sabato 3 giugno 2023

ALeRT, le cose che non vi ho detto - parte 2

Prosegue il mio diario 2017 sull'esperienza con Alert a Sumatra. La prima notte nella giungla e riflessioni sul futuro del pianeta.

17 maggio 2017

Scrivo a lume di candela dal cuore della foresta. Mentre scrivo, vedo che ho piccoli graffi sulle braccia, mi piacciono i graffi che mi lasciano addosso le piante durante le giornate nel parco Way Kambas. Mi viene in mente la scena del film Lo squalo quando sulla barca in attesa di stanare lo squalo, si mostrano a vicenda le cicatrici e ne raccontano le storie.

Ho cenato con i ragazzi nella capanna di Bambangan, uno dei rifugi di Alert in mezzo al parco. Adoro le pentole annerite sul fuoco, il pozzo con il secchio per tirare su l'acqua, le panche e i tavoli di legno grezzo, i panni stesi su un filo teso tra due alberi. Mi immagino a vivere qui, o in un luogo come questo, ma ancor più sperduto dove stare sola con la natura. Mi piace questa capanna a due piani, nella mia ci sarebbe qualche mensola storta sotto il peso dei libri. Mi vedo a fare il bucato a mano in un catino, ad aggiungere legna al fuoco per bollire l'acqua per il tè. Poi gli estintori, pronti in fila in quell'angolo, mi ricordano che l'inferno viene sempre a bussare in paradiso.

È notte e la notte nella foresta è più profonda che mai. L'impressione è che il mondo finisca ai confini della luce del fuoco. Io galleggio nell'universo su un'isola verde, vedo le stelle sopra di me. La vita mi batte intorno e dentro come un tamburo dal suono cupo, selvaggio e antico. Tutto il verde che mi circonda in questi giorni entra nei miei pensieri, un colore vivo e rilassante insieme. Ma come sono arrivata qui?

Stamattina, dopo una delle colazioni super abbondanti della signora Titin, sento arrivare la jeep. Sul tetto ci sono Dan e Budi, al volante Yahya affacciato al finestrino. Tutti e tre sorridono e gridano: «Ciao, Simo!» in italiano perché ormai ogni mattina mi salutano così. Mi sembrano più luminosi del sole. Li adoro. Non mi stanno addosso, ma non mi perdono mai di vista.

Passeremo la notte a Bambangan, uno dei centri di riforestazione di Alert che sorgono nelle aree disboscate illegalmente. In ognuno c'è una torre d'osservazione per avvistare gli incendi e la presenza di elefanti, una capanna a due piani che ospita i ragazzi quando fanno i turni di sorveglianza, un vivaio dove Alert fa crescere le piantine che formeranno la nuova foresta.

La strada è sempre un'incognita, ma Yahya è un grande pilota di fuori strada. In una frazione di secondo sa scegliere la via migliore per aggirare un ostacolo, capisce a occhio quali pozzanghere siano troppo profonde e quali superabili, sa con quali manovre evitare di rimanere impantanato. Anche Dan dice che siamo fortunati ad averlo, mentre io immagino quanto peggiorino le condizioni nella stagione delle piogge.

Prima di procedere per Bambangan, ci fermiamo a dare una mano in un altro vivaio del parco. Mi metto subito al lavoro, mi piace sentire la terra nelle mani, morbida, fresca, piena di vita. Si fa un buco con un bastone appuntito nelle zolle tenute insieme da un involto di plastica, poi si prende una piantina dal mucchio. È solo uno stelo sottile con due piccole foglie e un filo di radice, è fragile come un neonato e io cerco di essere il più gentile possibile nel maneggiarla. La infilo nel buco e ricopro la radice con la terra. Le mie piantine si faranno forti nel vivaio finché saranno pronte per essere introdotte nella foresta, dove cresceranno insieme a tutti gli altri alberi, e allargheranno questa splendida famiglia verde. Quando finisco, mi alzo e le guardo, tutte in fila. Penso alla vita che avranno, le mie piccoline, sotto il sole e le stagioni di pioggia, a far da riparo agli animali, da casa agli uccelli, ombra al terreno, ossigeno per il pianeta che non respira.

