pressi di una piccola piattaforma dove si montano le tende da campeggio per le escursioni di lunga durata e, con grande piacere, ci troviamo un pipistrello appeso al soffitto: un'arma in più contro le nostre nemiche. Non faceva neanche troppo caldo grazie alle nuvole e, malgrado qualche tuono, il temporale non ci ha mai raggiunti.

Quando stiamo per ripartire, veniamo raggiunti da un altro ranger che sta accompagnando una giovane coppia straniera. Il ranger saluta, la coppia nemmeno sorride. L'uomo sembra annoiato, la donna addirittura disgustata, come se si fossero ritrovati per sbaglio nella giungla del Borneo mentre facevano spese in un centro commerciale. Li abbiamo soprannominati gli allegri e ce ne siamo andati.

Dopo 7 chilometri, siamo finalmente giunti al ramo minore del fiume, dove ci attendevano le canoe. I ragazzi si congratulano con me per aver completato il percorso. In realtà, non è stato impegnativo come mi aspettavo e abbiamo impiegato due ore anziché tre, forse perché l'abbiamo fatto di corsa per sfuggire alle zanzare. Con il cielo nuvoloso, non faceva neanche troppo caldo e sarebbe stata davvero una gradevole passeggiata nella foresta se non fosse stato per quelle, mi sarei fermata più spesso a fotografare tutti i bellissimi alberi che ho visto e, prendendocela più comoda, avremmo forse notato più animali.

Alla fine, però, l'approdo delle canoe valeva il tormento: un angolo di giungla spettacolare. L'acqua del fiume è, come a Camp Leakey, straordinariamente limpida anche se di colore scuro a causa della presenza di tannini. Si riescono a vedere le zone sommerse delle sponde, le radici degli alberi e le piante acquatiche. Pareva di trovarsi nella scena di un film dove si scopre una laguna segreta nel folto della foresta. Eravamo estasiati e perfino le zanzare si sono ritirate per non rovinare il nostro idillio. Non vedevamo l'ora di partire in canoa per esplorare il resto di quel paesaggio fiabesco e Francesco voleva riprendere la navigazione con la sua GoPro, ma non trovava un punto della prua dove agganciarla. Così i rematori, che ci avevano aspettati alla laguna, si sono affrettati a risolvere il problema, trovando un pezzetto di legno piatto del giusto spessore e inchiodandolo alla punta della canoa. Siamo sempre stupiti da quanto gli indonesiani si prodighino per soddisfare ogni nostra richiesta, non vogliono venir meno a quello che sentono come un dovere verso gli ospiti di farli contenti, aiutarli e dimostrarsi accoglienti. Imbarazzati da tanta solerzia (chi si aspettava che tirassero fuori chiodi e martello?) continuavamo a scusarci per tanto disturbo, ma loro erano fieri di aver risolto e ci hanno invitato a imbarcarci. Io e Krisna con due rematori sulla prima canoa, Fra & Fra con il ranger e un altro rematore, siamo partiti tutti emozionati fotografandoci a vicenda. Quando sarà possibile pubblicherò il filmato ripreso dalla GoPro, ma intanto provo a descrivervi quanto è stato bello.

Il fiume era largo pochi metri, quindi mi sentivo davvero abbracciata dalla giungla. Visti dal livello dell'acqua, gli alberi sembravano ancora più imponenti ed erano tutti agghindati di orchidee e rampicanti. Certi rami si stendevano sopra il fiume con frange di felci e liane che si aprivano al nostro passaggio come sipari su una scenografia tratta da libri di avventura d'altri tempi. Procedendo a remi, non facevamo alcun rumore, così potevamo percepire ogni fruscio, canto e richiamo della vita che ci avvolgeva. Il paesaggio che scorreva lentamente intorno a noi era proprio come lo avevamo immaginato da bambini: la giungla in tutto il suo splendore, con ombre profonde e misteriose dove potevano nascondersi serpenti e coccodrilli, poi lame di luce solare che riuscivano a trafiggere le folte chiome degli alberi facendo brillare le foglie e l'acqua con scintillii di smeraldo. Indimenticabile.

