mercoledì 26 aprile 2023

Viaggio di ritorno

Sveglia alle 2.30 perché Junior ci aspettava alle 3.00 per portarci al check-in due ore prima del volo, praticamente è come non dormire. Nairobi era silenziosa e deserta, almeno fino all'aeroporto dove c'era una discreta coda ai controlli per l'ingresso. Mollate le valigie da stiva, siamo passati al controllo dei bagagli a mano e l'addetto alla mia fila mi ha chiesto di tirare fuori il coltello. Quale coltello? Gli ho risposto di non avere nessun coltello, ma mi ha mostrato l'immagine a raggi x del mio zaino ed effettivamente si vedeva la forma di un coltello sul fondo. L'ho svuotato completamente chiedendomi se ci fosse qualche tasca segreta di cui ero all'oscuro dove qualcuno aveva infilato un coltello, ma né io né l'addetto siamo riusciti a trovarla. Alla fine pare che la strana immagine fosse causata dalla pochette che avevo comprato alla Simo a Ol Pejeta con dentro un braccialetto.

Evitato il carcere, abbiamo bevuto un orribile caffè e un'altrettanto orribile cioccolata per passare il tempo. È stato allora che i miei compagni d'avventura si sono accorti di aver dimenticato al Khweza la cartina dell'Africa di Francis, ognuno pensava che l'avesse presa l'altro, mentre probabilmente era caduta dal tavolino e non l'avevano vista, mezzi addormentati com'era comprensibile. Abbiamo mandato un messaggio a Peris perché la recuperasse per spedirgliela nei prossimi giorni.

Ci siamo imbarcati con mezz'ora di ritardo, ma tanto avevamo oltre tre ore di scalo in Egitto. Il video con le istruzioni di sicurezza in volo di Egyptair è favoloso, narrato da una bellissima attrice in abiti e gioielli egizi e con le animazioni degli antichi dei. Il guerriero che con una freccia spegne la sigaretta per il divieto di fumo e Horus che apre e oscura gli oblò con le ali sono i momenti clou. Da Nairobi al Cairo, tutto bene, sono anche riuscita a dormire vista la levataccia.

Durante lo scalo, ce la stavamo prendendo comoda quando un annuncio chiede ai passeggeri del nostro volo di procedere al gate. All'andata ci avevano chiamati per controllare il green pass per il Covid, forse era ancora per quello che dovevamo presentarci con tanto anticipo. Abbiamo scoperto, invece, che l'imbarco per Malpensa era in un altro terminal perciò ci siamo incamminati a passo svelto non sapendo quanto fosse lontano, e meno male che ci siamo mossi subito perché di strada ce n'era.

Trovato il nostro gate, ci siamo guardati sbalorditi: ad aspettare il nostro stesso volo c'era una sposa con un abito strabiliante che occupava un'intera fila di sedili e tanto di corona in testa, circondata dai parenti. Non riuscivamo a smettere di fissarla e farci mille domande: come sarebbe entrata nel sedile dell'aereo? Come avrebbe allacciato la cintura di sicurezza? Perché non si è vestita all'arrivo invece di viaggiare in quel modo? Era legale imbarcare una persona con un abito così ingombrante da bloccare le uscite d'emergenza in caso di evacuazione? Francesco è riuscito a fotografarla di nascosto, ma ovviamente non pubblico la foto per rispetto, ma l'ho inviata a mio fratello che sarebbe venuto a prendermi a Malpensa con la Simo perché entrasse in aeroporto a vederla all'arrivo.

Ancora più sorprendente è stato scoprire che la sposa viaggiava in economy, ma, come era prevedibile, non riusciva a entrare nella sua fila per cui è stata spostata in business class. Che fosse uno stratagemma per ottenere l'upgrade gratis?

Un bambino iperattivo e maleducato ci ha rotto le palle per tutto il volo e all'atterraggio siamo scattati lungo il corridoio disseminato dei lustrini dell'abito nuziale. Mentre recuperavamo le valigie, mio fratello mi ha scritto di aver trovato lo sposo, tutto elegante e con un mazzo di fiori, in attesa con lui, la Simo e i genitori di Francesca. Naturalmente siamo usciti prima noi così avremmo potuto assistere all'incontro dei due sposi, ma lei si faceva attendere, così Francesca e Kamau ci hanno salutato e sono andati a casa. Noi abbiamo aspettato ancora un po' visto che il parcheggio era pagato per mezz'ora, ma alla fine ci siamo arresi e pure lo sposo sembrava abbastanza scocciato. 

In auto, i miei adorati Sté e Simo mi hanno fatto trovare un vassoio di pasticcini vegani con candelina di compleanno che ho divorato perché non avevo mangiato quasi nulla sui voli. Mentre lasciavamo il parcheggio, però, abbiamo visto gli sposi alla loro auto addobbata per un'ultima foto ricordo.

Arrivati a casa, mi hanno dato i regali di compleanno e io ho consegnato i souvenir, inclusa la pochette/coltello. Bio mi ha fatto un sacco di feste e fusa e, dopo aver annusato per bene i miei bagagli, ha voluto passare la serata in braccio a me sul divano, tenendomi con le unghie per assicurarsi che non partissi di nuovo. 

