A settembre spero di riuscire a tornare dai ragazzi di Alert a Sumatra e, rileggendo il post sulle settimane con loro, mi sono resa conto di non aver raccontato tante cose di quell'esperienza. Mancava la connessione a Internet quindi alla fine ho pubblicato solo un riassunto, mentre il mio diario personale contiene tanti momenti indimenticabili. Ne ho condivisi alcuni con il pubblico della raccolta fondi, ma tanto è rimasto solo per me.
Oggi, però, voglio rivivere quel periodo raccontandovi qualche retroscena, così sarete preparati al mio ritorno tra i protettori del Way Kambas. Copio dal taccuino scritto a penna a quel tempo, aggiungendo solo qualche nota e sistemando la punteggiatura per renderlo più leggibile, quindi perdonatemi se i pensieri saltano di palo in frasca come i macachi, ma le pagine sono tante e dovrò pubblicarle in quattro post. Eccovi la prima parte della storia.
13 maggio 2017
All'aeroporto di Bandar Lampung, è venuto a prendermi Hari con un gran sorriso. A me pare che in Indonesia sorridano tutti e abbiano dei sorrisi stupendi. Il mio amico, dietro le transenne degli arrivi, agitava scherzosamente il cartello ufficiale con il mio nome. Ci siamo abbracciati, sembra ieri che ci siamo conosciuti e salutati, invece, sono già passati quattro anni. Con lui c'era Ratno, giovane autista anche lui membro di Alert, che ha guidato sicuro attraverso l'unica grande città della regione, poi per le strade piene di buche di villaggi raccolti intorno all'unica via asfaltata e poi svoltando verso il parco nazionale Way Kambas fino a destinazione: l'ecolodge Satwa a pochi passi dall'ingresso del parco. Durante il tragitto, Hari ha tirato fuori le nostre foto insieme sul vulcano Anak Krakatau del 2013 con il TdC e quattro anni sembrano averci un po' prosciugati: io lontana dalle foreste e lui con una figlia che cresce insieme alle spese.
Mi ha dato subito una buona notizia: dopo le prime due notti a Satwa, potrò trasferirmi da una famiglia del posto per risparmiare e potrò trascorrere anche un paio di notti nella foresta. Appena arrivata al lodge, prima ancora di farmi la doccia, sono uscita con la macchina fotografica perché il sole stava calando. Il giardino è ancora più bello di quello a Bali, con alberi meravigliosi, pieno di rane e scoiattoli, con l'erba così fresca e morbida che non resisto e giro a piedi nudi. Più tardi mi sono affacciata sulla cucina per spiegare la mia dieta vegana e ho trovato tre simpatiche signore che sembrano una matrioska: stessa faccia, stessa pettinatura, stessi abiti con il grembiule, ma una è piccola, una media e una alta e grossa.
la sede di Alert |
14 maggio 2017
Se le mie prossime giornate saranno come questa, non mi basteranno dieci quaderni per conservare tutto. Era cominciata in maniera tranquilla, poi si è trasformata in un'esperienza memorabile.