Alla fine, il fiume incantato si ricongiunge al più ampio Sekonyer e i rematori ripongono le pagaie e accendono i motori per riportarci al lodge. Come ultimo regalo, la giungla ci saluta come ci aveva accolti la mattina: Francesca avvista un orangutan sulla sponda del parco nazionale e ci dirigiamo da quella parte per fotografarlo. Nel frattempo, ci raggiunge la canoa con a bordo gli allegri e indichiamo l'albero perché anche loro possano fermarsi a osservare l'orangutan, ma rallentano appena per poi proseguire. Avevano decisamente sbagliato vacanza.

Ripartiamo e, appena svoltato seguendo l'ansa del fiume, scorgiamo già il molo del lodge. Dico a Krisna che sono sorpresa di aver visto un orangutan così vicino al nostro alloggio, risponde che è molto raro, ma è capitato anche che si avvicinassero alle camere.

Abbiamo pranzato al ristorante del lodge, poi nel pomeriggio siamo tornati a salutare gli orangutan alla feeding station. Arrivederci parenti selvatici, grazie per gli emozionanti incontri di questi giorni e scusate per il disturbo, anche se siamo stati i visitatori più discreti e rispettosi di tutti.

Dell'ultima notte in Kalimantan vi racconterò nel prossimo post.

sabato 18 ottobre 2025

Galli e bambini

Alla feeding station di Pondok Tangguy, alle nove del mattino, gli alberi erano pieni di macachi che pur di accaparrarsi qualche banana allungavano le manine sulla piattaforma e rubavano al maschio dominante della zona, Jacob, mentre gli altri orangutan attendevano nei dintorni che lui fosse sazio prima di avvicinarsi. È sempre interessante osservare i comportamenti e le relazioni del gruppo, gli sguardi che si lanciano, i gesti. I cuccioli hanno sempre una mano aggrappata al pelo delle mamme e ne seguono ogni movimento. Quelli un po' più cresciuti giocano tra i rami facendo pratica di arrampicata, talvolta afferrando un ramo troppo sottile che si spezza all'improvviso lasciandoli appesi per un piede o una mano in posizioni buffe. Rimarremmo volentieri a goderci lo spettacolo, ma è giusto che la presenza di turisti sia limitata, in fondo siamo ospiti imbucati alla colazione degli abitanti della foresta.

Riprendiamo la Rimba Queen e navighiamo indietro verso il lodge per il pranzo. Lungo il tragitto, Krisna ci racconta che da bambino aveva un gibbone come animale domestico. Un tempo, per la gente era normale, non conoscevano il danno e il dolore che stanno dietro la cattura di un cucciolo (per ottenerlo e venderlo viene sterminata la famiglia che lo difende), né sapevano che liberarlo una volta adulto significava condannarlo a morte perché non sarebbe mai stato in grado di sopravvivere nella foresta, né erano consapevoli che detenere un animale selvatico fosse illegale. Due mesi dopo che il padre di Krisna aveva comprato il gibbone, la polizia aveva bussato alla sua porta e sequestrato il cucciolo per portarlo in uno dei centri di riabilitazione. La famiglia non ha avuto conseguenze legali poiché era la prima volta e gli agenti si rendevano conto che nelle isole meno abitate e nelle località più isolate, le informazioni riguardo le leggi del governo di Jakarta non sempre arrivavano per tempo, non c'era comunicazione, né educazione ambientale. Il merito di Biruté Galdikas, tra gli altri, è stato proprio quello di spiegare alle comunità il loro impatto sulla salute della giungla, insegnare loro il rispetto per gli animali e aiutarle ad adottare uno stile di vita più sostenibile. Sono contenta che con l'avvento di Internet le informazioni ora viaggino più velocemente e raggiungano tutti, per questo motivo i giovani sono più consapevoli e sensibili ai temi ambientali, e poi vivono sulla propria pelle i danni causati al pianeta dalle generazioni precedenti, inclusi noi, che non si rendevano conto (o se ne fregavano) di inquinare, sprecare, deforestare, estinguere più di quanto la natura potesse sopportare. Mi fermo, scusate se ogni tanto mi parte la ramanzina ecologista, ma quando vedi di persona questi luoghi e questi animali, la meraviglia è tanta che l'istinto di proteggerla mi prende la mano.

Dicevo, ci godiamo le chiacchierate sul klotok che procede placido attraverso un magnifico panorama e Krisna ci illustra il programma del giorno dopo: appuntamento al molo del lodge alle 6 (quindi sveglia alle 5.30), colazione bordo, approdo ad Harapan (la feeding station infestata di zanzare del primo giorno), trekking di circa tre ore nella giungla fino a un ramo del fiume più piccolo dove prenderemo le canoe per una crociera a filo d'acqua fino a tornare nel grande fiume Sekonyer e al lodge.