Purtroppo, micetto mio, devi abituarti all'idea che ogni tanto io prenda il volo per qualche avventura mentre ti accudiscono gli zii, ma tornerò sempre da te e, il giorno in cui deciderò di stabilirmi altrove, ti porterò con me.

Qui finisce l'avvenuta keniana di Barbi, Fra & Fra e già pensiamo alle prossime anche se non sono sicura che Francesco voglia viaggiare di nuovo con me dopo aver dovuto assistere Junior sia come addetto all'apertura e chiusura del tetto del pulmino per i safari che negli insabbiamenti, impantanate ed esplosioni. Spero che lo splendore della natura lo abbia ripagato di tante fatiche. Io, con voi due, sono stata benissimo e sono sempre disponibile come tour leader.

In fondo, se non è dura, non è avventura!

P.S. nella pagina FOTO DE PASSACC trovate gli album di questo viaggio con le mie foto che aggiornerò con quelle di Fra & Fra nelle prossime settimane


2023



martedì 25 aprile 2023

Lo strano caso degli gnu scomparsi

La mattina dopo il mio compleanno ci siamo alzati di nuovo all'alba anche se saremmo rimasti a Nairobi, ma il parco nazionale alle porte della città è affollato nei fine settimana e volevamo godercelo all'apertura. In realtà abbiamo trovato lo stesso un sacco di jeep e pulmini, un traffico a cui non eravamo abituati nei parchi poco turistici visitati durante la settimana in solitaria. Già vedere i grattacieli sullo sfondo rovina un po' la magia del safari pur rendendolo molto particolare, se poi si aggiungono decine di mezzi a togliere la visuale su ogni animale avvistato il disagio aumenta. Junior, però, forse per farsi perdonare il disastro del giorno prima, si è dato da fare per infilarsi tra gli altri e garantirci un posto in prima fila con la giusta arroganza. Infatti abbiamo bellissime foto di due leonesse che passeggiavano lungo una delle piste, prima seguendole e poi superandole per vederle di fronte.

Alla lista di Francesco di animali da vedere mancavano ancora leone maschio, coccodrillo, ippopotamo e gnu. I primi tre, li abbiamo trovati qui al Nairobi National Park senza troppi problemi, ma non si riusciva a incontrare un solo gnu. Io e la Fra eravamo scioccate perché l'ultima volta che eravamo state qui ce n'erano a migliaia, praticamente in ogni angolo, quasi da annoiarsene. Ora eravamo circondati da gazzelle, zebre, una quantità esagerata di struzzi, tre leonesse e un leone visti nel giro di due ore, ippopotami in ogni pozza d'acqua e due coccodrilli, ma di gnu nessuna traccia, non si vedevano nemmeno in lontananza con il fedele binocolo di Francesco (regalo della Prima Comunione) che ci ha assistito negli altri parchi, sembrava si fossero estinti durante la notte. Era ridicolo chiedere informazioni agli autisti degli altri mezzi su dove poterli trovare, di solito sono i predatori quelli difficili da incontrare. Abbiamo fatto chilometri e chilometri su e giù per ogni pista, ma niente. Alle 11 dovevamo essere all'orfanotrofio degli elefantini che è aperto al pubblico solo per un'ora al giorno e il tempo scorreva. Poi l'autista di una jeep ha detto a Junior di provare in una certa zona e ci siamo precipitati là mettendo di nuovo a dura prova il pulmino scassato, ma alla fine ecco uno gnu! Uno solo, nascosto tra zebre e gazzelle. Francesco ha completato la sua lista, ma il mistero rimane insoluto: che fine hanno fatto tutti gli gnu del Nairobi National Park?

In perfetto orario, siamo usciti dal parco per rientrare da un altro ingresso, dove si trova il Sheldrick Wildlife Trust, l'orfanotrofio degli elefantini che non manchiamo mai di visitare e supportare. Dopo la pandemia, le visite sono diventate a numero chiuso su prenotazione, quindi non c'è la folla che io e la Fra avevamo trovato nelle visite precedenti e non abbiamo dovuto sgomitare per un posto intorno all'area dove i guardiani allattano i piccoli pachidermi, anzi, ho potuto cambiare posizione per godermeli da ogni lato e perfino accarezzarli quando si avvicinavano al recinto. L'unico inconveniente è che i teneri cuccioli mollano anche delle sonore e odorose scorregge in faccia al pubblico, ma è tutta natura, no? Durante l'ora di apertura al pubblico, uno dei guardiani racconta la storia del centro e quella dei vari elefanti che stavamo guardando, orfani per svariate ragioni: pochi perché i genitori sono morti di vecchiaia, tutti gli altri a causa dell'uomo, sia per il bracconaggio che per la perdita di habitat. Quelli salvati di recente sono vittime della siccità che ha lasciato gli adulti senza acqua né vegetazione da mangiare in diverse aree del Kenya e i piccoli bloccati nel fango delle pozze prosciugate. Quando è possibile rimetterli in libertà – dopo le cure mediche e l'apprendimento dagli elefanti più grandi su come sopravvivere in natura – vengono rilasciati nel parco Tsavo e monitorati finché non vengono accettati in qualche branco.

