domenica 27 novembre 2022

Il diritto di vagabondare


Sto leggendo un libro meraviglioso: Nel Paese delle Sabbie di Isabelle Eberhardt.

"Un diritto che ben pochi intellettuali si curano di rivendicare è quello di partire all'avventura, è il diritto al vagabondaggio.

Eppure vagabondare rende liberi e la vita sulle strade rappresenta la libertà.

Un giorno, spazzar via risolutamente tutti gli impedimenti che la vita moderna e la nostra intima debolezza, col pretesto della libertà, fanno pesare sulle nostre azioni, armarsi del bastone e della bisaccia del pellegrino e andarsene!"

Nei primi anni del Novecento, Isabelle parte giovanissima alla scoperta dei Paesi nordafricani, travestita da uomo per viaggiare indisturbata nelle terre dell'Islam che osserva con malinconia trasformarsi e perdersi nell'incontro con l'Occidente colonialista. Lungo la strada scrive appunti, diari, articoli per riviste, racconti, romanzi e lo fa col tono sognante di chi viaggia per abbandonarsi alla meraviglia della scoperta. La sua scrittura è evocativa, poetica nelle descrizioni che mi incantano e mi rapiscono mentre leggo. Forse sono i miei ricordi del deserto in Marocco e in Egitto a favorire l'immersione nell'atmosfera dei suoi diari, forse è la mia passione per i racconti di viaggi d'altri tempi a rendere ancor più affascinanti le sue avventure ai miei occhi, forse l'aver viaggiato da sola io stessa mi fa sentire così vicina ai suoi pensieri, ma di fatto Isabelle Eberhardt sapeva usare le parole e lo faceva in maniera suggestiva e dolce, stimolando con eleganza l'immaginazione del lettore. 

"Vestita come si conviene ad una ragazza europea, non avrei mai visto niente, non avrei avuto accesso al mondo, poiché la vita esterna sembra essere stata fatta per l'uomo e non per la donna."

Sotto la falsa identità maschile, Isabelle lavora e viaggia in Tunisia, Algeria e Marocco affidando i suoi pensieri segreti a ogni pezzo di carta disponibile. Provo una grande ammirazione per questa ragazza innamorata dei tramonti e dei silenzi che è partita da sola, a ventidue anni, sfidando le convenzioni sociali, le paure e i pregiudizi per vivere la sua favola vagabonda, con il solo obiettivo di soddisfare liberamente la propria curiosità, abbandonandosi al fascino della vita che scorre attraverso paesaggi sconosciuti e incontri casuali. Lontanissima dall'arroganza del turista moderno che compra e passa con indifferenza, e pure dalla spavalderia adolescenziale dei backpackers in cerca di sballo esotico e avventure da letto che ho trovato in altri libri di viaggio, Isabelle viaggiava emozionandosi e sognando, osservando ogni dettaglio, riflettendo e interrogandosi, in altalena tra eccitazione e malinconia, con la mente sempre aperta e il cuore in empatia con la natura e le persone.

"Andavo là, dove non conoscevo nessuno, senza scopo e senza fretta, soprattutto senza aver fissato un itinerario... Il mio spirito era calmo e aperto a tutte le dolci sensazioni che si provano arrivando in un paese nuovo."

Isabelle Eberhardt ha perso la vita appena ventisettenne durante un'inondazione in Algeria e si dice che non abbia nemmeno tentato di fuggire, che abbia accettato il suo destino come aveva sempre fatto, in pace con se stessa e col viaggiare. Mi domando quante altre avventure avrebbe potuto raccontarmi se fosse vissuta più a lungo e, chiudendo il suo diario, provo gratitudine e nostalgia. 

"Ogni proprietà ha dei confini. Ogni autorità è limitata da leggi. Ora, il vagabondo possiede tutta la vasta terra il cui limite è l'orizzonte irreale, e il suo impero è inviolabile, poiché egli lo governa e ne trae gioia nel proprio intimo."


sabato 1 ottobre 2022

Ricordi sensoriali

La pandemia ha lasciato un segno in tutti noi. A me è rimasta quella sensazione da fine del mondo, quel timore che nulla sarebbe più stato come prima e che il meglio della vita fosse ormai alle mie spalle, mi ha spinta a vivere di ricordi in anticipo sulla vecchiaia. Sono stata grata al destino per aver avuto l'opportunità di viaggiare tanto perché è di quei momenti che mi sono nutrita durante la reclusione forzata, separata dalle persone che amo, con la sola compagnia di Bio che è stato la mia salvezza dalla depressione insieme alle foto di quel passato pieno e avventuroso. Mi sono messa a comporre album di ogni vacanza e li ho fatti stampare per averli tra le mani.

Ora che il peggio sembra passato ho l'ansia di aggiungere altri ricordi e altre esperienze al mio bagaglio per i tempi bui. Ho voglia di sentirmi ancora come in certi momenti che mi sono tornati in mente e addosso durante la pandemia. 

Mi capita di rivivere i ricordi di viaggio così intensamente che mi pare di attraversare il tempo e tornare all'esatto istante in cui li ho vissuti. Come in un'allucinazione, tornano vivide le sensazioni provate allora e con tanta forza che mi restano addosso un po' prima di svanire come sogni al risveglio. E sono sempre belli, emozionanti, commoventi, vorrei riuscire a trattenerli più di qualche istante, ma poi la realtà del presente li sovrasta. Sono odori, luci particolari, reazioni della pelle, suoni rimasti scolpiti nella mia memoria che all'improvviso riaffiorano. Non esiste un termine per definirli e ognuno ha i suoi personali. 

I miei si chiamano così:

Profumo di incenso e frittura per le vie di Ubud

Notte stellata di Airlie Beach

Sabbia calda di Cattolica sotto i piedi nudi il primo giorno

Tempesta in arrivo su Hilo

La pace di Gili Meno

Il rombo di Stromboli sotto i piedi durante la salita e la sabbia vulcanica nelle scarpe durante la discesa

Musicisti in un tempio a Bali

Il lungomare di La Paz in Baja California Sur al tramonto

Sapore di birra sul fiume Zambesi durante la sunset cruise

Legno umido del Kalimantan che scricchiola sotto le scarpe

Sapone di Marsiglia lavando biancheria nelle stanze di hotel

Pioggia forte sul lago Toba

Succo di canna da zucchero in bicicletta sulla strada per Angkor Wat

Restare a guardare i rinoceronti fino al tramonto a Nakuru

Annusare il vapore di pioggia che sale dalle fessure camminando sul lago di lava Kilauea-Iki

Il calore del sole sulla testa scalando Anak Krakatau

Passarsi tra le mani le conchigliette di Shell Beach in Australia

Balena morbida sotto le dita al largo di Guerrero Negro

Ombra rinfrescante nel giardino di un tempio a Bangkok

Affondare i passi nelle dune del Sahara in Marocco

Silenzio sottomarino alla Grande Barriera Corallina

Tartarughe marine che emergono dalle onde al tramonto a Ho'okipa

Risveglio a Bukit Lawang, giungla davanti e fiume sotto

Fumo di griglia in piazza a Marrakech

Il riso a colazione a Udayana

Fredde scogliere sulla Great Ocean road

Le strade di Bali luccicanti di pioggia, in motorino con il poncho di plastica

... e miliardi di altri dettagli che mi riempiono la memoria di piccole gioie, che mi avvolgono come un abbraccio, che mi faranno ancora sorridere quando da anziana berrò caffè e mangerò banana fritta sulla mia sedia a rotelle a bordo di un klotok in Kalimantan, mentre la pioggia cade sulla giungla e gli orangutan si riparano con ombrelli di foglie.





giovedì 22 settembre 2022

Abbandonata ad Amsterdam

In Kenya il Covid ha danneggiato l'economia, come in ogni altra nazione, ma ha segnato anche un progresso della tecnologia, tutto si paga tramite carta di credito o cellulare, il livello di igiene è migliorato e la gente ha più voglia di ripresa che di fare casini. L'aeroporto funziona come un orologio, i servizi sono accurati e puntuali.

In Europa, invece, il Covid ha portato il trasporto aereo indietro di cent'anni. Mi ero lamentata del personale di Parigi all'andata, ma almeno lì il personale c'era. Al ritorno ho fatto scalo ad Amsterdam e ho desiderato convertirmi a tutte le religioni possibili per bestemmiare in ogni lingua. Come scendi dall'aereo vieni completamente abbandonato, Schiphol sembrava un aeroporto fantasma ed erano le cinque del pomeriggio, mica del mattino. 