Nel programma che avevo ricevuto prenotando, era segnata solo la gita in canoa e, visto che il giorno prima a Camp Leakey a momenti collassavo per due ore di camminata, dico ai ragazzi che non me la sento di farne tre. Krisna dice che posso anche raggiungere direttamente l'approdo delle canoe e aspettare là i miei compagni, così non rallento tutti e non rovino la giornata con le mie lamentele. Ma loro insistono: e se incontriamo il leopardo nebuloso mentre tu non ci sei? E se ti perdi qualcosa di rarissimo? E, come diceva padre Maronno, se poi te ne penti? Dai, dai, dai, dai, dai, dai, dai, dai, dai, dai, dai, dai, dai, dai, dai, dai, dai... finché, per sfinimento, ho accettato. E va bene! Lo faccio, il cazzo di trekking!

Dopo un bel pranzetto al lodge, ci siamo rilassati un paio d'ore, chi leggendo, chi facendo l'enigmistica e io scrivendo il blog, poi siamo salpati di nuovo alla volta del villaggio Sekonyer (sì, stesso nome del fiume), quello che prima stava sulla sponda che è diventata parco nazionale e ora sta di fronte. Per scendere dal klotok bisognava saltare su un piccolo molo flottante e poi salire su quello fisso. Sul bordo di quello galleggiante, un abitante del villaggio si stava insaponando per poi lavarsi nel fiume. Francesco è saltato per primo, hop, hop, ed è sul molo fisso. Tocca a me e, leggiadra come sempre, atterro a piedi uniti sul flottante e lo affondo, buttando in acqua il povero signore che, per fortuna, la prende sul ridere, nel senso di ridere di me, stupida turista bianca. La Fra, visto che il flottante era mezzo sommerso, ha fatto un salto più lungo, atterrando sul fisso, mentre io ancora mi scusavo. Sono un disastro, tutti mi chiedono (e pure io) come abbia fatto a sopravvivere finora in giro per il mondo. Se, però, fossi meno imbranata e facessi tutto alla perfezione non vi divertireste né a leggere questo blog né a prendermi in giro.

Comunque, cominciamo a visitare il villaggio che pur essendo povero è molto carino. Krisna ci spiega che i tetti con le assi a X sui frontoni sono tipici dell'etnia Dayak e che gli abitanti hanno mantenuto la loro cultura animista sebbene convertiti all'Islam. C'è infatti una graziosa piccola moschea lungo la via principale di terra battuta che finisce nei campi. I 250 residenti sono principalmente contadini e pescatori, qualcuno lavora a Kumai facendo il pendolare, il resto sono bambini e galli che scorrazzano tra le casette colorate. A proposito di bambini, ce n'era un gruppetto che faceva il bagno nel canale che dal fiume attraversa il villaggio, giocando a tirarsi un pallone. Krisna, che ci stava ancora raccontando delle usanze animiste, li indica e dice: “...infatti questi bambini non stanno giocando, li buttano in acqua per annegarli come sacrificio per gli spiriti.”


La nostra spiritosissima guida ci mostra anche l'edificio che ospita la piccola clinica locale dove lavorano infermiere e ostetriche, la Fra si propone subito per trasferirsi a lavorare qui, ma dovrebbe divorziare perché il Fra vuole vivere in un posto freddo. Scopriamo da Krisna che in Indonesia, dopo la laurea, ogni medico, infermiera e ostetrica deve obbligatoriamente prestare servizio per due anni in un villaggio remoto per fare esperienza, prima di poter scegliere dove proseguire la propria carriera. 

Svoltiamo verso la scuola, che comprende elementari e medie, mentre le superiori sono a Kumai, e, lungo la strada, ci fermiamo a comprare qualche cartolina perché, a differenza di quelle sbiadite che si trovano in giro da quando sono passate di moda, avevano delle foto molto belle della fauna locale. Nel cortile della scuola, sei ragazzine delle medie stavano facendo le prove per uno spettacolo di danza e ci chiedono se vogliamo far loro da pubblico. Ma certo! La Fra registra un video e loro sono un po' emozionate, ma alla fine completano la lunga coreografia con i nostri applausi. I bambini più piccoli, invece, ci invitano a travasare tre piantine nelle buche che avevano già scavato per il loro piccolo progetto di riforestazione. Ci prestiamo volentieri e loro ci fotografano tutti fieri. Per l'albero Alberto, aspetto di arrivare a Sumatra perché voglio piantarlo in un posto dove so che tornerò negli anni per vederlo crescere.