Oltre agli elefantini, il centro ospita anche altri animali orfani tra cui un rinocerontino cieco che non viene portato nell'area per turisti perché il rumore di tanta gente lo spaventerebbe e confonderebbe. Lui trascorrerà il resto della vita al Sheldrick perché non sarà mai in grado di cavarsela da solo, senza le cure dei guardiani, ecco perché sono importanti le adozioni a distanza.

Proprio al termine della visita il cielo si è oscurato e i tuoni di un bel temporale mi hanno dato appena il tempo di comprare qualche souvenir per sostenere l'associazione prima che scoppiasse il diluvio.

Siamo tornati al Khweza per pranzo e relax mentre la pioggia continuava ad allagare le strade. A metà pomeriggio, durante una schiarita, Peris ci ha raggiunti per accompagnarci al Masai Market, ma avevamo appena cominciato a esplorare quando si è alzato di nuovo il vento e il cielo si è rabbuiato facendo scappare tutti. Dobbiamo assolutamente tornarci la prossima volta che siamo in Kenya perché è un mercatino delizioso e coloratissimo. Comprate le cartoline che continuo imperterrita a spedire nell'era delle mail, siamo saliti sulla torre KICC, un grande centro conferenze dove per l'equivalente di tre euro e qualche centesimo si può salire sul tetto al trentesimo piano per osservare la città dall'alto.

Infine siamo rientrati al Khweza che ormai a Nairobi chiamiamo casa. Abbiamo salutato la fantastica Peris con abbracci e baci come la nostra sorella africana e con la promessa di tornare perché c'è ancora tanto che dobbiamo vedere in questo paese dai mille paesaggi diversi.

Cena e a nanna presto perché la sveglia era alle 2.30 (this is not an hour! come mugugnava Peris durante i giorni di safari quando ci alzavamo all'alba) ma vi racconterò il viaggio di ritorno nel prossimo post.

lunedì 24 aprile 2023

Mediamente bene

La giornata del mio compleanno è cominciata splendidamente ed è finita in disastro, quindi posso dire che mediamente sia andata bene.

Il piano era di far visita alla famiglia di Peris al villaggio Mba-Ini, pranzare da loro e poi rientrare a Nairobi per doccia e cena. Sulla strada ci siamo fermati in un supermercato dove Peris ha fatto un po' di spesa per suo padre Francis e la moglie Maggie e io ne ho approfittato per comprarmi un quotidiano locale con la data del compleanno come ricordo, tanto è scritto in inglese quindi so leggerlo.

La contea di Nyeri dove vive la famiglia Gicheru è un susseguirsi di colline verdissime, frutteti, piantagioni di tè e caffè terrazzate. Si viaggia su strade ben asfaltate, all'ombra di una gran varietà di alberi, attraversando paesini che mi sono sembrati più graziosi di quelli sull'altro versante del Monte Kenya anche se la miseria si trova ovunque. Junior che dice che la gente che si lamenta è quella che vive in città e per dargli ragione basta guardare questa famiglia di campagna: la terra dà quello che serve per sopravvivere, il resto è tutto grasso che cola.


Con grandi cerimonie e sorrisi, i genitori di Peris mi hanno aperto la loro casa per la seconda volta e hanno immediatamente adottato anche Francesca e Francesco. Abbiamo portato in dono cioccolatini e una stampa su tela della foto di famiglia scattata l'anno scorso con me che ora, tra i ritratti di famiglia e una collezione di immagini sacre, è appesa nel punto lasciato vuoto dalla mappa dei parchi dell'Africa orientale che mi hanno regalato alla prima visita.

Kamau si è cimentato nella preparazione del chapati insieme a Maggie e alla nuora. La lezione di cucina si è tenuta nel casotto sul retro e purtroppo per me, che speravo di divertirmi a fotografare tentativi falliti, Francesco si è dimostrato subito un abile panificatore. Mentre il suo impasto riposava, Maggie ne ha tirato fuori uno già pronto – proprio come nei programmi tv sulle ricette – per passare alla fase di cottura sul fuoco di legna acceso sul pavimento di terra battuta e, anche qui, nessun problema. Che delusione! Mi sono consolata con la dolcezza di queste persone, la simpatia del fratello di Peris che ci ha raggiunti, la curiosità dei due nipotini Lion e Sharon e, naturalmente, con l'abbondante e delizioso pranzo cucinato dalle due insegnanti della chapati cooking class.

Francesca ammirava la cartina dell'Africa che, una volta, faceva coppia con quella che mi sono portata via l'anno scorso, e Francis l'ha arrotolata e chiusa per regalargliela. Così si è formato un nuovo buco da colmare sulla parete, quindi siamo usciti tutti in cortile per una nuova foto di gruppo.

Prima di salutarci, Maggie ha voluto dire una preghiera per tutti noi e in particolare chiedeva di benedire noi ospiti e le nostre famiglie. Pur non essendo religiosa, queste dimostrazioni di profonda fede mi colpiscono e Francesca era quasi commossa. A malincuore siamo dovuti ripartire, ma non prima di aver abbracciato uno per uno i nostri parenti keniani!