La coda che ho trovato al controllo dei bagagli a mano non aveva nulla da invidiare a quelle sulla Salerno-Reggio Calabria negli anni Ottanta perché c'erano solo due nastri aperti su dieci e i voli atterrati nel giro di mezz'ora erano tantissimi. Per raggiungere il nastro ho impiegato, non sto scherzando, un'ora e quaranta minuti. E in fila c'erano famiglie con bambini, anziani, disabili e non un solo addetto a dare assistenza. Per fortuna ho pensato bene di fare pipì appena atterrata, altrimenti me la sarei fatta addosso per non perdere il posto in coda. C'era gente che campeggiava e tirava fuori panini nell'attesa, qualcuno ha fatto amicizia col vicino, qualcuno ha litigato e qualcuno è diventato maggiorenne aspettando il suo turno. Io cercavo di non ficcare la cartina dell'Africa che sporgeva come un'arma dal mio zaino nell'occhio di chi mi stava dietro e alla fine ho passato il controllo. Ma il peggio doveva ancora venire.

Non è stato tanto leggere sul tabellone che il gate del mio volo KLM per Linate era a 24 minuti di cammino da dove mi trovavo; non è stato neanche vagare tra i punti di ristoro che esponevano grandi cartelli sul cibo salutare e biologico, ma non avevano nulla di vegano da offrimi perché pure nell'insalata c'erano le uova e per placare la fame fino a sera ho trovato solo una pallida macedonia in scatola da ben 6 euro; non è stato nemmeno il disagio di andare in bagno con lo zaino perché quando viaggi da sola non hai nessuno a cui lasciarlo in custodia; non è stato neppure arrivare al gate e scoprire solo lì che il mio volo aveva un'ora di ritardo perché non viene annunciato visto che non ci sono dipendenti a fare gli annunci. A darmi il colpo di grazia è stato, dieci minuti prima dell'orario previsto per l'imbarco, vedere sullo schermo l'orario del volo cambiare ancora in 22.55, cioè arrivo a Milano a mezzanotte e quaranta! Avevo lasciato il Khweza alle 6.30 quella mattina e giuro che mi è venuto da piangere. E non potevo chiedere spiegazioni, informazioni o incazzarmi con nessuno perché non c'era nessuno in quel maledetto aeroporto! Mi dispiaceva anche per mio fratello e la Simmy che dovevano venire a prendermi così tardi, gli ho detto di lasciar perdere e che avrei preso un taxi, ma hanno insistito (vi adoro!) anche se li avevo già sfruttati per prendersi cura di Bio in mia assenza.

È stato deprimente perché quando sei sola con tutte quelle ore d'attesa davanti non fai altro che pensare e quando sei stanca, affamata e vuoi solo tornare a casa, ti intristisci. Per un po' ho letto l'ebook "King Kong Theory" di Virginie Despentes che avevo comprato perché ne ho trovata una citazione nel libro di cui vi ho parlato in questo post, è un saggio interessante sulle donne e il sesso, ma troppo pesante per una che vorrebbe svagarsi per non ricordare che mancano ancora due ore all'imbarco. Ero circondata da persone altrettanto disperate perché il monitor delle partenze lampeggiava di avvisi di ritardo su tutti, tutti, tutti i voli, quindi le ho sentite le famose bestemmie in varie lingue. Vado in paranoia ricordando quante puntate di Indagini ad alta quota cominciano con un volo in ritardo che finisce in tragedia perché i piloti nella fretta saltano qualche punto delle check list pre-volo. Allora ascolto un po' di musica e cerco pensieri positivi, mentre anche i bar dell'aeroporto abbassano le saracinesche. Loro vanno a casa e io no. 

Quando finalmente compare un essere umano al banco del gate per annunciare che l'aereo è pronto, noi passeggeri siamo stremati e ci trasciniamo nel corridoio in silenzio come un'orda di zombi con i biglietti in mano. Il comandante al microfono dice letteralmente: "Prima di tutto mi scuso per il casino" e si sentiva che era in imbarazzo anche se non era certo colpa sua. Tranquillo, pensa a completare la check list. La carenza di personale negli aeroporti non è più giustificabile con la pandemia, la gente ha ripreso a viaggiare e bisogna occuparsene. Assumete, maledizione! E non capisco perché solo in Europa siamo messi così male, in aeroporto a Nairobi funzionava tutto splendidamente e in caso di necessità c'erano persone vere a cui rivolgersi. 

Osservo dall'oblò il carico dei bagagli e mi rincuora vedere la mia valigia imbarcarsi con me. Decolliamo.

Ormai è l'una quando abbraccio Sté e la Simmy. Arrivata a casa, non appeno infilo la chiave nella porta, sento miagolare. Entro e Bio corre giù dalla scala - tutto spettinato perché stava dormendo - per farmi le feste. Si struscia, si butta per terra per la felicità. Non disfo nemmeno le valigie, mi lavo velocemente e mi metto a letto con il mio gattino che mi tiene un braccio con le zampe e fa le fusa tutta la notte. 

Ho impiegato più di diciotto ore, ma alla fine sono a casa.

Buonanotte.

mercoledì 21 settembre 2022

Mba-Aini

Il titolo impronunciabile di questo post è il nome del villaggio d'origine di Peris. Si trova nella contea di Nyeri, tra il monte Kenya e il parco Aberdare dove il fertile suolo vulcanico ha reso la natura rigogliosa.


Mentre ci avvicinavamo, Peris mi indicava i luoghi della sua infanzia: la scuola, la chiesa, il ruscello dove faceva il bagno d'estate, la cascata sotto la quale si nasconde un caverna dove andava a giocare con gli amici di nascosto dai genitori che glielo proibivano perché pericoloso, le case dei cugini. Un tour della sua vita da bambina, insomma. la strada per la casa dei genitori è in salita e dall'alto si gode una vista spettacolare sulla valle e il monte Kenya. 

La piccola casa sorge su un terreno che la famiglia coltiva da generazioni con alberi da frutto, ortaggi e caffè. L'elettricità è arrivata negli anni Ottanta e in inverno fa molto freddo, però è un luogo talmente bello che sembra non mancare nulla per vivere serenamente e infatti i ricordi di Peris della sua infanzia qui sono tutti felici, anche quando racconta che lei e suoi fratelli dovevano portare la legna per il fuoco su per la salita fino a casa. Racconta che dovevano sbrigare le faccende nell'orto e finire i compiti di scuola prima del ritorno a casa dei genitori, ma erano sempre in ritardo perché si mettevano a giocare e mangiare la frutta così venivano puniti a pizzicotti dalla madre che è mancata nel 2009. Suo padre, Francis, si è risposato nel 2011 ed è con la sua seconda moglie Margaret che ci accoglie in casa al nostro arrivo, mi abbracciano come una di famiglia perché Peris gli ha parlato tanto di me.

Mentre Margaret è intenta a preparare il pranzo, ci accomodiamo sulle poltrone a parlare. Francis è simpaticissimo, ride e scherza con ognuno di noi. Prima di andare in pensione, oltre a occuparsi della sua terra, era un insegnante alla scuola elementare locale. Appese in salotto, insieme a immagini sacre e foto di famiglia, ci sono diverse cartine geografiche e io mi incanto a guardarne una dell'est Africa con indicati anche i parchi nazionali di Kenya, Uganda e Tanzania. "Se ti piace prendila pure" mi dice il papà di Peris mentre la toglie dal chiodo "Io posso procurarmene un'altra" e la arrotola per regalarmela. Sono strafelice perché è sulle mappe dell'atlante che ho cominciato a sognare paesi lontani da bambina e adoro le cartine geografiche, soprattutto quelle come questa che da noi non si trovano perché le nostre hanno sempre l'Europa al centro, oppure riportano continenti interi e poi è speciale perché viene dalla casa di un insegnante del Kenya. "La conserverò con cura e la appenderò a casa mia" gli prometto. Uno dei fratelli di Peris passa a salutare e le lascia una busta da consegnare alla figlia che studia all'università di Nairobi. Un altro dei suoi fratelli è morto l'anno scorso, poi ha una sorella che però oggi non riusciremo a incontrare perché dobbiamo rientrare a Nairobi entro sera e lei è al lavoro. 