È stato piacevole e interessante visitare questo villaggio perché non è stata la classica messa in scena per turisti, ma una vera lezione di storia e cultura locale. 

venerdì 17 ottobre 2025

Temporali torrenziali, a tratti

Così dicevano le previsioni meteo per il giorno in cui la Rimba Queen ci avrebbe portato a Camp Leakey. Il centro di ricerca fondato da Biruté Galdikas nel 1971 è il principale sito di riabilitazione degli orangutan salvati dalla cattività e, tra le altre cose, si occupa anche di educare la comunità riguardo la conservazione della natura e il rispetto per gli animali. Vi dico subito che Biruté non è in Indonesia al momento, è partita per gli Stati Uniti alla notizia della scomparsa della sua amica Jane Goodall, quindi anche questa volta non la incontrerò di persona.

Ci aspettavano circa quattro ore di navigazione, due ore di trekking, l'incontro con gli orangutan dell'area al feeding point e rientro al lodge per cena, speravamo che torrenziali a tratti non si riferisse al tratto che avremmo percorso a piedi. Alle 7 del mattino eravamo puntuali al molo del lodge e abbiamo cominciato la navigazione con una bella colazione a bordo. Intanto, anche scimmie e uccelli facevano colazione tra gli alberi e ne abbiamo avvistati tanti, vedrete le foto. Tra gli altri, un giovane Hornbill con il tipico corno sul becco non ancora del tutto sviluppato. Krisna ci ha raccontato che è un uccello sacro per i Dayak, l'etnia principale di questa regione del Borneo, perché secondo la tradizione animista i defunti volano in cielo cavalcando un Hornbill. Discutevamo del fatto che i volatili maschi hanno sempre colori sgargianti e piumaggi particolari sulla coda, il petto o la testa per impressionare le femmine che, al contrario, sono meno appariscenti, quasi noiose perché non mancano di corteggiatori.

Superiamo un ingorgo di klotok ormeggiati al molo di Pondok Tangguy, un'altra feeding station, che visiteremo domani. Osservo queste minicase galleggianti e mi metto a fantasticare su come vorrei la mia che chiamerò Teodolinda. Tanto sognare è gratis.

Il nostro capitano, sempre in canottiera bianca, rallenta per farci fotografare i branchi di Nasica che mi piacciono tanto, mentre comincia a piovere. Scoppia un tuono e in un attimo ci ritroviamo nel tratto di temporale torrenziale. La pioggia cadeva così forte e fitta che la visibilità è calata a zero e il mozzo si è affrettato a chiudere le grandi tende cerate del ponte superiore, dove stavamo noi, per evitare che si allagasse. Torrenziale non era un aggettivo esagerato nelle previsioni. La Fra è rimasta affascinata dall'attrezzo che usava per asciugare il pavimento, super efficiente. Siamo rimasti nel bozzolo del klotok in attesa che la furia del temporale si placasse e in pochi minuti sono tornati il sole e il caldo. Anche a tratti era un'espressione appropriata. Si riaprono i tendoni del ponte sulla foresta luccicante e proseguiamo il lungo viaggio per Camp Leakey.

Sbarchiamo dopo pranzo e Krisna ci dà un po' di informazioni prima di incontrare il ranger che ci guiderà nel trekking. Tra l'altro, mi dice che Siswi, la orangutan che io e il TdC avevamo visto anni fa farsi il bagno al fiume con i ranger, è morta di vecchiaia nel 2021. Tutto lo staff del centro sente molto la sua mancanza perché, anche se era chiassosa e a volte invadente, è sempre stata affettuosa, curiosa, seguiva e imitava i suoi amici umani.