Il giro intorno al Monte Kenya iniziato col parco Meru, passato dal parco Samuburu, proseguito con Ol Pejeta Conservancy si stava chiudendo con la strada da Nyeri a Nairobi. Al Khweza mi aspettava la torta di compleanno vegana ordinata appositamente da Peris, ma anche una doccia e un po' di riposo dopo una settimana intensa sia per emozioni che per chilometri. In realtà, il destino aveva per noi un piano ben diverso.

Mentre andavamo tranquilli su e giù per le colline, qualcosa ha allarmato Junior ed è stato subito chiaro che fosse qualcosa di serio perché ha accostato (i problemi non gravi si risolvono con una mano, guidando con l'altra). Il quadro si era illuminato con tutte le spie disponibili e la temperatura del motore saliva come se avesse la febbre da malaria. Allora Junior ha chiesto ai vivaisti che vendevano le lor piante lungo la strada di prestarci una tanica d'acqua per il radiatore. In questi pulmini, il motore si trova sotto il sedile del passeggero, dove Junior riponeva i suoi bagagli, quindi li abbiamo spostati nel retro e Francesco teneva sollevato il sedile per permettergli di versare l'acqua utilizzando una bottiglia di plastica tagliata come imbuto. Non appena l'acqua fresca ha toccato il motore bollente c'è stata un'esplosione di vapore tipo geyser dello Yellowstone che ha lavato e sterilizzato parabrezza, cruscotto e sedili anteriori, oltre a bollire un'anguria che poco prima Junior aveva comprato al mercato ortofrutticolo locale. Diminuita la temperatura, siamo ripartiti, approfittando anche di una discesa per raffreddare il motore, ma due minuti dopo eravamo di nuovo a bordo strada. Questa volta, eravamo preparati per il geyser e Francesca l'ha ripreso. 


Quello che non ci aspettavamo era che il bagaglio di Junior contenesse una lattina di birra che, rompendosi, ha allagato la sua borsa con la macchina fotografica, infradiciato il sedile e pure la mia borsa che era appoggiata sullo stesso sedile. Credendola solo acqua e nella fretta di ripartire per essere a Nairobi prima che facesse buio, mi sono tranquillamente seduta lì. Un minuto dopo puzzavo di birra come un'ubriacona ed ero bagnata fino alle mutande, quando all'improvviso un tubo del radiatore è esploso durante la marcia spaventandoci tutti e costringendoci a una sosta definitiva. Il danno era catastrofico, tipo “Titanic, scansati” per cui Junior ha chiesto un passaggio a un motociclista per raggiungere un meccanico nel primo paese.

la tristezza dell'attesa
Eravamo a un'ora da Nairobi, non erano neanche le cinque e noi eravamo ancora ottimisti. Alle sei e mezza passate eravamo ancora sul ciglio della strada mentre: due meccanici sono arrivati in moto con i ricambi sbagliati e un altro li ha raggiunti con in mano due fascette di plastica; per la noia Francesca giocava con delle strane piante che si chiudono quando le sfiori; ogni auto di passaggio suonava il clacson e rideva di noi; abbiamo fotografato un tizio che sul retro della moto aveva legato un letto; la gente che aspettava il matutu (piccolo bus collettivo che sostituisce il trasporto pubblico e trasporta anche persone appese alle portiere) ci guardava con compassione.

Dato che gli accordi con i guidatori per i tour hanno un prezzo fisso pattuito a inizio lavoro, Junior temporeggiava nel chiamarci un mezzo sostitutivo perché sarebbe stato a suo carico e ripeteva che i meccanici avrebbero risolto presto. A parte che non mi sarei fidata in ogni caso a ripartire con un pulmino esploso e aggiustato con due fascette, il danno era troppo grave per sperare che potessero risolvere a bordo strada anziché in officina e quando per raggiungere un'altra parte del motore i meccanici hanno smontato anche il sedile di guida, Peris si è incazzata e ha costretto Junior a chiamare un matutu per noi.

Così, trasbordati i bagagli, siamo saliti su questa specie di discoteca su ruote con tanto di televisore e luci led in ogni angolo che, però, sfrecciava verso Nairobi nella luce del crepuscolo. Intorno a noi, la bella campagna di Nyeri ha lasciato il posto a strade più trafficate e ai sobborghi di Nairobi che, come i rotoloni Regina, non finiscono mai. Finché, ormai alle sette e mezza, siamo rotolati fuori dal matutu direttamente nelle nostre stanze al Khweza. È stato un vero sollievo togliermi i vestiti sudati e marinati nella birra per buttarmi sotto la doccia. E meno male che Maggie ci aveva benedetti, altrimenti chissà come sarebbe andata a finire!

Un'ora dopo, sul terrazzo, finalmente ci siamo seduti per la mia cena di compleanno insieme ai due figli adolescenti di Peris che si annoiavano a morte dalle cinque e mezza e il suo ex marito che, visto che li aveva accompagnati fin lì, ha pensato bene di imbucarsi alla festicciola. La mia sorella keniana ha fatto preparare una torta vegana apposta per me e, poiché era enorme, l'ho condivisa anche con lo staff che mi ha cantato tanti auguri a te sia in inglese che in swahili. Che carini!