Margaret ha preparato un pranzo super abbondante e fa avanti e indietro dalla cucina allineando sulla tavola le zuppiere da cui ognuno si serve da solo: riso alle verdure, lenticchie piccanti, verdure saltate, spinaci e uno spezzatino di carne per gli altri. Poi esce dal retro e Peris mi dice di seguirla perché va nella cucina esterna a preparare il chapati, così le faccio un video mentre con pochi gesti esperti cuoce sul fuoco a legna questa specie di piadina morbida.

Dopo mangiato, faccio un giro della proprietà con Peris che mi indica tutte le piante che coltivano e le case degli altri famigliari. Deve essere stato bellissimo crescere qui, con questa abbondanza di prodotti della terra anche se le strade sono un disastro, le case sono spartane, le comodità mancano, ma ai bambini non importa, godono della libertà e della natura e forse imparano più cose che crescendo in città dove tutto è più facile e a portata di mano.

Prima di salutarci, Margaret si cambia d'abito in un minuto e mezzo per celebrare il nostro incontro con qualche foto di gruppo. Infine ci mettiamo in cerchio perché vuole dire una preghiera e lo fa nella loro lingua quindi non capisco cosa dica però cita il mio nome. Io, che non sono religiosa, quando mi trovo tra persone così credenti, con una fede così forte, che confidano con tanta convinzione nella bontà divina, mi trovo in imbarazzo perché ho sempre il dubbio che magari abbiano ragione loro, o almeno ci spero, perché le loro benedizioni portino davvero a un mondo migliore. Anche quando nel 2017 a Bali sono andata al tempio con la famiglia di Kari e ho partecipato ai riti beneauguranti della funzione mi sono sentita così: grata per la loro fede. Non tanto per me che sono una peccatrice senza speranza, ma perché le persone gentili e generose dovrebbero essere in qualche modo ripagate, se non in questa vita difficile con piccole gioie, almeno nell'aldilà, in qualunque aldilà credano. Ecco le foto della visita.

Baci e abbracci e poi siamo on the road again, verso Nairobi. Lungo la strada ci fermiamo a un mercato perché qui frutta e verdura costano meno, Peris e James comprano sacchi e sacchi di roba con cui riempiamo il furgone. Quei pomodori, quelle carote e quella frutta colorata avevano un profumo incredibilmente invitante, ma non potevo certo portarmeli via in aereo così osservo con invidia e acquolina.

Il viaggio è lungo ed è il tramonto quando siamo alle porte della città. Peris telefona alla nipote per avvisarla che siamo nei pressi dell'università e abbiamo la busta di suo padre da consegnarle, poi, come se fossimo a Napoli, James si ferma con quattro frecce in piena tangenziale sotto un cavalcavia pedonale ad aspettarla. Ad un tratto vedo arrivare una bellissima ragazza con i capelli legati in una coda che corre leggiadra come una gazzella tra la gente, sale le scale del cavalcavia senza alcuno sforzo e scende dal nostro lato in un tempo da record olimpico, si affaccia al finestrino e saluta zia Peris con un sorriso, ritira la busta e un po' di chapati fatto oggi dalla nonna e sparisce com'è apparsa. Noi ripartiamo e nessuno ha osato suonare il clacson.

Il traffico si fa più intenso, è l'ora di punta, ma facciamo un'ultima tappa a casa di Peris dove scarichiamo la spesa fatta lungo la strada e mi presenta i suoi due figli gemelli che verranno con noi a cena al Khweza. La casa di Peris è un appartamento molto accogliente in un piccolo e grazioso condominio dove tutti i vicini la salutano visto che è stata via con me e non la vedevano da diversi giorni. Le strade del quartiere non sono asfaltate e il furgone dondola tra le buche e la folla di chi si ferma nei negozi al ritorno dal lavoro. James è sfinito, non vede l'ora di scaricarci al Khweza e andarsene a casa, poverino, ma il traffico è infernale.

Quando arriviamo è ormai buio. Scarichiamo i miei bagagli ed è il momento di congedare James che ci ha scarrozzate per una settimana dalla savana ai monti, sempre puntuale e gentile. 

Alla reception ritiro la chiave della mia stanza e una coperta Masai che ho fatto ricamare per mio fratello e consegnare lì. Giusto il tempo di darmi una rinfrescata e saliamo sul terrazzo per la cena. Mentre traffico con il vecchio laptop che ho regalato ai ragazzi perché mi sono dimenticata di impostarlo sull'inglese, Peris mi fa un'ultima sorpresa. "Guarda chi c'è" mi dice indicando un uomo che emerge dai tavoli degli avventori del venerdì sera. Fred! 

Che gioia rivederlo! Ci siamo subito fatti una foto da mandare alle Cavallette, poi abbiamo ricordato le nostre avventure e disavventure (tipo quando ci si è fermato il furgone nel mezzo del parco Aberdare senza possibilità di essere soccorsi o quando ci ha fatto passare il confine con la Tanzania senza documenti solo per farci vedere il Kilimangiaro da una prospettiva migliore). Fred è la guida migliore del mondo e ci ha fatto anche da fratello maggiore, sempre attento e premuroso, ma mai invadente. Lo credevo ancora in Inghilterra perché dopo il nostro ultimo viaggio aveva sposato una donna inglese e si era trasferito a Londra dove hanno anche avuto un bambino. Ma durante uno dei nostri gossip corner Peris mi aveva detto che è separato ed è tornato in Kenya. Me l'ha raccontato anche lui, mentre si univa a noi per la cena. Sta rimettendo un po' in ordine la sua vita facendo i lavori che trova, ma l'ho prenotato subito per le prossime volte che tornerò perché con Peris abbiamo stilato una lunga lista di parchi e foreste che ancora devo visitare in questo paese meraviglioso, compreso uno sconfinamento in Uganda per vedere i gorilla di montagna e l'ingaggio di una guida botanica nella foresta per imparare qualcosa anche sulle piante.

Che splendida serata! Peccato che fosse l'ultima perché la mattina dopo mi aspettava il volo di ritorno, ma quella è un'odissea che vi racconterò nel prossimo post.

Mi dispiace ancora che Sonia non sia potuta venire, ma almeno ho degli amici sul posto che mi hanno fatta sentire a casa.

martedì 20 settembre 2022

La cura

Come vi dicevo prima di partire, il clima in Kenya è insolitamente freddo in questo periodo. Se al Masai Mara di giorno potevo stare tranquillamente in canottiera, spostandoci a nord ho cominciato a indossare golfino e giacca. La notte a Naivasha è stata molto fredda e piovosa così, la mattina della partenza per Nyahururu, Peris si è svegliata con il mal di gola e io avevo un principio di raffreddore. Allora James, che cerca di far colpo su di me perché un po' geloso delle storie che io e Peris gli raccontiamo sulle avventure passate con Fred, dice di non preoccuparci perché ha la soluzione. 

Ci porta in paese a Naivasha, parcheggia davanti a un negozio di abiti usati e ci guida attraverso un portone che dà su un vicolo e un cortile minuscolo, lì si trova un locale dove due ragazze vendono rimedi naturali e biologici. 

Il posto è così piccolo che in tre l'abbiamo già affollato. sul banco c'è una fila thermos che contengono tisane a base di erbe, frutti e piante per mille usi. Una delle ragazze serve a Peris una tazza d'infuso bollente, ne assaggio un po' ed è delizioso, quindi ne ordino una tazza anch'io mentre cerco di riconoscere le radici e le erbe esposte sugli scaffali, azzecco ovviamente solo quelle facili come rosmarino, zenzero e banana. Insieme alla bevanda ci servono un piatto di pane alla barbabietola. Peris compra un'intera bottiglia del dolce infuso che stiamo bevendo, lo riscalderemo la sera nel nuovo albergo. Questo è un locale che non si trova se non lo si conosce e non ci capiti per caso. A guardarlo è misero, il pavimento rovinato anche se pulito, le pareti spoglie, le sedie tutte diverse e i tavolini zoppi, ma il profumo che esce da quelle tazze fumanti fa sognare. Dico a Peris che andrebbe incluso nei suoi tour.