Ad accompagnarci nella passeggiata di due ore è il ranger Harip. Fa caldo nella giungla, ma almeno in questa zona troviamo pochissime zanzare. Io mi fermo a fotografare ogni albero perché li trovo stupendi con le orchidee aggrappate ai fusti, le liane che pendono attorcigliandosi e le chiome tutte diverse che si uniscono in un grande ombrello verde nel cielo. Harip ci indica vari tipi di funghi e piante, con l'accendino brucia per noi un pezzettino di corteccia di sandalo che ha un profumo buonissimo. Tra i rami, compare un bellissimo uccello del paradiso con una lunga coda bianca e la testolina blu, ovviamente maschio. Harip prende un bastoncino e lo infila in un tronco caduto per far uscire le formiche giganti così che possiamo vederle. Noi pensavamo di averle già viste, se ne trovano lungo il sentiero di belle grosse, invece queste ci hanno sorpreso: sono davvero giganti, grandi quanto la falange di un mignolo.

Sugli alberi dal fogliame più adatto, ci sono tanti nidi di orangutan usati la scorsa notte o molte notti fa, quelli delle femmine sono più in alto per stare al sicuro, i maschi ne costruiscono di più grandi qualche metro più in basso. Strappando le foglie per farne giacigli usa e getta, gli orangutan aiutano la foresta a restare sana, sfoltendo la canopia permettono alla luce del sole di raggiungere gli alberi più giovani, altrimenti tenuti all'ombra da quelli più alti. Tra le altre abilità dei miei primati preferiti, c'è la conoscenza delle piante officinali disponibili nella giungla. Sono stati visti masticare certe foglie e applicarle sulle ferite dopo uno scontro o un incidente. Sono ghiotti di uova di termiti, infatti vediamo diverse buche scavate nella terra umida per estrarre i nidi.


Mentre proseguiamo con il trekking, dobbiamo evitare pozze di fango, arabeschi di radici sporgenti e superare ruscelli in equilibrio su tronchi coperti di muschio (che fa sempre Natale pure ai tropici). Immagino come doveva essere per Biruté Galdikas negli anni 70, sola in questa giungla, prima che qualcuno aprisse sentieri come quello per agevolare gli spostamenti, prima che l'elettricità arrivasse sull'isola, prima dei telefoni cellulari e dei GPS. Scoppio di ammirazione, anche perché io, verso la fine di un cammino di appena due ore, stavo per avere un collasso e la vista del punto di arrivo, la piattaforma per il pasto giornaliero degli orangutan, mi pareva un miraggio nel deserto.

Al banchetto delle 14.00 si è presentato anche un gibbone, un altro animale che mi piace osservare e trovo anche simpatico. Delle Nasica mi piacciono le acrobazie, afferrano rami flessibili e li usano come fionde per lanciaarsi in salti lunghi come voli; il gibbone mi ricorda le ginnaste alle parallele asimmetriche delle olimpiadi, si dondola con le lunghe braccia per darsi lo slancio e poi afferra il ramo successivo con una giravolta; dei macachi ammiro la sfrontatezza, per rubare due banane sono disposti ad affrontare qualsiasi pericolo; l'orangutan, però, è più signore e amo la sua eleganza nei movimenti, inaspettata per la sua stazza.

La giungla è davvero faticosa, però è tanto, tanto bella.

Tornati al molo, la Rimba Queen era bloccata da altri klotok e abbiamo dovuto aspettare che i turisti arrivati dopo di noi ripartissero per farci spazio. Non appena si è aperto un varco nell'assembramento di barche, il nostro capitano sempre in canottiera bianca si è sfilato e siamo ripartiti. Ci stavamo godendo la frescura e i panorama, quando abbiamo raggiunto due klotok fermi in mezzo al fiume. Un albero era stato abbattuto dal temporale e impediva di proseguire, ma sei in Kalimantan, vuoi non avere una motosega a bordo? I capitani delle varie barche sono saltati da un ponte all'altro per andare ad aiutare. Liberata la via, proseguiamo verso il tramonto con una miriade di avvisamenti. Nasica, macachi, uccelli. La luce del sole diventava soffusa e osservavo gli animali prepararsi per la nanna, le scimmie lungo il fiume e sui rami alti dove si sentono più sicure, gli orangutan all'interno della foresta in cerca di rami e foglie per il nido dove si accucceranno per la notte e sarà poi abbandonato al mattino.