Questo è tutto, per ora, ma prima di tornare a casa ci sono ancora un safari al Nairobi National Park e la visita all'orfanotrofio degli elefantini.

P.S. Junior, che era rimasto con i meccanici, è arrivato al Khweza alle 22.30

sabato 22 aprile 2023

Poco, ma buonissimo

In Kenya le auto non sono omologate per un numero fisso di persone, dipende da quante riesci a caricarne, lasciando Samburu verso la contea di Nanyuki, ne abbiamo incrociata una con almeno dieci bambini dentro. Comunque, una volta a casa, pubblicherò un album dedicato a cose che si possono trasportare in moto in Kenya perché abbiamo visto cose al di là di ogni immaginazione e legge della fisica. Mi piace osservare villaggi e cittadine dal finestrino, le insegne dei negozi dipinte con colori sgargianti direttamente sulla facciata – così se si cambia attività basta una mano di vernice – che a volte sono invitanti come “Gods favor market” e a volte inquietanti come “Pork Point Hotel”. Gruppi di bambini in divisa scolastica ci salutano indicando i Mzungu (i bianchi) e pure le scuole cristiane hanno nomi notevoli come Santa Teresa dell'Equatore o Our Lady Consolata. Pare anche che ogni villaggio sia specializzato in qualcosa: uno ha solo negozi di ricambi per auto, uno solo letti in legno, uno solo tavolini. Insomma, per arredare casa devi girare tutta la contea.

Un consiglio: se dal benzinaio un venditore ambulante cerca di rifilarvi un machete, compratelo. Lo sterrato per raggiungere la riserva di Ol Pejeta, cornice di questo safari, è messo peggio delle piste dentro i parchi e dopo un acquazzone diventa una distesa di fango. Junior, che ha fatto scuola guida su una bicicletta senza marce, si è ovviamente impantanato nel tentativo di superare un'auto ferma all'incrocio di due sterrati, e l'ha fatto così bene che abbiamo dovuto chiedere aiuto a dei contadini di passaggio. Qui si scopre l'utilità del machete sopracitato: serve a tagliare gli arbusti nei dintorni per metterli sotto le ruote. 

Ops, he did it again

Mancia a loro e cazziata di Peris a Junior, poi finalmente arriviamo all'ingresso di Ol Pejeta.

Si nota subito che è una riserva privata, gestita da diverse associazioni, perché è meglio organizzata dei parchi nazionali e i bagni sono puliti e dotati di carta igienica. All'interno della riserva vivono diverse specie di animali e in particolare specie protette ad alto rischio di estinzione come il rinoceronte bianco del nord di cui rimangono solo due esemplari, ma per vederli bisogna prenotare e non lo sapevamo. Ci siamo comunque goduti un bel safari con tanto di avvistamento di iena, rinoceronti neri, antilopi d'acqua e altre meraviglie.

Poi ci siamo fermati al centro di protezione degli scimpanzé. Non sono animali autoctoni del Kenya, ma, con il supporto del Jane Godall Institute, vengono portati qui gli esemplari recuperati da diverse situazioni di maltrattamento che non sarebbero più in grado di sopravvivere in natura. Non essendoci alberi abbastanza alti per loro che amano arrampicarsi, sono state costruite delle piattaforme dove possono giocare, osservare il parco dall'alto e ripararsi nei giorni di pioggia. Infatti, grazie a un temporale di passaggio, abbiamo potuto vederli e fotografarli riuniti sulle piattaforme. L'area è recintata perché non si disperdano nel parco e non vengano assaliti dai predatori ed è possibile vederli solo dalla torretta per turisti o a terra dall'esterno della recinzione. 



Per un po' siamo stati soli a contemplare questi simpatici primati con uno dei guardiani che si occupano di loro a raccontarcene le storie, poi è arrivata un'armata di bambini in gita scolastica, dall'età media probabilmente una scuola elementare. All'inizio sono corsi in massa sulla torretta e ad ammassarsi davanti alla recinzione, poi si sono accorti dei tre Mzungu e, mentre il guardiano teneva una lezione sulle abitudini degli scimpanzé, i bambini gli davano le spalle per osservare noi. Non potete capire che imbarazzo. Peris si è messa a spiegare a una bambina: “Sono come te, solo che sono bianchi” e lei “Ma da dove vengono?” “Sono metà italiani e metà keniani” e le ha detto i nostri nomi tribali (Francesco Kamau, Francesca Wanjiru e io Njeri) che la bambina ha ripetuto indicandoci.

Ripartito lo scuolabus, abbiamo visitato il mini museo dedicato al progetto scimpanzé dove pannelli murali riportano informazioni e statistiche, la storia del centro e ci si può cimentare in prove di abilità per poi scoprire la soluzione ideata dagli scimpanzé in natura per risolvere il problema.

Ci sono anche le storie di alcuni salvataggi e una delle storie più commoventi era quella di Poco, acquistato da cucciolo come animale da compagnia, una volta cresciuto è stato rinchiuso per nove anni in una gabbia stretta e arrugginita appesa sopra il banco di un mercato in Burundi come attrazione. È proprio Poco lo scimpanzé che Fra & Fra hanno adottato per me come regalo di compleanno. 