Partiamo alla volta di Nyahururu e osservo dal finestrino il paesaggio cambiare e diventare sempre più verde quando oltrepassiamo l'equatore verso nord. Le cittadine che attraversiamo sono colorate di pubblicità e messaggi religiosi, enormi scritte Gesù ti ama e Dio vede tutto sono dipinte su tetti e muri; la gente attraversa la strada senza guardare, mucche e asini pascolano liberamente, per questo ci sono tanti dossi a rallentare il traffico. La strada principale è l'unica asfaltata, il resto è polvere rossa che si solleva a ogni passaggio d'auto e quando piove diventa fango rosso che si accumula nelle buche e nei fossi insieme alla spazzatura. Tra un paese e l'altro la strada attraversa chilometri di natura e guardo i vecchi camion sgangherati che trasportano merci attraverso Kenya e Uganda, credo vadano a carbone per il fumo nero che sputano ad ogni accelerata e sembra un peccato mortale in un paesaggio così bello.

Arriviamo a Nyahururu dove nel 2016 ero stata con le ragazze a visitare le cascate Thompson. Ci fermeremo per la notte nello stesso lodge di allora, quello che ci era sembrato troppo bello per noi. Lasciamo libero James per il resto della giornata, non abbiamo programmato attività, quindi relax per tutti. Mi accomodo con Peris in giardino e ordiniamo il pranzo, ma è proprio in quel momento che la tisana del mattino comincia a fare uno strano effetto e corro in bagno. Da allora sarà un continuo sia per me che per Peris: pranzo, bagno, passeggiata alle cascate, bagno, foto ai mille fiori del giardino, bagno, aggiornamento blog e album fotografici, bagno, doccia, bagno, cena al ristorante, bagno, chiacchierata davanti al caminetto acceso in camera mia, bagno, pigiama, bagno. Al grido di "Nature's calling" una delle due spariva e per fortuna al lodge abbiamo di nuovo camere separate così ognuna può correre al proprio bagno. Alla fine ci diciamo che, se non altro, la tisana ci ha depurate profondamente! 

E ora che vi ho parlato di merda, sperando che stiate leggendo a tavola, potete guardare in questo album le foto scattate tra una corsa alla toilette e l'altra. 



Nota per viaggiatori: difficile trovare bidet nei bagni fuori dall'Italia, quindi l'alternativa è portarsi dietro le salviettine intime per bebè.

lunedì 19 settembre 2022

A spasso con Joseph

Arriviamo alla guest house Jane di Naivasha, con i panni stesi nel furgone come gli zingari, e ci accolgono i gatti che abitano nel bel giardino della piccola e accogliente struttura. La stanza è nella mansarda, per questa notte la condividerò con Peris e so già che le chiacchiere ci terranno sveglie fino a tardi. Siamo giusto in tempo per il pranzo e finalmente mangiamo bene, poi James ci porta sul lago dove, con una guida, si può passeggiare tra giraffe, zebre, gnu, gazzelle e antilopi d'acqua.

La nostra guida si chiama Joseph e ha i piercing sulla visiera del cappellino. All'inizio ci mette un po' in soggezione perché ci interroga sugli animali come fossimo a scuola: la zebra è bianca a strisce nere o nera a strisce bianche? a cosa servono le strisce oltre a mimetizzarsi? cos'hanno in comune le antilopi e i cervi? come si distinguono le femmine dai maschi da lontano? questa cacca è di gazzella o di giraffa? Senti, bello, se avessi saputo le risposte non ti avrei pagato per la lezione. Col proseguire della passeggiata, però, si è rilassato e, messa da parte l'aria da saputello, si è rivelato perfino divertente e spiritoso. Ci siamo avvicinati agli animali, sempre tenendo una distanza che non li disturbasse e lasciando loro lo spazio per fuggire senza investirci nel caso si fossero spaventati, come da precise e perentorie istruzioni di Joseph. 

Amo gli alberi di questo parco, sono altissimi e hanno i tronchi di splendide sfumature che vanno dal giallo al nero, fanno da sfondo perfetto all'incontro con gli animali, poi si aprono come un sipario sul lago che segna il punto più elevato della Rift Valley in Kenya e, come piace a me, è di origine vulcanica. Abbiamo tempestato il ragazzo di domande, un po' per vera curiosità e un po' per testare la sua saputellitudine, ma ne sa davvero parecchio malgrado la giovane età. Dice anche che, se avessimo avuto più tempo a disposizione, sarebbe stato in grado di farmi passare la paura degli ippopotami - gli ho raccontato la disavventura di sette anni fa - facendomeli conoscere meglio e spiegandomi come comportarmi in loro presenza, ma sarà per la prossima volta perché siamo a Naivasha di passaggio sulla via per il villaggio d'origine di Peris e restiamo solo un'altra mezza giornata. Trovate le foto in questo album.

L'ora di visita guidata vola via nel vento che sta portando la pioggia serale, ma alla fine Joseph ci è piaciuto tanto che lo ingaggiamo per guidarci nel birdwatching il mattino dopo e lui ci raccomanda di essere puntuali alle sette. Sì, prof.

A cena aggiorno il blog mentre Peris condivide il suo pollo con i gatti. Ci ritiriamo presto in camera perché abbiamo fissato la colazione alle 6.30, ma anziché dormire chiacchieriamo al buio dai nostri letti. James lo chiama gossip corner, in realtà parliamo anche di cose serie: dai diritti delle donne al sistema di istruzione, dall'inquinamento alle condizioni di lavoro, dai trasporti alla criminalità, mettendo a confronto Kenya e Italia. Se da un lato troviamo molte similitudini, dall'altro ci sorprendiamo per le differenze. Per esempio Peris è rimasta scioccata nel sapere che da noi lo sposo non paga nulla (in denaro, merci o bestiame) alla famiglia della sposa per prenderla in moglie. Attenzione, non si tratta di comprare la donna, bensì è buona educazione "risarcire" la famiglia che la perde. Poi tra confidenze più personali e storie su amici comuni, è arrivata l'ora della nanna.

Alle 6.30 caffè, pane tostato, marmellata e frutta fresca, poi di corsa da Joseph prima che ci sgridi. Anche se le nostre macchine fotografiche non sono attrezzate con gli zoom adatti al birdwatching, il bello non è tanto catturare le immagini, ma osservare e godersi lo spettacolo. Il lago al mattino presto è stupendo e brulica di vita nonostante abbia l'aspetto più pacifico del mondo. Camminiamo tra le pozze fangose lasciate dalla marea e le impronte profonde degli ippopotami venuti a riva nella notte. 

Joseph col quadernino
A Naivasha si trovano oltre 450 specie di uccelli acquatici e terrestri oltre a quelli migratori, per questo, ci spiega Joseph, chi si specializza qui come guida di birdwatching è molto richiesto in tutta l'Africa orientale. Ogni volta che ci indica un uccello e ce ne parla, ne scrive il nome sul quaderno (che ci ha ordinato di portare) così alla fine della visita avremo un elenco preciso di tutti gli avvistamenti. Avrei potuto scattare foto a casaccio e in ognuna avreste trovato almeno quattro o cinque specie diverse tanto è ricco questo ambiente, mi dispiace solo che ci dicesse i nomi in inglese e non conosco il corrispondente in italiano, a parte quelli facili come pellicano, fenicottero, cormorano, airone, ibis e qualche tipo di anatra. Divertitevi voi a riconoscerli nell'album che trovate qui.



Alla fine del giro, Peris si fa dare il numero di telefono da Joseph perché è davvero molto preparato e vuole includere le escursioni con lui nei tour dei suoi prossimi clienti. Ci salutiamo e torniamo alla guest house per fare i bagagli e partire verso la prossima tappa, Nyahururu.

venerdì 16 settembre 2022

Ritorno al Masai Mara

Lungo la strada imparo un detto locale: Non puoi competere con un elefante sulla cacca, anche se non ho capito bene come sia venuto fuori durante un discorso sul traffico.

Attraversando la Great Rift Valley facciamo una sosta e un uomo che vende cappelli da safari ai turisti ha preso di mira Peris. Ci segue perfino al distributore di benzina, noi la prendevamo in giro dicendo che si era innamorato. Sfinita, la mia amica ha comprato un cappello e l'ha pagato tramite cellulare, un metodo di pagamento che si è diffuso molto durante la pandemia per evitare lo scambio di moneta, così lui ha avuto il suo numero e la sera ancora riceveva messaggi romantici.