Il cielo diventa scuro e in lontananza vediamo i lampi illuminare le nuvole scure. Pioverà per tutta la notte. 


mercoledì 15 ottobre 2025

Welcome to rainforest

Quando abbiamo prenotato l'ecolodge Rimba, Fra e Fra si sono spacciati per vegani per non incasinare i pasti con ordinazioni diverse, ma per qualche errore di comunicazione né sul klotok, né al lodge lo staff è informato. Capita quindi che a colazione ci servano omelette e a pranzo frittata accanto a vedure, tofu e tempeh. Il cibo non si spreca, specialmente in questi luoghi, quindi i ragazzi mangiano le mie porzioni di uova e io le loro dei piatti vegani che non gradiscono. Siamo l'una l'umido degli altri. A ogni pasto tentavamo di spiegare chi mangiasse cosa, sia all'equipaggio del klotok che al ristorante del lodge, a quanto pare, però, non ci esprimiamo chiaramente e ogni volta c'è qualcosa di sbagliato. Ma non vi preoccupate, mangiamo ed evacuiamo regolarmente, anzi, dopo l'incontro con i macachi grigi, che condividono le chiome degli alberi con orangutan e scimmie nasica, abbiamo coniato il verbo macacare: hai macacato oggi? Mentre macacavi in barca, noi abbiamo fotografato un uccello rarissimo. Ho fatto una bella macacata e devo chiedere un nuovo rotolo di carta igienica in reception. Ci siamo ambientati subito nella giungla.

Come vi ho già raccontato nei precedenti viaggi, ci sono dei punti del parco nazionale chiamati feeding station dove i ranger portano cibarie agli orangutan a orari fissi una volta al giorno, così, quelli che non riescono a procurarselo in natura – a causa della deforestazione che riduce il loro habitat o perché rilasciati nel parco da poco dopo essere stati riabilitati dalla cattività – sanno dove trovare un pasto sicuro. L'orario di Harapan, il sito più vicino al lodge raggiungibile in dieci minuti di klotok, è dalle 15 alle 16.30; a un'ora e mezza di navigazione c'è Pondok Tangguy che fa il servizio dalle 9 alle 11; poi c'è Camp Leakey a quattro ore che serve dalle 14 alle 16.

Il primo giorno, arrivando al lodge per pranzo, siamo stati ad Harapan. Lungo il tragitto, siamo rimasti stupiti dalla straordinaria abilità del capitano di navigare e al tempo stesso avvistare gli animali nel folto della foresta sulle sponde. Abbiamo imparato subito che ogni volta che rallenta, è il momento di afferrare i binocoli e le macchine fotografiche. Così, vediamo gruppetti di Nasica, un orangutan, vari uccelli colorati. La giungla è così ricca di vita che si potrebbe star fermi in un punto e di sicuro qualche animale ci passerebbe davanti agli occhi.

Attracchiamo ad Harapan insieme a molti altri klotok perché è domenica e ci sono tanti visitatori da weekend. Appena sbarcati ci sorprende un temporale, ma fa troppo caldo per indossare i k-way, quindi accettiamo gli ombrelli rossi del lodge e ci incamminiamo verso la piattaforma dove non vedo l'ora di incontrare di nuovo gli orangutan. Mentre percorriamo il sentiero, Krisna ci spiega che Harapan è diventato un centro di riabilitazione per orangutan dopo il dislocamento di un villaggio sull'altra sponda del fiume, fuori dal confine del parco.

“Prima dell'istituzione dell'area protetta, qui c'era un villaggio di contadini e pescatori di etnia Dayak.”

“Ah, davvero?”

“Sì, poi li abbiamo ammazzati tutti” dice con scioccante naturalezza. Indica il prato intorno al sentiero dal quale spuntano tanti cartellini colorati “e li abbiamo sepolti qui, questo è un cimitero.”

Dovete sapere che alla nostra guida piace raccontarci frottole con la stessa aria seria di quando ci fornisce informazioni reali per poi scoppiare a ridere. “No scherzo, il governo ha fatto costruire un nuovo villaggio sull'altra riva e gli abitanti sono stati trasferiti. Questo è l'erbario delle piante officinali, sui cartellini ci sono i nomi delle erbe.”

Adoro l'umorismo nero del Kalimantan. Quello che detesto, invece, sono le zanzare. Forse attratte dall'acquazzone o semplicemente perché il sito è adiacente una palude, veniamo assaliti da un'intera armata di zanzare che riempiono la volta dell'ombrello e attaccano da ogni lato. A nulla serve essere impregnati di repellente, pungono anche attraverso i vestiti. Siamo costretti a infilarci i k-way, praticamente pareva di indossare una sauna. Ci squagliavamo per il caldo e le bestie ci pungevano lo stesso le mani, il collo e la faccia. “Ci vuole la tuta da apicoltore!” esclama Francesco sfinito quando arriviamo alla piattaforma. L'unico vero rimedio è il ventaglio, come ci ha insegnato Sonia nel 2019, infatti mi sono portata dietro quello acquistato l'ultima volta a Bali. Funziona davvero, ma non posso smettere di sventolare neanche un istante perché le maledette mi si avventano di nuovo in faccia e nel frattempo mi aggrediscono la mano con cui lo reggo.