Grazie ancora! 

venerdì 21 aprile 2023

Chiuso per compleanno

Oggi il post esce in versione ridotta causa mio compleanno, i racconti dal Kenya riprenderanno non appena possibile e non mi scuso per niente del disagio visto che è la mia festa e pure il blog.

Vi lascio solo due foto di oggi: la visita al villaggio di Peris dove ho rivisto la sua bella famiglia di cui ora fanno parte anche a Fra & Fra (tra qualche giorno vi racconterò meglio) e poi la torta vegana che Peris, al ritorno a Nairobi in serata, mi ha fatto trovare al Khweza.




Un grazie speciale ai miei fantastici compagni di viaggio Francesca e Francesco per avermi regalato l'adozione di Poco! Scoprirete chi è nei prossimi post.

Au revoir


giovedì 20 aprile 2023

Il lodge delle donne e il parco Samburu

Per visitare il parco nazionale Samburu, ci siamo sistemati per due notti all'Umoya Women Camp, una struttura gestita dalle donne della tribù Samburu che abitano nella zona, in villaggi di capanne con il tetto a cupola ricoperto da un patchwork di stracci e sacchi di plastica colorati. La struttura è molto essenziale e piuttosto datata, le camere sono bungalow in muratura collegati da vialetti in pietra, nella mia non arrivava l'acqua calda e mancava pure il rubinetto al lavandino (si era rotto durante le pulizie, ci hanno detto, poi hanno mandato un idraulico a rimontarlo). I letti hanno il baldacchino con le zanzariere, ma alle finiestre non ci sono, quindi la sera era meglio entrare senza accendere la luce e non domandarsi cosa passeggiasse per la stanza. Immaginate la Fra che è talmente insettofobica che quando una farfallina si è posata sul piattino del suo tè ha lanciato la bevanda bollente contro suo marito. In compenso, lo staff è il migliore incontrato in Kenya, il cibo era ottimo e fin troppo abbondante e Recca, la signora che si è occupata di noi per due giorni, è disponibile, sorridente e veloce a soddisfare ogni nostra richiesta e si è sempre premurata di farmi avere la versione vegana di ogni pasto, incluso il pranzo al sacco che ci siamo portati dietro per la lunga giornata di safari. Al tramonto ci si trova al “pub” interno con vista sul fiume per una birretta fresca, chiacchiere e risate, una bottiglia grande di Tusker per 2 Euro facilita l'ubriachezza e si dorme come bambini. 


Non sto a farvi l'elenco degli animali che abbiamo visto, tanto li riconoscerete dalle foto quando pubblicherò gli album, ma vi dico che questo parco, secondo me, vale il viaggio. È molto grande per cui il paesaggio cambia dal verde al semiarido, dall'umido e ombroso lungo il fiume Ewaso Nyiro al sabbioso lungo certe piste. E proprio nella sabbia il nostro furgoncino si è bloccato, per fortuna non lontano da uno degli ingressi, così abbiamo potuto contare sull'aiuto di altri mezzi per uscirne. Mentre Junior, Francesco (che d'ora in poi nel blog chiamerò Kamau che è il nome tribale assegnatogli da Peris) e gli altri uomini bestemmiavano in varie lingue e dialetti e Peris supervisionava le operazioni, io e la Fra controllavamo che non arrivassero animali pericolosi e, già che c'eravamo, ci siamo fatte foto sceme e video per sdrammatizzare.



Junior e Kamau sono una coppia davvero fortunata nell'avvistare gli animali più schivi come il leopardo, ma è stata Peris ad accorgersi di tre giovanissimi ghepardi sdraiati a fare un pisolino all'ombra di un albero. Io e la Fra ci lamentavamo che per vedere tutti gli animali che ha visto Kamau al suo primo viaggio in Africa abbiamo impiegato tre vacanze.

Altre cose che dovete sapere su questi due giorni a Samburu:

  • l'acacia è l'albero preferito della Fra, ce l'ha detto soltanto settemilaottocento volte, e secondo me è un po' il pino marittimo del Kenya

  • attraversato il ponte che unisce il parco nazionale Samburu dalla riserva di Buffalo Springs abbiamo incontrato un gruppetto di uomini in abiti tribali con dei cammelli. Uno degli uomini se ne andava in giro con il pendolino di fuori, io non ci ho fatto caso, ma la Fra rideva, allora Peris le ha chiesto se l'avesse visto anche lei e la risposta è stata: “It was a male, for sure!”

  • una sera al “pub” Peris ci ha chiesto cosa significasse kiberu e ci abbiamo messo un po' a capire cosa intendesse, “Ma sì, quella frase che dice sempre Francesca” ha spiegato... intendeva che bello! ed è in effetti un'esclamazione ricorrente durante questi magnifici safari

  • di notte, così lontano dalle città, il cielo stellato è spettacolare e Junior ci ha mostrato una app che riconosce le costellazioni inquadrandole con la fotocamera

  • uscendo dal parco la seconda sera, Junior ha inchiodato e fatto retromarcia. Abbiamo subito pensato all'ennesimo problema al furgone (quando prende una buca o un sasso, per esempio, il cavo della batteria si stacca e il motore si spegne). Invece, non voleva investire un piccolo camaleonte che stava fermo in mezzo alla strada con aria smarrita. L'ha raccolto con un ramo e depositato su un albero. I nostri applausi.