Arrivati al lodge per pranzo, mi accorgo che non è lo stesso dove ero stata con le Cavallette nel 2015, Peris voleva evitarci la lunga strada accidentata che avevamo sperimentato quella volta. Le stanze non sono tende, ma bungalow e sono perfino troppo eleganti e spaziose per me. Ci sono anche un bar e una piscina. Dopo un pranzo non altezza delle camere, partiamo per un breve safari fino al tramonto.

Un'altra guida avvisa James che sono stati avvistati due ghepardi, l'altra volta non li avevo visti, quindi corriamo verso il luogo indicato, allontanandoci parecchio dall'ingresso del parco. Erano due bellissimi ghepardi comodamente sdraiati a rilassarsi nella savana, ma ho avuto giusto il tempo di scattare qualche foto e salutarli perché dovevamo uscire dal parco entro le sei ed erano già le sei e mezza. Correndo sulle piste sterrate abbiamo raggiunto l'uscita alle sette e i ranger ci hanno tenuti in ostaggio per mezz'ora per rilasciarci dopo il pagamento di una multa. Giusto, colpa nostra, scusate. Trascorro la serata in veranda a scambiare confidenze e spezzoni di vita con Peris, mentre ascoltiamo gli ululati delle iene nel buio. Dormo benissimo.

Il giorno dopo è interamente dedicato al safari con pranzo al sacco. Prima di entrare nel parco ci fermiamo nel villaggio Masai perché Peris deve prelevare e mentre lei è nella filiale, un sacco di bambine e bambini spuntano da ogni angolo e vengono a salutare, ridendo quando io e James ricambiamo. Abbiamo distribuito le matite e penne lasciate a Peris da Diego e Ale in agosto perché fossero donate agli studenti meno abbienti e hanno fatto davvero felici questi bambini. Grazie.

E ora ci immergiamo nella bellezza della natura, questa volta senza fretta. Vedrete dalle foto tutti gli animali che ho avvistato e spesso sono rimasta a osservarli dimenticandomi di fotografare, ma se quello che vedete sono gli avanzi, figuratevi il resto. Il Masai Mara è proprio quello che ti aspetti di vedere dopo essere cresciuto a documentari, in tutto il suo splendore anche sotto i nuvoloni che nel pomeriggio ci hanno spruzzato addosso un po' di pioggia. Il panorama è meraviglioso e osservare gli animali liberi nel loro ambiente è sempre emozionante.

Durante il giro ci siamo fermati diverse volte ad aiutare i mezzi impantanati ed è toccato anche a noi, ma tutti si fermano ad aiutare e, se non ci si trova troppo isolati, in poche decine di minuti si è salvi e pronti a ripartire.

La sera torniamo al lodge che, a parte la bellezza della struttura in sé, è una delusione. Prima di tutto per la scarsa qualità del cibo che sapete essere fondamentale per me; la sera c'è sempre una zuppa come antipasto, ma se la prima era appena passabile (una crema di zucchine super annacquata) la seconda sera era immangiabile. Il cartellino diceva zuppa di patate, ma era un liquido grigio che sapeva vagamente di terriccio. Peris e James ancora ridono perché ho detto che pareva l'acqua del fiume Mara e avrei scommesso che avesse pure lo stesso sapore. Anche il pranzo al sacco che hanno preparato per me era opera di un genio: ha incartato le lenticchie stufate nella stagnola e ovviamente si sono rovesciate nella scatola bagnando il pane, il succo di frutta e la frutta. Inoltre all'arrivo avevo consegnato un sacchetto con gli abiti sporchi dei primi due giorni per la lavanderia, ma riaverli è stata un'odissea: prima alla reception mi dicono che sono pronti e di aspettare in camera che me li portino; non arriva nessuno, quindi avviso che vado a cena e possono trovarmi al ristorante; ancora non mi cerca nessuno; dopo cena torno in camera e mi siedo in veranda con Peris per un'altra delle nostre chiacchierate con birra e biscotti e alle nove arriva un ragazzo con il mio sacchetto che mi accorgo subito essere umido, lo apro e i vestiti sono stirati ma per nulla asciutti quindi li appendo in giro per la stanza sperando che si asciughino durante la notte. La mattina in reception ci dicono che l'asciugatrice era rotta. Ma perché non dirlo subito? Peris ha riportato tutto al direttore, lamentandosi anche perché nella sua camera non c'era una coperta aggiuntiva. Li ha cazziati per bene.

La prossima tappa è Naivasha che mi ricorda l'attacco dell'ippopotamo nel 2015, quindi niente escursione in barca, ma faremo altro che vi racconterò. James va un po' in palla perché io e Peris continuiamo a cambiare il programma a seconda di cosa abbiamo voglia di fare, ma si adatta perché in fondo lei è il suo capo e io un'ospite speciale.

P.S. A questo link le foto del safari e a questo le foto di Nairobi

giovedì 15 settembre 2022

Karen ovunque

Salire quella stretta scala che dalla strada sale al Khweza mi ha dato un senso di casa. Peris mi avrebbe raggiunta in un paio d'ore, nel frattempo ho preso possesso della mia stanza e mi sono fatta quella fantastica doccia post-volo che toglie di dosso l'odore di aereo e la stanchezza. Sono salita sul terrazzo a bere un caffè e tutti i dipendenti che incontravo mi dicevano: “Ah tu sei Simona!” perché Peris aveva allertato tutti dell'arrivo di una sua cara amica che andava trattata meglio degli altri. Mi son sentita una star.

Alle undici arriva Peris e, dopo due anni di whatsapp, finalmente ci abbracciamo e ci raccontiamo un sacco di cose mentre andiamo in giro per Nairobi.

Prima pranzo in un posto carinissimo vicino al Giraffe Center, poi naturalmente un salto al Giraffe Center dove è sempre divertente dar da mangiare alle giraffe con le loro espressioni buffe. Ci porterò Penelope e Lucio quando saranno un po' più grandi.

Al ritorno ci siamo fermate a visitare il museo di Karen Blixen che è la casa in cui ha vissuto. Devo dire che mi è piaciuto più di quanto mi aspettassi. La ragazza che ci ha fatto da guida ci ha raccontato l'intera storia mentre ci accompagnava attraverso le stanze. Negli armadi erano appesi gli abiti di scena donati dalla produzione del film La mia Africa a fare ancor più atmosfera insieme agli oggetti originali appartenuti alla scrittrice. Nelle foto vedrete solo l'esterno della casa e il giardino perché non si possono fare foto all'interno, ma vale una visita se passate da Nairobi. L'autrice danese è talmente amata da queste parti che tutto nel quartiere si chiama Karen: il meccanico Karen, la scuola Karen, l'ospedale Karen, il panettiere Karen.

La sera, Peris mi lascia al Khweza e torna a casa in autobus nascondendo in diversi sacchetti il mio vecchio laptop che le ho regalato per i figli che ne hanno bisogno per la scuola. Alle sette mi riscaldo con un'ottima zuppa di zucca sul terrazzo e alle otto e mezza vado già a letto. A Nairobi è già buio come fosse mezzanotte e fa un certo freddino, quindi prendo dall'armadio la coperta pesante, una di quelle che sono pesanti in chili non in calore, e svengo non appena poso la testa sul cuscino.

Il giorno dopo alle otto si parte per il Masai Mara. Al posto del nostro caro Fred – che probabilmente incontrerò venerdì quando tornerò a Nairobi – è James ad accompagnare me e Peris in questo tour. Vi dirò alla fine se si dimostrerà all'altezza della nostra guida preferita.


mercoledì 14 settembre 2022

Poulet

Sono arrivata a Nairobi sana, salva e, non era scontato, con valigia.

Scusate il ritardo di questo primo post, ma sono stata occupata con cose migliori del computer come potete immaginare.

Prima di parlarvi del Kenya, però, devo raccontarvi del viaggio perché quando parti con qualcuno puoi passare il tempo in compagnia e condividere il peso dei disagi, invece Sonia mi ha mandato da sola e mi sono goduta tutto la sofferenza che ora riverserò gratuitamente su di voi.

Innanzitutto devo ricordarmi di non prenotare mai più voli con scalo a Parigi.

Già l'ultima volta ero stata assalita dal mostro delle code e con due ore a disposizione non ero nemmeno riuscita a fare pipì, ma ero con le mie amiche ed è stato sopportabile. Questa volta, con oltre quattro ore di tempo, è stato lo stesso un incubo, anche se differente.