Malgrado il disagio, quando comincio ad avvistare i primi orangutan non sento più niente. L'attuale maschio dominante si chiama Roger ed è davvero imponente, vedrete le foto e i video. Per Francesco è la prima volta, ma anche io e la Fra ci emozioniamo. Se non fosse stato per le dannate zanzare di Harapan e per la stanchezza (non avevamo ancora dormito una notte intera da venerdì), saremmo rimasti ore a contemplare queste magnifiche creature. Non siamo riusciti a goderci del tutto questo primo incontro, ma ne avevamo altri tre programmati nei giorni seguenti (e in siti non infestati dalle zanzare), quindi ci siamo avviati al molo un po' prima dell'orario di chiusura senza rimpianti.

Tornati a bordo della Rimba Queen, ci godiamo l'arietta fresca della navigazione, contiamo le punture di zanzara e osserviamo il paesaggio che ci scorre lentamente intorno, pronti a cogliere qualsiasi movimento tra gli alberi per fotografare uccelli e scimmie. Il klotok è dotato di toilette e, mentre ne approfitto, lascio la mia Nikon all'abilità di avvistamento di Francesco, ma gli raccomando di tenerla al collo: “Metti che il capitano inchioda e la barca s'impenna, ti cade in acqua.” La privazione del sonno rincoglionisce ed è anche usata come metodo di tortura. Ce ne siamo andati a letto nelle nostre deliziose stanze affacciate sulla foresta alle nove di sera e finalmente abbiamo dormito alla grande fino al mattino dopo, quando ci aspettava un'intera giornata lontano dal lodge.

martedì 14 ottobre 2025

Il viaggio infinito

 Scusatemi, comincio ad aggiornare il blog con grande ritardo, non solo per la difficoltà di connessione nei posti sperduti (dove mi piace andare e pure tornare più volte), ma anche perché ho impiegato due giorni a riprendermi dal viaggio infinito per arrivare al Rimba Eco Lodge del Kalimantan. Non cominciate a dire che sono vecchia per le trasferte intercontinentali perché anche i Franceschi hanno avuto gli occhi iniettati di sangue, lo sguardo vuoto e il cervello annebbiato come me fino a lunedì.

Siamo partiti di venerdì sera alle undici e abbiamo attraversato fusi orari e cicli di sono e veglia completamente sballati fino alla domenica. Per noi gente da economy class non c'è verso di dormire in aereo più di un paio d'ore di fila e le hostess ti svegliano per darti da mangiare in orari che non hanno nulla a che fare col giorno e la notte, tanto che a un certo punto non sapevamo quale pasto ci stessero servendo, una cena o una colazione. Dopo circa sedici ore in volo spezzate da tre ore di scalo a Doha, siamo arrivati a Jakarta alle nove e quaranta di sabato sera, così scassati che ci costava fatica mentale trovare i passaporti nelle borse. Per fortuna, siamo stati previdenti e abbiamo sbrigato in anticipo tutta la burocrazia online quando eravamo ancora lucidi: il visto dieci giorni prima e la dichiarazione doganale durante lo scalo in Qatar. Mai usciti da un aeroporto così velocemente.

L'aria di Jakarta è stata un pugno in gola di afa e smog, in un attimo ci si ritrova sudati, appiccicosi e maleodoranti, in queste condizioni ci siamo presentati alla reception dell'albergo dove avremmo trascorso le poche ore che ci separavano dall'ultimo volo, quello alle 6 del mattino per il Kalimantan. Una bella doccia e un riposino in un letto vero erano proprio ciò che ci serviva.