La tappa successiva è il Cocoon di Alert. Il nome mi fa subito pensare al film, ma è il termine inglese per il bozzolo delle farfalle e questa casetta sull'albero ne ha la forma. È un nido per birdwatching, una culla sospesa a venti metri d'altezza proprio tra le cime degli alberi più alti per permettere ai visitatori di osservare e fotografare gli uccelli da vicino. Può ospitare fino a cinque persone alla volta. Gli uccelli che sento cantare intorno a me sono preda dei bracconieri, venduti a caro prezzo se di specie rare, venduti a chi vuole sentirli cantare da una gabbia. Non riesco a capire come il canto triste di una creatura prigioniera possa allietare quanto quello di un uccello che vola libero sopra la tua testa, come possa essere interessante osservarlo nello spazio limitato dalle sbarre, invece che su un ramo di questi splendidi alberi. Hari fa la guida di birdwatching per l'ecolodge Satwa, ma al momento Cocoon è inutilizzabile. Purtroppo, le termiti hanno divorato la scala e mancano i fondi per restaurarla e renderla più sicura. Materiale per il sito: articolo e richiesta fondi per la scala.

Troviamo moto illegali nascoste fuori dal sentiero, i ragazzi mi chiedono di fotografare le targhe. Non riusciamo a telefonare per denunciarle, ma inviamo un messaggio. Che poi qualcuno intervenga, Alert non ne ha l'autorità, è tutto da vedere. Dan mi spiega che il vero problema è che spesso sono coinvolti i dipendenti del parco nazionale, portano i parenti a cacciare e pescare per divertimento. Ci chiediamo come sia possibile che proprio loro non rispettino la foresta, se non altro per il fatto che dà loro lavoro. Secondo me, non sono abituati a pensare alle conseguenze, al futuro, a quanto ogni piccolo gesto che magari pare innocuo contribuisce, invece, a trasformare il paradiso in deserto, e per giunta un deserto malato in cui le generazioni future si troveranno ad abitare. Forse, dire generazioni future fa pensare a sconosciuti di cui non c'importa nulla, mentre stiamo parlando dei nostri figli e nipoti che dovrebbero esserci cari. È avvilente.

Arrivati a Bambangan, pranziamo con caffè, banane e tempeh. Poi me ne vado in giro nella foresta a inseguire farfalle con l'obiettivo, Dan mi raggiunge, me ne elenca i nomi. Più tardi, Budi mi accompagna nel recinto delle tartarughe di terra che poi libereranno nel parco. Lì mi strappo i pantaloni scavalcando il filo spinato – so che la signora Titin me li aggiusterà –. Mi guardo: ho i pantaloni squarciati tra le cosce, le scarpe piene di fango, i capelli che sfuggono all'elastico, e un nuovo taglietto che sanguina sulla caviglia e pulisco subito pensando che attirerà le zanzare stanotte. Sono un casino di donna, ma sono sicura che anche le mie tre eroine, Biruté, Jane e Dian fossero sempre ridotte così, lavorando sul campo. Mi sento fiera.

Aspettiamo che passino le ore più calde all'ombra della capanna, come gli animali sotto gli alberi che proteggiamo per loro. Mangiucchiamo e chiacchieriamo nella lentezza della calura. Budi si addormenta sull'amaca e, naturalmente, gli scatto una foto della quale rideremo.

Sentiamo il rumore di un motore, è una motocicletta che arriva con due giovani a bordo. Sono alti, atletici, mi sembrano perfetti eroi da fumetto, salutano i miei ragazzi. Sono venuti a chiedere informazioni sulle moto che abbiamo scoperto a Cocoon. Mi dicono che lavorano per l'unità protezione rinoceronti. Ma che bei lavori fanno qui? Proveranno a rintracciare i proprietari, loro hanno il potere di multare e arrestare, ma dipende sempre da chi si troveranno davanti. Ci ringraziano e se ne vanno.