Lasciamo pure da parte l'irritante giochino per cui a domande in inglese le risposte sono sempre in francese - e meno male che un po' lo capisco - ma quell'aria scocciata dei vari dipendenti dell'aeroporto e delle compagnie aeree nel darmi assistenza e informazioni, cosa che dovrebbe essere il loro lavoro, proprio non mi va giù.

Due ore prima dell'imbarco, i passeggeri del mio volo per Nairobi vengono chiamati al gate per il controllo dei documenti perché dal 2021 bisogna avere il visto in anticipo, non è più possibile ottenerlo all'arrivo. Mi presento al banco e mostro alla signorina il mio visto elettronico sul cellulare. “Ma non l'ha stampato?” mi chiede. No, scusa, si chiama visto elettronico per un motivo perché lo vuoi di carta? Con un sospiro come se mi stesse facendo un favore malgrado il mio dispetto di non sprecare carta, mi dice che va bene lo stesso.


Gironzolo per il terminal, notando dalla segnaletica che in Francia sono gli uomini a cambiare i pannolini (foto qui accanto), bevo un caffè schifoso per 3,50 Euro, trovo da mangiare cracker e pistacchi, rubo tutta l'elettricità possibile ricaricando telefono, computer, e-reader e batteria della macchina fotografica svaccata su un poltrona vista piste e arriva l'ora dell'imbarco.

Anche in aereo mi trovo di fianco una coppia di francesi, per di più anziani e quindi rognosi per definizione. Un vantaggio del veganesimo in aereo è che se prenoti un pasto speciale sarai servito prima degli altri, ma la mia vicina di posto allungava le mani ogni volta che gli assistenti di volo mi porgevano qualcosa. Non esistevo per lei o comunque venivo dopo. Passano con le bevande e chiedono a me, perché partono dal fondo della fila, “Coffee or tea?” e la vecchia, poiché non vuole niente, gesticola per mandare via l'assistente. Allora ho alzato la voce “Tea, please” e lei si è voltata a guardarmi come se mi vedesse per la prima volta. L'assistente sorride mi passa il mio tè. Beccati questa!

Penserete che una che è abituata a dormire con i gatti dovrebbe saper trovare una posizione anche per addormentarsi in aereo, invece avrò riposato due ore, non consecutive, sulle sette e mezzo di volo, con il vecchio che russava e la vecchia che continuava a perdere gli occhiali. Mettiteli in tasca, maledizione!

Così al mio arrivo ero distrutta e incazzata, ma non appena l'auto che è venuta a prendermi ha svoltato nella via del Khweza e ho visto l'insegna che ormai mi è tanto familiare, mi sono lasciata tutto alle spalle ed ero pronta a cominciare la mia vacanza, ma di questo vi parlerò nel prossimo post.

Insomma, esistono anche francesi deliziosi, credetemi, come il mio ex-capo Thibaut e la mia collega Axelle, però continuo a non capire perché quando la hostess che serviva i pasti ha chiesto con un bel sorriso: “Fish, chicken or vegetarian?” la risposta della vecchia è stata: “Poulet.”


domenica 4 settembre 2022

Si riparte!

Ci siamo quasi, tra pochi giorni prenderò il primo volo dopo oltre due anni. Purtroppo Sonia ha dovuto rinunciare al viaggio e mi dispiace proprio tanto.

Quindi mi imbarcherò da sola in questa nuova avventura, ma ad aspettarmi a Nairobi ci sarà la mia affezionatissima Peris che, oltre ad aver organizzato per me le giornate nella splendida natura del Kenya, questa volta mi porterà a visitare il suo villaggio d'origine per presentarmi la sua famiglia.

Gli zii sono stati istruiti per prendersi cura di Bio durante la mia assenza, perciò non mi resta che spuntare la lista di cose da fare prima della partenza e preparare la valigia.

Sul sito di Kenya Airways c'è un avviso di ritardo sui bagagli imbarcati in Europa. Durante la pandemia, il personale aeroportuale è stato drasticamente ridotto e ancora oggi non ci sono abbastanza addetti per trasferire in tempo i bagagli da un volo all'altro. All'andata farò scalo a Parigi e spero che, passata l'alta stagione di luglio e agosto, la mia valigia mi segua come dovrebbe. In ogni caso, meglio portare un cambio di vestiti nel bagaglio a mano, poi si vedrà.

Per quanto riguarda il meteo, mi aspettano massime di 25 gradi e minime di 12, praticamente la temperatura che ho sognato per tutto luglio e, per i negazionisti dei cambiamenti climatici, quando mai ci è capitato di dire "Vado in Africa a prendere un po' di fresco"

Non sono sicura che avrò a disposizione una connessione Internet per tutto il viaggio, ma cercherò di aggiornare il blog quando possibile mentre mi godo la vacanza.

Buon viaggio a me!




domenica 28 agosto 2022

Anche le donne sono fatte per viaggiare


Su consiglio del TdC (ebbene sì, anche quelli di Cinisello sanno leggere) ho comprato questo interessantissimo ebook. Il titolo italiano è "Donne in viaggio. Storie e itinerari di emancipazione" ma quello originale è decisamente più rappresentativo di ciò che Lucie Azema vuole raccontarci e spiegarci: "Les femmes aussi sont du voyage" ossia anche le donne viaggiano.

Questa lettura mi ha fatto riflettere molto sui limiti che storicamente sono stati imposti alle donne rispetto al viaggio. L'uomo parte alla scoperta del mondo (spesso per anni interi), la donna aspetta a casa con i figli, questi erano i ruoli. Così la maggior parte della letteratura di viaggio è stata scritta da uomini e i luoghi lontani che racconta sono descritti dal punto di vista maschile e, in particolare, del maschio europeo conquistatore. Le donne potevano aspirare al massimo al compito di accompagnatrici (mogli, figlie, cameriere, segretarie) o di figure sullo sfondo dei racconti, come elementi decorativi esotici al pari di oggetti d'artigianato locale o piatti tipici. 

L'esplorazione ci è stata dunque raccontata a metà e uno degli esempi riportati dall'autrice riguarda la descrizione di un harem: gli uomini fantasticavano su questo luogo segreto a cui non avevano accesso immaginandolo come stanze lussuose piene di donne bellissime adornate da gioielli e profumi che non desideravano altro che soddisfare gli uomini; poi Marga d'Andurain, avventuriera francese, viene rinchiusa nell'harem del vicegovernatore di Gedda e racconta come fosse in realtà, cioè un misero tugurio in cui le donne, spesso vestite di stracci, erano confinate ad accudire i bambini. 

Secoli di limitazioni hanno alimentato nelle donne stesse pregiudizi e paure perché a furia di sentirsi ripetere che non erano fisicamente adatte al viaggio, che per loro era sconveniente e pericoloso, che le avventuriere erano donnacce o malate di mente, la voglia di partire un po' ti passa, no?

Invece, Lucie Azema mi ha fatto conoscere tante donne esploratrici che hanno ignorato gli avvertimenti di chi tentava di dissuaderle e  i commenti di chi le giudicava e derideva, che hanno sfidato le regole e sono partite riprendendosi la libertà di movimento che spettava loro, dimostrando la propria indipendenza. Isabelle Eberhardt, per esempio, nata a Ginevra nel 1877 che si travestì da uomo per viaggiare liberamente in tutto il Nord Africa, scrivendo memorie e romanzi. Oppure la scrittrice Alexadra David-Néel che negli anni Venti del Novecento fu la prima donna a raggiungere il Tibet. Oppure, la mia preferita tra queste scoperte, Isabella Bird che per gran parte della vita è stata costretta in casa per salvaguardare la sua salute e poi a quarant'anni, nel 1872, s'imbarca dalla Scozia per l'Australia e non smetterà più di viaggiare per tutto il mondo. C'è anche, ovviamente, la mia amata Agatha Christie che ha raccontato i suoi viaggi in Medio Oriente, Sud Africa e Australia con la sua tipica acutezza e ironia, ma seppure romanziera già affermata fu vittima dei soliti pregiudizi da parte di uomini che le parlavano "come se fossi stupida" in presenza del marito archeologo. E Azema ne cita tante altre, vissute in diverse epoche, che non ho mai sentito nominare perché i loro scritti sono reperibili solo in inglese o francese, ma erano esploratrici, scrittrici, giornaliste, botaniche, antropologhe o semplicemente donne curiose che volevano conoscere il mondo al di là delle mura domestiche, ispirandomi nuove ricerche e letture. L'avventura non è un territorio esclusivamente maschile.