  • la parte superiore del Monte Kenya assomiglia al Resegone, ma alto 5200 metri, secondo solo al Kilimanjaro che fa 5895 metri

Al prossimo post per nuove strabilianti avventure!


mercoledì 19 aprile 2023

Il logde dei gatti e il parco Meru

Il viaggio da Nairobi a Meru è infinito, credo che sulla terra siano trascorse 7 ore mentre sul nostro pulmino 7 anni. Sulle strade che portano verso il Monte Kenya – il nostro tour gli girerà intorno fino a venerdì – abbiamo incontrato: motociclette sovraffollate con i carichi più improbabili; camion oltre il limite del peso consentito dalla casa di produzione che comunque deve essere fallita negli anni Cinquanta; scuolabus con la scritta “Disability is not inability”; una moto che andava praticamente a fuoco lasciandosi dietro una scia di fumo irrespirabile per cui i veicoli dietro di lei rallentavano per allontanarsene; negozi di abbigliamento con i manichini dai fianchi larghi e sedere sporgente, mobilifici che esponevano solo letti (singoli, a castello, matrimoniali) a bordo strada così numerosi che quando ne avvistavamo uno esclamavamo “Lissone!”; asinelli sfruttati per il trasporto con le piaghe sulla schiena; bambini e caprette sparsi disordinatamente lungo la carreggiata; mercati traboccanti di banane; un incidente tra due moto con tanto di ferito a terra e l'altro conducente che si dava alla fuga a piedi; un'infinità di dossi costruiti inutilmente per dare una parvenza di legalità al modo di guidare locale. Infine il vincitore su tutti, e perdonate se non l'abbiamo fotografato perché eravamo troppo scioccati, un tizio con un divano a tre posti legato sul retro della moto e il passeggero seduto sul divano!

Il nostro austista/guida per la settimana è Junior che balla e canta mentre guida, è esperto di birdwatching e litiga con Peris su quale uccello abbiano avvistato o quale verso faccia, lascia sempre i fari accesi, ha fatto un paio di sorpassi alla cieca che ci hanno tolto anni di vita, ma alla fine è un simpatico bravo ragazzo e ormai fa parte della squadra.

Dopo qualche tappa pipì siamo finalmente arrivati al nostro alloggio, Ikweta Safari Camp, che abbiamo subito notato essere in realtà il lodge dei gatti. Lo staff ci ha spiegato che ne hanno tanti perché tengono lontani topi e serpenti e hanno anche costruito per loro una casetta con le cucce per quando piove anche se vivono liberi sui vialetti tra le tende. Ecco, per tende non immaginate le “due secondi” da campeggio, sono dei bungalow tendati con dei bagni da centro benessere. 

Il tempo di pranzare (erano le due passate e io avevo il nervoso da fame) e siamo entrati nel Parco Nazionale Meru per un safari serale. Il Meru è il più piccolo tra i parchi che ho visitato in Kenya ed è molto bello. È verde, rigoglioso e pieno di alberi alti che a me piacciono tanto, ma rendo difficile avvistare gli animali, almeno all'inizio, perché più ci addentravamo, più il panorama di animava. Scimmiette Velvet monkey, babbuini, bufali, gazzelle varie, zebre e l'instancabile scarabeo stercorario che si porta in giro una palla di cacca grossa tre volte lui.


La sera, ancora stanchi dal viaggio, abbiamo cenato e ci siamo ritirati presto nelle nostre stanze per riposare prima del safari mattutino. Peccato che la tenda di Fra & Fra fosse così vicina alla piscina che le rane li hanno tenuti svegli tutta la notte con il loro gracidare. A me, che le sentivo in lontananza, invece, hanno conciliato il sonno come fanno sempre i suoni della natura e ho anche goduto della pioggia all'alba.

Alle 6.30 caffè e via di nuovo dentro il parco dove abbiamo incontrato tantissime giraffe e poi un elefante che litigava con una famiglia di struzzi, zebre con i puledrini e un gufo!

Poi Junior ha aperto la barriera elettrificata fingendo di prendere la scossa e siamo entrati nell'area protetta dei rinoceronti dove abbiamo avvistato perfino un piccolo. 




Tornando verso l'ingresso del parco, abbiamo avuto un altro incontro emozionante con un leopardo, avvistato da Junior su un albero, che dopo essersi lasciato fotografare un po' è sceso e se n'è andato nei cespugli, lontano da noi paparazzi.