Prima della pandemia, per raggiungere il Borneo indonesiano si poteva scegliere tra diverse compagnie aeree e diversi orari, purtroppo ne sono rimaste solo due sulla tratta Jakarta – Pangkalanbuun, Batik Air e Nam Air che fanno gli orari e i prezzi che vogliono visto che non c'è altra scelta ed entrambe famose per i ritardi e le cancellazioni senza possibilità di rimborso. È dunque con una certa apprensione che abbiamo fatto colazione alle 3.30 per prendere la navetta alle 4 tornare in aeroporto per fare il check-in al terminal delle partenze nazionali. Con enorme sorpresa e sollievo, abbiamo trovato il nostro volo Batik Air confermato e pure bello pieno. In un'ora e mezza eravamo a destinazione.

In Kalimantan fa caldo e l'umidità è incalcolabile, ma appena lasciato l'aeroporto l'aria ha quel sapore di verde foglia che rinfresca perfino i pensieri. Ad attenderci c'è Krisna (come la divinità, ma senza la “h”) che sarà la nostra guida per i prossimi cinque giorni. Ci presenta l'autista e ci segue in scooter fino al porto di Kumai dove Ecolodges ha un piccolo ufficio con molo privato. Finalmente saliamo a bordo della Rimba Queen, il klotok più piccolo di Ecolodges, tutto arancione e bianco, e salpiamo verso l'avventura. Appena mi sono tolta le scarpe e accomodata sulla poltrona di vimini per godermi il panorama, ho dimenticato tutto il disagio del viaggio. Ero ancora distrutta nel corpo, ma già rinata nello spirito. Dalla grande foce del fiume Kumai, svoltiamo nel fiume Sekonyer che sulla sponda destra è tutto parco nazionale Tanjung Puting e sulla sinistra è sempre foresta, ma non protetta, quindi lungo il tragitto si incontrano i moli dei villaggi di pescatori. Il primo tratto di fiume è incorniciato da una vegetazione adatta all'acqua salmastra che dalla grande baia sul mare si mescola a quella dolce: palme e mangrovie. Poi compare la lussureggiante e variegata flora d'acqua dolce ed ecco che gli alberi diventano altissimi e fitti su entrambe le rive. Così siamo entrati nella giungla e dal prossimo post vi racconterò com'è andata, però per le foto dovrete attendere la connessione potente di Bali.

domenica 5 ottobre 2025

Missione Alber(t)o

Tra pochi giorni tornerò in Indonesia e per questo viaggio ho una missione speciale: piantare un nuovo albero a Sumatra per il mio papà che non sta bene. Proprio l'altro giorno ridevo con lui ricordando che la sua vecchia zia inglese gli scriveva lettere indirizzate a Colombo Albero anziché Alberto e cominciavano con "Caro Albero..." , così ho avvertito i ragazzi di ALeRT di tenermi da parte una piantina della nursery. Non sarà sempre facile trovare la connessione a Internet, ma ogni volta che sarà possibile aggiornerò il blog così papà potrà seguirmi anche in questa avventura. Comunque, papy, di sicuro ti manderò la foto dell'Albero Colombo!

Con me ci saranno Fra & Fra per due settimane tra Kalimantan, Sumatra e Bali. La Fra torna volentieri dagli orangutan dopo l'avventura di sei anni fa e, dal momento che abbiamo appena perso Jane Goodall, speriamo questa volta di incontrare l'ultima degli angeli di Leakey, la professoressa Biruté Galdikas. Suo marito Fra, invece, è alla prima esperienza indonesiana e contiamo sulla sua abilità (fortuna sfacciata) di scorgere animali nella natura selvaggia, che tanto ci ha fatto invidia in Kenya, per avvistare rarità come il leopardo nebuloso e la tigre di Sumatra.

Nel frattempo, ci auguriamo che i governi del mondo trovino un modo più evoluto delle guerre per risolvere le questioni internazionali. Com'è che il progresso riguarda solo la tecnologia, ma non la testa della gente? Vien voglia di rintanarsi nella foresta, quel che ne resta, e non tornare più a quella che chiamiamo, a quanto pare erroneamente, civiltà. 

Insomma, incrociamo le dita per uno scalo pacifico a Doha e partiamo zappa... ehm... zaino in spalla!



P.s. Grazie a Sté, la Simo ed Elisa che si occuperanno di Bio mentre sarò via e alla vicina di Fra & Fra che si occuperà del loro Roux.


mercoledì 1 ottobre 2025

Ciao, Jane

 


Grazie per essere stata una straordinaria ispirazione come donna e scienziata, per aver dimostrato che ogni creatura ha un'anima e una personalità, per aver lottato tutta la vita per proteggere la natura. Buon riposo.