L'autrice, però, non si limita a riportare le storie di viaggiatrici, ma ragiona su tanti aspetti sociali e culturali legati al viaggio. Dal turismo sessuale agli stereotipi sugli abitanti (e anche sui viaggiatori) di altri continenti, dal colonialismo all'indipendenza economica per viaggiare e molto altro. Ho scoperto per esempio che in origine le assistenti di volo dovevano essere infermiere diplomate, mentre poi sono diventate "attraenti cameriere" al servizio dei passeggeri e solo di recente le regole sul loro aspetto, peso e abbigliamento sono state superate.

Riguardo la paura di partire che scoraggia molte donne, a volte inconsciamente, Azema scrive: "La vulnerabilità fa parte dell'educazione delle bambine: imparare a essere difesa piuttosto che difendersi". Poi ci rassicura sul fatto che nessuna delle esploratrici è morta per qualcosa che non avrebbe ucciso anche un uomo (malattia, vecchiaia, incidente o omicidio) o che non le sarebbe capitato anche a casa. Personalmente, ho paura delle città. Non ho mai avuto paura della giungla o del mare, ho temuto per la mia incolumità andando a riprendere l'auto in un parcheggio di Milano e non mentre camminavo con l'acqua al petto in Borneo. "Non andare, ti farai stuprare! Ecco come i cari amici ti incoraggiano quando li informi che vorresti fare un viaggio" riporta l'autrice citando da Anne-France Dautheville e me lo son sentito dire anch'io dalla sempre ottimista Altea, sia che andassi in Africa o a Carugate comunque.

Se una donna esita a partire da sola o ad accettare un lavoro all'estero dovrebbe porsi un'unica domanda: "Se fossi un uomo esiterei per le stesse ragioni?"

Insomma, un libro illuminate e interessante anche se devo dire che non sono d'accordo con tutte le considerazioni di Azema, a volte assume delle posizioni così estreme da ribaltarsi, diventa lei stessa quel prevaricatore di cui si lamenta. Sostenere i diritti delle donne non significa odiare gli uomini o sottometterli, bensì confrontarsi alla pari, avere lo stesso potere e libertà. Anche nel racconto di viaggio, come in ogni campo, il punto di vista di una donna completa il quadro proprio perché diverso da quello di un uomo e non solo riguardo luoghi interdetti all'uno o all'altra, ma perché osservano le persone in modo differente, sono sensibili a stimoli differenti, la loro attenzione è attirata da particolari differenti e comunicano in modi differenti: per questo sono entrambi - e allo stesso modo - importanti.

Da leggere assolutamente.



sabato 13 agosto 2022

Eterna ispirazione


Piero Angela. La mia prima indimenticabile guida nell'esplorazione del mondo, della storia, della scienza, della natura. Ispiratore di meraviglia. Alimentatore di curiosità. Donatore di sapere. Pianista. Gran signore.

Grazie di tutto

domenica 31 luglio 2022

Gallina vecchia fa buon... viaggio

Dopo la lunga pausa forzata da eventi mondiali e dopo un luglio infuocato al quale sono eroicamente sopravvissuta senza aria condizionata e con un gatto che pretende la copertina di pile a letto anche con 42 gradi, finalmente la vostra National Geo Barbi torna a progettare l'esplorazione di ciò che rimane di bello da vedere nel mondo malgrado l'umanità.

Programmare è già un po' viaggiare per me: scegliere la meta, studiare gli spostamenti, raccogliere informazioni, farmi incuriosire dalle possibilità. La mia lista dei desideri è lunga quanto i Rotoloni Regina e, considerando l'età, le disponibilità economica e la velocità alla quale stiamo facendo marcire il pianeta, mi sa che dovrò rimandare qualcosa alla prossima vita. Non ho la smania di piantare bandierine sul planisfero per dire di essere stata ovunque e mi piace anche tornare nei luoghi che ho amato di più ed emozionarmi come fosse la prima volta, rivedere le persone che mi sono rimaste nel cuore, sentirmi a casa dall'altra parte del mondo. Comunque, pur tornando nello stesso posto, ogni viaggio è diverso e nuovo perché nella vita può capitare di tutto, perché un giorno di pioggia può trasformare completamente il panorama, perché il tempo cambia le cose e il nostro modo di guardarle, perché l'ultima volta a quel bivio abbiamo preso una strada e ora imbocchiamo l'altra, perché è diverso viaggiare da soli, in coppia o in gruppo. 

Ora passiamo dalla filosofia alla pratica. Per rivedere le Cavallette partire tutte insieme dovrete purtroppo attendere fino a maggio 2023 quando ci concederemo due intere settimane di avventure nella natura tra le isole indonesiane, sopra e sotto il mare. Ve ne parlerò tra qualche tempo.

Ma non disperate, avrete un viaggio da seguire anche quest'anno: a settembre la sezione anziani del gruppo, cioè io e Sonia, imbarcherà i deambulatori alla volta del Kenya. Andremo a far visita alla nostra carissima Peris che ci accompagnerà al suo villaggio d'origine nella contea di Nyeri, sotto il monte Kenya, per presentarci la sua famiglia. Me lo immagino come nei libri di McCall Smith che mi ha fatto conoscere proprio Sonia, anche se sono ambientati in Botswana: una di quelle cittadine africane caotiche e polverose dove la gente si ritrova a chiacchierare in ogni possibile macchia d'ombra e cura il proprio cortile anche se il resto del paese è un mezzo disastro.

Naturalmente, già che andiamo fin là, non perderemo l'occasione di un safari al Masai Mara con due notti in tenda e sulla strada ci fermeremo alla scuola che frequentano i figli di Peris per conoscere anche loro. Per la giornata di arrivo a Nairobi un salto al giraffe center che è sempre bello e un giro al museo di Karen Blixen che ci siamo perse nei viaggi precedenti.

Non vedo l'ora di partire anche se Bio non è d'accordo perché pretende la sua spazzolata ogni mattina, ma mi farò perdonare portandogli le foto dei suoi cugini leoni.



martedì 15 marzo 2022

Una passeggiata con Bryson

Ho sempre amato la letteratura di viaggio: dai diari dei primi esploratori ai reportage di avventurosi giornalisti, dalla grazia con cui Agatha Christie raccontava di dormire tra i ratti in Siria agli articoli di National Geographic su natura e cultura di paesi lontani, dalle cronache africane di Kapuscinski alla biografia di Magellano. Quindi non so spiegarmi come mai i libri di Bill Bryson, giornalista e scrittore diventato popolare proprio per i suoi racconti di viaggio, siano rimasti a ingiallire da uno scaffale all’altro dei miei traslochi fino a pochi giorni fa, quando mi sono decisa a leggere Una passeggiata nei boschi datato 1997. È stato amore alla prima pagina.

Bryson non è un esploratore esperto, non è tecnicamente né fisicamente preparato all’avventura esattamente come me, ma, sempre come me, è curioso e aperto alle scoperte, per questo mi sono subito immedesimata nella sua voglia di conoscere come nei suoi disagi e nei suoi limiti. Elegantemente, le recensioni definiscono lo stile di Bryson ironico e autoironico, ma lasciatemi dire che in alcuni punti è davvero comico, da interrompere la lettura per farsi una risata. Questo però non gli impedisce di approfittare di questa "passeggiata" lungo l'Appalachian Trail per raccontare un po' di storia americana, soprattutto riguardo la gestione dei parchi nazionali, il disboscamento, la caccia e il rapporto tra l'americano medio e la natura. Una lettura divertentissima e  anche istruttiva, insomma.