Quando il sole inizia a calare, salgo sulla torre d'osservazione con Yahya. La scala a pioli di ferro mi spaventa un po', l'intera torre ondeggia e mi pare precaria, ma mi assicurano che è normale. Yahya fa il matto dondolandosi oltre il parapetto e mi chiede di fotografarlo, vuole immagini spettacolari per i suoi profili social. Per un attimo, sento questo pensiero stridere con la vita nella natura, ma poi penso che se la natura facesse parte della vita quotidiana di oggi, social compresi, sarebbe una cosa buona. Comunque, dopo qualche scatto, gli chiedo di mettersi tranquillo perché vederlo mezzo sospeso nel vuoto mi agita. Anche Dan si preoccupa, da giù ci grida di stare attenti. Ora posso godermi il panorama, mi trovo al di sopra della maggior parte delle cime degli alberi, mi sorprendono quelle che ho accanto perché dal basso non capivo quanto fossero alte. La vista sulla foresta è meravigliosa, osservo i voli degli uccelli nel cielo illuminato dal tramonto. Nessuna foto ne darà una vaga idea, mi dispiace.


Scendiamo, mentre il cielo si scurisce e intorno a me ogni cosa sembra tingersi d'azzurro. Mi chiudo nel bagno per lavarmi prima di cena, c'è una tinozza con l'acqua del pozzo e ormai sono un'esperta nel lavarmi con i pentolini. In dieci minuti sono fuori e mi sono pure cambiata i pantaloni rotti.

Non abbiamo ancora fame perché abbiamo pranzato tardi, decidiamo di fare due passi. Budi, che ha l'occhio allenato ad avvistare nidi di uccelli tra i rami, me ne indica uno con dentro due uccellini. Scattiamo foto stupende passandoci la mia macchina fotografica. Documento per il sito, ma tengo via anche ricordi personali. Le foto sceme e quelle che parlano di un'amicizia – appena nata per me, di anni e di momenti duri condivisi per loro –, di una vita scomoda ma ripagata dalla bellezza di questi luoghi, di sorrisi che non si spengono malgrado le difficoltà, di gentilezze che mi fanno sentire la benvenuta. Come quando Yahya e Budi, dopo la passeggiata, si mettono a cucinare la cena a lume di candela e qualche torcia, e rifiutano il mio aiuto. «Prepariamo un piatto speciale per te, Simo» e mi fa sorridere che mi chiamino Simo. Il menù sarà: noodles con verdure e spezie un po' piccanti, pannocchie bollite, e banane bollite per dessert. Tutto delizioso e, dopo mangiato, non voglio sentire storie: i piatti li lavo io. «Grazie, Simo.» Ci mancherebbe.

Al buio, ci inoltriamo di nuovo tra gli alberi a spiare e fotografare la vita notturna, dalle cose più piccole come bruchi, ragni, rane a un animale che si avvicina in cerca dei nostri avanzi. Dan mi dice il nome in inglese, ma non l'ho mai sentito e non ho idea di come si chiami in italiano questa sorta di incrocio tra una volpe, una iena e un procione. Intanto Yahya è tornato sulla torre, ascolta canzoni pop americane che parlano di cuori spezzati e le canta stonato a squarciagola. Noi scherziamo sul richiamo notturno del ragazzo innamorato.

Quante stelle, tante da disegnare nettamente il profilo degli alberi contro il cielo splendente di costellazioni. E quella meraviglia che mi stupisce sempre: la via lattea, un sentiero nel cielo. Mi metto sulla panca a scrivere un po', non voglio dimenticare nessun particolare.

A un certo punto, sentiamo un suono strano. Ce la facciamo un po' sotto perché sembra il barrito di un elefante, e una volta un elefante ha abbattuto la torre d'osservazione in un altro dei loro centri. Ma è solo il cellulare di Yahya. «Vaffanculo!» gli urla Dan.

Chiedo a Dan se posso dormire nel gazebo vicino alla torre, non mi va di stare nella camera al piano superiore della capanna. Voglio stare all'aria aperta. «Le zanzare ti uccideranno, lo sai?» Ho il repellente da spruzzarmi e poi non m'importa, per una volta che posso dormire nella foresta, l'ultima cosa che desidero è chiudermi in una stanza. Alla fine, vengono a dormire con me anche i ragazzi. Poi scoprirò che Yahya, sfinito dalla lotta con le zanzare, a un certo punto della notte si è trasferito nella capanna.

Io non dormo per niente. Le zanzare non sono un problema, sono infilata nel mio sacco-lenzuolo di seta comprato sette anni fa in Thailandia che fa il suo dovere e non mi fa soffrire il caldo. Ascolto gli uccelli, i fruscii degli animali in movimento nell'oscurità. Sento anche il rumore di motori, uno sparo o uno scoppio, a volte apro gli occhi e mi sembra di notare il balenare di fari in lontananza. Nessuno ha dormito, tutti sono rimasti all'erta perché i bracconieri agiscono al buio. Come dicevo, l'inferno viene sempre a bussare in paradiso.

