In Kenya il Covid ha danneggiato l'economia, come in ogni altra nazione, ma ha segnato anche un progresso della tecnologia, tutto si paga tramite carta di credito o cellulare, il livello di igiene è migliorato e la gente ha più voglia di ripresa che di fare casini. L'aeroporto funziona come un orologio, i servizi sono accurati e puntuali.
In Europa, invece, il Covid ha portato il trasporto aereo indietro di cent'anni. Mi ero lamentata del personale di Parigi all'andata, ma almeno lì il personale c'era. Al ritorno ho fatto scalo ad Amsterdam e ho desiderato convertirmi a tutte le religioni possibili per bestemmiare in ogni lingua. Come scendi dall'aereo vieni completamente abbandonato, Schiphol sembrava un aeroporto fantasma ed erano le cinque del pomeriggio, mica del mattino.
La coda che ho trovato al controllo dei bagagli a mano non aveva nulla da invidiare a quelle sulla Salerno-Reggio Calabria negli anni Ottanta perché c'erano solo due nastri aperti su dieci e i voli atterrati nel giro di mezz'ora erano tantissimi. Per raggiungere il nastro ho impiegato, non sto scherzando, un'ora e quaranta minuti. E in fila c'erano famiglie con bambini, anziani, disabili e non un solo addetto a dare assistenza. Per fortuna ho pensato bene di fare pipì appena atterrata, altrimenti me la sarei fatta addosso per non perdere il posto in coda. C'era gente che campeggiava e tirava fuori panini nell'attesa, qualcuno ha fatto amicizia col vicino, qualcuno ha litigato e qualcuno è diventato maggiorenne aspettando il suo turno. Io cercavo di non ficcare la cartina dell'Africa che sporgeva come un'arma dal mio zaino nell'occhio di chi mi stava dietro e alla fine ho passato il controllo. Ma il peggio doveva ancora venire.
Non è stato tanto leggere sul tabellone che il gate del mio volo KLM per Linate era a 24 minuti di cammino da dove mi trovavo; non è stato neanche vagare tra i punti di ristoro che esponevano grandi cartelli sul cibo salutare e biologico, ma non avevano nulla di vegano da offrimi perché pure nell'insalata c'erano le uova e per placare la fame fino a sera ho trovato solo una pallida macedonia in scatola da ben 6 euro; non è stato nemmeno il disagio di andare in bagno con lo zaino perché quando viaggi da sola non hai nessuno a cui lasciarlo in custodia; non è stato neppure arrivare al gate e scoprire solo lì che il mio volo aveva un'ora di ritardo perché non viene annunciato visto che non ci sono dipendenti a fare gli annunci. A darmi il colpo di grazia è stato, dieci minuti prima dell'orario previsto per l'imbarco, vedere sullo schermo l'orario del volo cambiare ancora in 22.55, cioè arrivo a Milano a mezzanotte e quaranta! Avevo lasciato il Khweza alle 6.30 quella mattina e giuro che mi è venuto da piangere. E non potevo chiedere spiegazioni, informazioni o incazzarmi con nessuno perché non c'era nessuno in quel maledetto aeroporto! Mi dispiaceva anche per mio fratello e la Simmy che dovevano venire a prendermi così tardi, gli ho detto di lasciar perdere e che avrei preso un taxi, ma hanno insistito (vi adoro!) anche se li avevo già sfruttati per prendersi cura di Bio in mia assenza.
È stato deprimente perché quando sei sola con tutte quelle ore d'attesa davanti non fai altro che pensare e quando sei stanca, affamata e vuoi solo tornare a casa, ti intristisci. Per un po' ho letto l'ebook "King Kong Theory" di Virginie Despentes che avevo comprato perché ne ho trovata una citazione nel libro di cui vi ho parlato in questo post, è un saggio interessante sulle donne e il sesso, ma troppo pesante per una che vorrebbe svagarsi per non ricordare che mancano ancora due ore all'imbarco. Ero circondata da persone altrettanto disperate perché il monitor delle partenze lampeggiava di avvisi di ritardo su tutti, tutti, tutti i voli, quindi le ho sentite le famose bestemmie in varie lingue. Vado in paranoia ricordando quante puntate di Indagini ad alta quota cominciano con un volo in ritardo che finisce in tragedia perché i piloti nella fretta saltano qualche punto delle check list pre-volo. Allora ascolto un po' di musica e cerco pensieri positivi, mentre anche i bar dell'aeroporto abbassano le saracinesche. Loro vanno a casa e io no.
Quando finalmente compare un essere umano al banco del gate per annunciare che l'aereo è pronto, noi passeggeri siamo stremati e ci trasciniamo nel corridoio in silenzio come un'orda di zombi con i biglietti in mano. Il comandante al microfono dice letteralmente: "Prima di tutto mi scuso per il casino" e si sentiva che era in imbarazzo anche se non era certo colpa sua. Tranquillo, pensa a completare la check list. La carenza di personale negli aeroporti non è più giustificabile con la pandemia, la gente ha ripreso a viaggiare e bisogna occuparsene. Assumete, maledizione! E non capisco perché solo in Europa siamo messi così male, in aeroporto a Nairobi funzionava tutto splendidamente e in caso di necessità c'erano persone vere a cui rivolgersi.
Osservo dall'oblò il carico dei bagagli e mi rincuora vedere la mia valigia imbarcarsi con me. Decolliamo.
Ormai è l'una quando abbraccio Sté e la Simmy. Arrivata a casa, non appeno infilo la chiave nella porta, sento miagolare. Entro e Bio corre giù dalla scala - tutto spettinato perché stava dormendo - per farmi le feste. Si struscia, si butta per terra per la felicità. Non disfo nemmeno le valigie, mi lavo velocemente e mi metto a letto con il mio gattino che mi tiene un braccio con le zampe e fa le fusa tutta la notte.Ho impiegato più di diciotto ore, ma alla fine sono a casa.
Buonanotte.