I viaggi brevi hanno il difetto di finire proprio quando cominci a sentirti a casa, ad adattarti al ritmo del luogo, orientarti e prendere nuove abitudini. Per noi tre Cavallette è stato un ritorno e abbiamo ritrovato un'atmosfera già familiare senza bisogno di tempo per ambientarci; alle nostre ospiti sarebbe servito di più, ma questa settimana abbondante è ciò che siamo riuscite a organizzare incastrando gli impegni di tutte.
Il nostro ultimo giorno a Nairobi è stato molto lungo visto che il volo di ritorno era a mezzanotte, ma è una buona cosa accumulare stanchezza per poter dormire in aereo in classe economica, credetemi.
Abbiamo dedicato la mattinata a visite e acquisti all'insegna della beneficenza per la protezione degli animali che abbiamo ammirato nei parchi. Fred ci ha portate nel quartiere chiamato Karen in onore della scrittrice Karen Blixen sorto dove un tempo si trovava la sua piantagione di caffè.
Come l'anno scorso, siamo state prima al centro David Sheldrick dove finiscono gli elefantini rimasti orfani per colpa dei bracconieri che sterminano i loro genitori trafficando l'avorio delle loro zanne. Qui vengono svezzati e accuditi finché sono pronti a essere inseriti in un nuovo branco nel parco nazionale Tsavo. Ogni giorno alle 11 si può assistere, pagando 500 scellini di ingresso (meno di 5 euro), all'allattamento degli orfani con biberon giganti. È uno spettacolo divertente e commovente osservare questi cuccioli simpaticissimi che corrono con le proboscidi penzolanti incontro alla colazione, mentre un operatore racconta l'istituzione del fondo e i progetti che sostiene, tra i quali una clinica veterinaria mobile e la costante lotta al bracconaggio. Per sostenere il fondo si possono acquistare magliette, oggetti in legno, cappellini, borse e altri souvenir prima di uscire.
Come l'anno scorso, siamo state prima al centro David Sheldrick dove finiscono gli elefantini rimasti orfani per colpa dei bracconieri che sterminano i loro genitori trafficando l'avorio delle loro zanne. Qui vengono svezzati e accuditi finché sono pronti a essere inseriti in un nuovo branco nel parco nazionale Tsavo. Ogni giorno alle 11 si può assistere, pagando 500 scellini di ingresso (meno di 5 euro), all'allattamento degli orfani con biberon giganti. È uno spettacolo divertente e commovente osservare questi cuccioli simpaticissimi che corrono con le proboscidi penzolanti incontro alla colazione, mentre un operatore racconta l'istituzione del fondo e i progetti che sostiene, tra i quali una clinica veterinaria mobile e la costante lotta al bracconaggio. Per sostenere il fondo si possono acquistare magliette, oggetti in legno, cappellini, borse e altri souvenir prima di uscire.
A poca distanza, c'è il Giraffe Center. Qui l'ingresso costa 1000 scellini che insieme ai proventi del negozio di souvenir vanno all'African Fund for Endangered Wildlife, un'associazione che si occupa delle specie in via d'estinzione tentando di aumentarne la popolazione. Le giraffe che si trovano al centro, infatti, appartengono alla sottospecie Rothschild che vive in Kenya e Uganda e conta solo 1500 esemplari in libertà. Si tratta delle giraffe nane che abbiamo incontrato nel parco di Nakuru. Il centro attira le donazioni dei turisti grazie alla possibilità di offrire stuzzichini a questi animali stranissimi (complimenti alla fantasia di Madre Natura) perché si avvicinino e si facciano fotografare.
Visitare questi centri è solo uno dei modi per sostenere i progetti di protezione degli animali e conservazione dell'ambiente africano. Dopo aver goduto delle bellezze di questa terra è naturale desiderare di fare qualcosa, anche un minimo, per poterle ritrovare in futuro. Le sensazioni che si provano contemplando gli incredibili panorami, l'emozione di osservare splendide creature in libertà nel loro ambiente, i pensieri che passano nella testa quando ci si immerge in un paesaggio di forme, colori e profumi così lontani dalla nostra quotidianità da sembrare opere di fantasia, sono impagabili e a ogni viaggio mi sento sempre più fortunata per ciò che mi rimane dentro. Non mi importa se piove o fa troppo caldo, se lo sciacquone impiega venti minuti a ricaricarsi, se ho le scarpe infangate e gli abiti impolverati, se saltello sul sedile perché la strada è così impervia che pare di viaggiare nella centrifuga di una lavatrice, se l'acqua della doccia si regola solo su ghiacciata o bollente, se non ho scattato una foto perché distratta da ciò che stavo vivendo, se ho i capelli di stoppa, il viso bruciato e le gambe piene di lividi. Da ogni viaggio torno più ricca e sono felice.
Io e Peris |
Nel pomeriggio ognuna di noi ci è presa il proprio tempo. Chi preparava i bagagli, chi usciva per gli ultimi acquisti, chi si rilassava leggendo. Io sono salita sul tetto del Khweza a scrivere e sono stata raggiunta da Peris che voleva salutarmi e ha chiesto alla piccola Grace, la cameriera ugandese che si presenta ogni volta (e quando non l'ha fatto Feddi voleva chiederle il nome), di farci qualche foto insieme. Dopo due chiacchiere in privato delle quali vi parlerò in un altro articolo, Peris voleva salutare le altre ragazze che si trovavano in un negozio di spezie vicino all'ostello a comprare polveri colorate e odorose per portarsi a casa il sapore dell'Africa. Baci, abbracci, foto di gruppo, firme sul bigliettino che accompagnava la nostra mancia al caro Fred e scambio di numeri di telefono, si è fatta l'ora di cena e dell'ultima birra Tusker. Sorrido perché la ricevuta degli extra della camera è intestata "Simona Barbi" perché qui mi conoscono con il mio soprannome.
È sempre triste andare via e ancor di più la sera, con due auto separate perché, per non farci mancar nulla, l'ultimo giorno abbiamo scassato il semiasse posteriore del nostro coraggioso pulmino. Lasciamo il Khweza colorato e illuminato per prendere scorciatoie buie verso l'aeroporto dove troviamo poca gente vista l'ora e nemmeno il mostro delle code si fa vivo più di tanto.
Vorrei restare, vedere il volo cancellato sui monitor. Mi consola il fatto che qui ormai abbiamo degli amici sui quali contare e un addio si trasforma in un più digeribile arrivederci. Per quello che non siamo riuscite a fare e vedere c'è sempre la prossima volta. Ciao, Kenya!
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