19 maggio 2017

Oggi Eka è tornata da Bandar Lampung dopo due giorni di trasferta. A volte bisogna andare nella grande città per sbrigare commissioni. Mi ha portato in dono un pacchetto del caffè indonesiano che mi piace tanto. Poi mi ha anche regalato due magliette che teneva in ufficio: una, a maniche lunghe, è la divisa ufficiale dei membri di Alert che mi ha fatto sentire ancor più parte della famiglia; sull'altra è raffigurato un albero stilizzato con il nome in indonesiano.

Eka e io con le magliette albero

Dopo cena, Eka si è fermata a parlare con me in ufficio. Aveva bisogno di parlare, di sfogare un po' della frustrazione per le difficoltà che incontra una piccola ONG locale come Alert. La corruzione diffusa, tanto per cominciare. Molti impiegati dell'ente parchi vogliono essere pagati per sveltire le pratiche per i permessi. Alert si è sempre rifiutata e, di conseguenza, subisce piccole ritorsioni come il rifiuto a fornire biglietti d'ingresso scontati per i volontari. Il mio permesso per ingressi multipli al parco è costato 75 Euro (che comunque ho pagato io) ed è il prezzo feriale, perciò niente foresta nei weekend. La cosa peggiore è vedere le altre associazioni, più grandi e ricche di Alert, alimentare il sistema pagando regolarmente le mazzette e così saltando la fila. Eka mi ha detto che soltanto loro e un'altra ONG non stanno al gioco e non è facile portare avanti le proprie attività nel Way Kambas con il personale che ti mette in bastoni tra le ruote in continuazione. «Non sono tutti così» ha precisato «ma quelli che lo sono ci mettono davvero in difficoltà. Salvo poi chiamarci quando c'è un incendio e vantarsi dell'avanzamento della riforestazione con il ministero per l'ambiente senza nemmeno nominare Alert.» Eka si occupa delle relazioni con lo staff del parco perché i ragazzi perdono la pazienza e la diplomazia di fronte alle ingiustizie, mentre lei si trattiene. Come stasera, però, ogni tanto ha bisogno di liberarsi del peso accumulato e sono felice che si sia sentita a suo agio nel confidarsi con me. A Dan e Budi girano le palle a sorridere a questa gente, quando capita che incontriamo qualche dipendente del parco o del governo ci allontaniamo per non litigare. Eka mi racconta quanto sarebbe bello che Alert crescesse e diventasse abbastanza forte da farsi valere, ma servono fondi e personale che al momento sono insufficienti e la priorità è finanziare l'avanzamento dei progetti. Spesso lei, Marcell, Dan e un altro ragazzo, che non conoscerò perché impegnato nel nuovo centro in Borneo, rinunciano al proprio stipendio per non bloccare le attività. 

Ora che conosco questi ragazzi, la fatica che fanno per proteggere la natura e al tempo stesso lottare con il sistema corrotto, la passione che ci mettono e l'onestà con cui portano avanti i loro progetti, sono ancora più motivata a puntare su di loro anziché su una grande organizzazione. Mi dispiace tanto non poter fare di più in questo momento, eppure mi ringraziano ogni giorno mille volte per il poco aiuto che riesco a dare con il sito, ho scritto tre nuovi articoli che usciranno programmati nelle prossime settimane, sto sistemando altre pagine e tracciando alcune linee guida per facilitare il reclutamento di volontari anche dall'estero. È stata una bella chiacchierata con Eka e c'è un'altra cosa che abbiamo scoperto di avere in comune: quando le difficoltà da affrontare sono così tante che pare il destino si diverta a massacrarci, quando ci sembra che peggio di così non possa andare, è il momento in cui ci viene da ridere. Quella risata che scatta per sfinimento, ma allo stesso tempo è liberatoria e aiuta a non lasciarsi andare, non arrendersi.

Stasera le zanzare mi stanno divorando nonostante mi sia spruzzata addosso tutti i prodotti che avevo in valigia. Se non prendo la malaria questa volta, significa che sono immune.

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