Subito dopo, ho cominciato il suo libro sull'Australia, In un paese bruciato dal sole pubblicato nel 2000, perché ero curiosa di leggere come Bryson descrivesse i luoghi che anch’io ho visitato in un 2010 che mi sembra ormai mille anni fa e infatti, nel riconoscere le mie stesse impressioni, la lettura è stata intrisa di nostalgia e di “Sì, è vero, è proprio così.” Fare dell'ironia (per dirla con eleganza come i recensori) su uno dei posti più strani del mondo, abitato dagli animali più bizzarri e pericolosi del pianeta, per Bryson è vincere facile, ma anche in questo libro, gli aneddoti personali si intrecciano con fatti storici e digressioni nelle scienze naturali. In realtà le sue visite in Australia sono dedicate soprattutto a città, musei e luoghi di interesse storico che, per quanto siano pochi, sono indicati e decantati con orgoglio da ogni guida del continente. Io, invece, ci sono andata in cerca di quella natura stravagante e fantastica che rende quest'isola unica al mondo. Tuttavia, ho ritrovato molto della mia esperienza nelle parole di Bryson: la vastità dell'orizzonte visibile, l'intensità del cielo nelle giornate di sole tanto in città quanto nel grande vuoto tra le città, la sensazione di trovarsi alla fine del mondo e poi sentirsi stranamente a casa per un piccolo particolare familiare, lo stupore non solo per ciò che si presenta alla vista, ma anche per il comportamento delle persone e poi quel sentore di magia nella stranezza delle forme, dei colori, delle creature così lontane dalla nostra realtà che sembra di trovarsi in una storia di fantasia o in un cartone animato.

Ho amato i colori dei paesaggi disabitati da cui all'improvviso spuntavano città nuove nuove o i paesini da 9 abitanti nell'outback; sento ancora l'emozione degli incontri con animali stupendi: wallaby, leoni marini, koala, delfini, pinguini, foche, coccodrilli, pellicani, emù, echidna - uno dei nostri preferiti sull'enciclopedia degli animali che io e mio fratello sfogliavamo da bambini - e naturalmente tutto il mondo sommerso della Grande Barriera Corallina che, nel 2010 quando ci ho nuotato, pullulava ancora di vita. Grazie, Bill, per questo viaggio nel tempo.

Chissà quando potrò riprendere il volo verso nuove avventure e scriverne qui, mi domando nella mia depressione da valigia nell'armadio, ma l'umanità intera rema contro. Proprio mentre la pandemia cominciava ad allentare la presa, pensiamo bene di imbarcarci nelle prove di una terza guerra mondiale e intanto i cambiamenti climatici, che abbiamo innescato tanto tempo fa e di cui continuiamo a curarci troppo poco, hanno effetti sempre più devastanti proprio nei luoghi in cima alla mia lista dei desideri (per i negazionisti, vi faccio notare che sono stata punta da una zanzara in pieno febbraio a Monza). 

Sappiate che Bio vi vede e vi giudica!

I libri, per fortuna, sono una cosa bella fatta dall'umanità e sono quello che mi salva di questi tempi, in attesa di tornare a viaggiare o dell'asteroide che ci spazzerà via tutti.

 

lunedì 14 marzo 2022

Ci ho ripensato

Nel nuovo blog Diario di una Cavalletta, già abbandonato da un bel po', non mi sentivo a casa come qui o in Scritti a penna, quindi sono tornata.

In realtà, pochi post che ho scritto là si salvano e ho deciso di copiarli su Scritti a penna, ma uno voglio che stia qui, quello sul mio adorato gattino storto.

Questo è Bio.

Via dal gattile

L'ho adottato al gattile Enpa di Monza dove sono entrata con la ferma intenzione di dare una casa al gatto più sfigato, quello con meno probabilità di essere scelto tra tanti. Bio è arrivato in gattile incidentato, muoveva solo la testa tanto era messo male, ma con la dedizione di veterinari e volontari ha recuperato una discreta mobilità, anche se è rimasto piuttosto storto e non ama farsi toccare le zampe posteriori.

Bio era molto spaventato quando l'ho portato a casa. Per tutta la prima notte, è rimasto nel trasportino. Lo sportello era aperto, ma non l'ho forzato a uscire. L'ho sistemato in camera da letto con una ciotola d'acqua e un piatto di croccantini, la lettiera in bagno. Ho chiuso la porta che da sulla zona giorno in modo che Bio, trovandosi in un ambiente sconosciuto, dovesse affrontare un piccolo spazio nuovo anziché un intero appartamento. Bio non si è mosso, non è uscito dal suo piccolo rifugio né per bere né per fare i bisogni.

Il giorno dopo, sentendosi forse più sicuro, ha fatto qualche giretto per la stanza e l'ho lasciato solo perché non dovesse preoccuparsi anche della mia presenza mentre si ambientava. Nei giorni seguenti, ha preso confidenza con gli spazi, ha mangiato, ha trovato la lettiera, si è infilato nei cassetti e tra i National Geographic.

Piano piano si è sentito più sicuro, finché una sera ha voluto seguirmi oltre la porta della zona giorno. Appurato che non ci fossero pericoli nei dintorni, la curiosità ha avuto il sopravvento sulla diffidenza e col tempo Bio, pur tornando a rifugiarsi in camera da letto quando qualcosa lo intimoriva, ha conquistato tutto l'appartamento.

Oggi, è il re della casa, questo è territorio suo e io sono la sua famiglia. 

Bio ha imparato i miei orari di lavoro, la sveglia, i pasti, il suono dello spazzolino elettrico la sera che significa andiamo a nanna. Io ho imparato che alimenti preferisce, quali giochi gli piace fare – nulla batte le palline di stagnola e i laccetti dei cavi –, in quali punti della casa gli piace riposare così ci ho messo cucce e cuscini, in quali stare di vedetta come in cima alla scala che porta alla soffitta da cui si domina tutto l'appartamento oppure l'angolo del balcone da cui controlla il vicinato.

Bio non sa di essere disabile, quindi corre e salta come se zampe coda funzionassero a dovere, peccato che sbatta ovunque quando rincorre la pallina e fallisca rovinosamente qualche salto, dissimulando poi come ogni gatto. Sembra che non senta il dolore e riprende a correre anche dopo certe botte tremende contro i mobili o le pareti. Mi ha fatto prendere un colpo la prima volta che è saltato sulle fioriere del balcone con un balzo di un metro e mezzo e ho pensato di metterci due grate di legno come protezione perché il mio peggior incubo è che cada di sotto.

Bio è tenero, ama le coccole e farsi spazzolare e mi si addormenta serenamente addosso quando sto sul divano perché sa che con me è al sicuro. La notte, mi dorme accanto nel letto, tenendo una zampa sempre sul mio braccio per avvertire ogni movimento ed essere pronto ad alzarsi se mi sveglio.

Bio è buffo quando si stiracchia o quando salta all'indietro anziché girarsi. 
Bio è molto educato e discreto, non è insistente nelle richieste: se vuole uno snack si piazza davanti alla porta dello sgabuzzino e mi fissa in silenzio con lo sguardo da gatto di nessuno finché non lo accontento. Miagola raramente, non ne ha bisogno per comunicare perché si fa capire benissimo con le espressioni del muso.

Quando si adotta un gatto, non si deve cedere alla tentazione di trattarlo come un bambino, ma bisogna permettergli di esprimere la sua natura felina. Certo, abitando in appartamento non può andare a caccia ed è il gioco a soddisfare questo suo istinto. Il topino di pezza è il suo nemico giurato: lo morde, lo lancia, lo rincorre, lo stana dai pertugi dove lo infilo per sfidarlo e gli fa agguati da esperto predatore saltando fuori da dietro le tende (è convinto di essere invisibile quando si nasconde dietro le tende).

Ha anche bisogno dei suo spazi sicuri, angoli a lui dedicati come il cuscino in mansarda dove si rifugia se qualcosa lo mette a disagio (è molto selettivo riguardo i miei ospiti, se qualcuno non è di suo gradimento, si ritira di sopra finché non se ne va). Ha bisogno di arrampicarsi, di controllare l'ambiente dall'alto e osservare quello che succede oltre le finestre, così gli ho comprato un bel tiragraffi a più piani che gli permette di arrivare alla finestra della camera e un altro più basso da cui può guardare il balcone d'inverno standosene al calduccio.

Ogni gatto ha la propria personalità e ogni rapporto è diverso. La Micia con cui sono cresciuta mi ha educato, con una certa severità, al rispetto per gli animali. Bisogna prendersi il tempo di conoscere un gatto, di capire cosa gli piace e cosa gli serve per vivere bene mentre a sua volta scopre come siamo fatti noi, ma quando alla fine si raggiunge l'armonia è un piacere che crea dipendenza.

E poi tutti sanno che i gatti hanno il potere di tenere lontani fantasmi e demoni, che non è poco quando vivi da sola e ti piacciono i film horror.

Bio è il mio gattino, anzi, io sono sua.