Visitare parchi poco famosi e poco frequentati è davvero bello. Puoi goderti i paesaggi e la fauna in tutta calma, senza altri turisti intorno che finiscono per infastidire sia noi che gli animali. Tra nuvole e sole equatoriale, la luce che cambia ora dopo ora fa risplendere i diversi colori del panorama e alimenta l'atmosfera da favola che l'Africa ha sempre avuto nella nostra immaginazione. Non serve nemmeno essere grandi fotografi perché è tutto così bello che ogni immagine è un capolavoro, le vedrete non appena avrò tempo e connessione decente per caricare gli album fotografici, per adesso accontentatevi del racconto 

Usciti dal Meru siamo partiti per la tappa successiva: il parco Samburu di cui vi parlerò nel prossimo post.

domenica 16 aprile 2023

Ramadan in volo

Questo nuovo viaggio in Kenya comincia con due cavallette e un grillo perché insieme a me e la Fra c'è sua marito, Fra pure lui. Domani si parte per il tour dei parchi intorno al monte Kenya, la vera avventura, nel frattempo vi racconto come siamo arrivati qui con Egyptair con scalo a Il Cairo.

Prima di tutto i bagni di Malpensa sono i più sporchi del mondo, fidatevi perché ho visto parecchi aeroporti.

Secondo, siamo arrivati sani e salvi in Kenya.

Terzo all'aeroporto internazionale del Cairo non ci sono né felafel né hummus, ma pizza e Burger King.

Cuarto, Andrea. (citazione per pochi)

Durante l'attesa a Malpensa eravamo seduti davanti a una ragazza che inviava messaggi vocali così ad alta voce che ormai sappiamo i fatti suoi meglio di sua madre, poi si è messa anche a cantare e ballare con la sua amica: pregavamo che non fosse seduta vicino a noi anche in aereo. Dopo il controllo delle carte d'imbarco, a debita distanza dalla ragazza molesta, stavamo aspettando l'autobus per la pista diligentemente dietro il tendiflex quando, all'improvviso, un passeggero ci guarda come se fossimo scemi a fermarci lì, poi lo apre e comincia a scendere dalla rampa finché un addetto lo blocca con l'inconfondibile gesto dove cazzo vai che il bus non c'è ancora? e il tizio torna indietro con aria divertita. L'idiozia della gente non finisce mai di stupirmi.

Il volo verso Il Cairo è stato tranquillo, la ragazza rumorosa era qualche fila più indietro e ci siamo salvati. Non ho potuto scegliere il tipo di pasto a bordo, quindi di vegano ho trovato solo pane e insalata, ma va bene perché tanto sugli aerei non è che si mangi roba sopraffina in ogni caso e poi immaginavo che in Egitto avrei trovato facilmente felafel e hummus, però come ho detto, non ce n'era traccia. Su questa tratta, naturalmente, la maggior parte dei passeggeri erano musulmani e siamo ancora in periodo di ramadan, quindi alla distribuzione dei vassoi per la cena molti rifiutavano, ma gli assistenti di volo spiegavano loro che potevano tenerli da parte e consumarli dopo il tramonto. Infatti, poco prima dell'atterraggio, non appena il sole è calato, c'è stata un'apertura di pacchetti simultanea lungo tutto l'aereo e in quattro secondi i vassoi erano puliti.

L'aeroporto del Cairo sembra in fase di restauro quindi lo scalo è stato piuttosto noioso. Abbiamo scoperto di attirare personaggi molesti quando un giapponese si è seduto vicino a noi e cominciato ad ascoltare musica a tutto volume. Il rispetto per gli altri è merce rara in tutto il mondo.

All'imbarco per Nairobi mi sequestrano l'accendino, prima volta che mi capita. Pazienza.

Dormire in aereo è roba per contorsionisti di alto livello perciò siamo atterrati a pezzi alle 4.38 del mattino sognando il letto vero che ci attendeva al Khweza. Ci ha accolti una pioggia leggera e la città libera dal traffico solo perché erano le cinque del mattino di domenica. Dopo una doccia veloce cercando di capire come far funzionare l'acqua calda, siamo crollati nelle nostre stanze, peccato che ci trovassimo davanti alla sala lavanderia e già all'alba lo staff era rumorosamente all'opera. Avremo dormito sì e no due ore.

In tarda mattinata, la nostra affezionatissima Peris ci ha raggiunti, abbracciati e sbaciucchiati. Per Francesco è la prima volta in Africa e siamo tutte impazienti ed emozionate all'idea di fargli conoscere le meraviglie del Kenya, cominciando dal Giraffe Center che è sempre bello visitare e si contribuisce alla protezione di questa particolare razza, la giraffa Rothschild. Ma prima di tutto io avevo fame ed è risaputo in tutto mondo che quando ho fame divento nervosa e sragiono finché non metto qualcosa nello stomaco. Al caffè del centro ci dicono che i nostri tramezzini saranno pronti in quindici minuti, allora ok, vediamo prima le giraffe.

Fra & Fra


Tornando al Khweza ci siamo fermati a prelevare e Francesco ha avvistato il suo primo babbuino nel parcheggio del centro commerciale che è proprio accanto a uno degli ingressi del Nairobi National Park (che però visiteremo sabato prossimo).



Abbiamo trascorso il resto della giornata sulla terrazza del Khweza a chiacchierare con Peris per distrarci dall'arretrato di sonno. Dobbiamo resistere almeno fino alle nove per assicurarci di dormire l'intera notte perché domani alle 7 si parte verso nord e la vera avventura.