La mattina alle nove, Dan viene a prendermi su un pick-up guidato dal giovane Yahya, che si rivelerà un grande pilota di fuoristrada. Con noi ci sono anche Eka, la ragazza che si occupa della contabilità di Alert e degli eventi promozionali, e Budi, un ragazzo magro magro, col sorriso allegro e gli occhi vispi dei giovani entusiasti. In teoria, avremmo semplicemente dovuto presenziare alla visita di un grosso gruppo di studenti universitari all'interno del parco nazionale, durante la quale si spiegavano i vari progetti legati alla protezione della foresta e poi si passava la mattinata a piantare alberi insieme a loro. All'inizio, mi stavo un po' annoiando perché mi trovavo nel bellissimo Way Kambas ed ero costretta a star ferma ad ascoltare discorsi istituzionali in indonesiano. Finalmente, è arrivato il momento di piantare gli alberi e ci siamo sparpagliati per il prato con dozzine di giovani arbusti tra le mani. Stavo ancora coprendo la buca del mio primo alberello, quando Dan riceve una telefonata: c'è un incendio nella zona ovest del Way Kambas. Lasciamo gli studenti al personale del parco e corriamo via. Yahya mi chiede se voglio essere lasciata al lodge. Nemmeno per sogno, rispondo, lui sorride e accelera. Mi pare la scena di un film. Usciamo dal parco, arriviamo all'ufficio di Alert dove lasciamo Eka e prendiamo la jeep del soccorso antincendio, portando con noi bottiglie d'acqua e frutta per la squadra che ci raggiungerà con un'altra auto dal centro di riforestazione ovest. A occuparsi degli incendi sono tutti volontari, in totale appena una dozzina di uomini e ragazzi che coprono lunghi turni di sorveglianza e intervento. Spesso, però, gli abitanti dei villaggi intorno al parco si offrono di dare una mano e infatti, lungo la strada che diventa presto uno sterrato, carichiamo sul tetto insieme a Budi altri quattro uomini. Per raggiungere il luogo dell'incendio ci vuole circa un'ora, il parco è enorme e le strade peggiorano quando ci si allontana dall'ingresso principale dedicato ai turisti. Poco prima di rientrare nei confini del Way Kambas, ci fermiamo a casa di un altro volontario che, per la sua posizione strategica, è usata come magazzino per gli estintori che ci affrettiamo a caricare sulla jeep. Nessuna attrezzatura moderna, questi estintori sono taniche che si indossano come zaini sulla schiena e spruzzano acqua da una pompa manuale. La squadra calza stivali di gomma da giardinaggio, cappellini al posto degli elmetti, un signore addirittura un cappello di paglia che pare un vaso rovesciato, un ragazzo, almeno, si è tenuto in testa il casco del motorino. Davvero affrontano gli incendi così?
Ci inoltriamo nella foresta, con Yahya che fa del suo meglio per non far volar via dal tetto i volontari, ma incontriamo voragini profonde scavate dalla stagione delle piogge che rallentano la marcia, sassi che ci fanno ballare, erba alta fino ai finestrini. Attraversiamo una zona di grandi prati, risultato di precedenti incendi ed è in aree come quella che Alert pianta nuovi alberi. Ora che la vegetazione è bassa, appare chiaramente all'orizzonte la colonna di fumo dell'incendio. Per qualche minuto, quella vista ci toglie la voglia di parlare e io penso che questi uomini hanno un gran coraggio e una grande passione. Avvicinandoci, scopriamo che l'incendio è composto da diversi roghi più o meno isolati e si è già lasciato dietro ampie macchie nere di terra bruciata. Ci fermiamo a poca distanza dalle fiamme e, appena Yahya spegne il motore, la cosa che più m'impressiona è il suono che sento. Pensando a un incendio, immaginiamo sempre le lingue di fuoco, il fumo, il calore, forse anche l'odore, ma oggi ne ho conosciuto la voce. È un suono terrificante, un crepitare che riempie l'aria in ogni direzione e ti fa sentire circondato dal pericolo. Non un sussurro, l'incendio ci parlava ad alta voce, ci minacciava e, a ogni folata di vento, scoppiava a ridere sollevando fiamme dove un attimo prima c'era solo un filo di fumo. Guardavo i ragazzi imbracciare gli estintori e allontanarsi dalla jeep. «Tu resta vicino alla macchina» mi ha detto Dan, prima di tirarsi il foulard sul viso e correre via con gli altri. Rimasta sola, sono uscita e sono stata investita da una ventata di fuliggine. Mi sono arrampicata sul tetto della jeep e ho cominciato a fotografare e filmare quel gruppetto striminzito di eroi che andava a spegnere i roghi uno a uno. Guardavo loro, guardavo la foresta, mi passavano per la mente mille pensieri. Nel frattempo è arrivata la seconda squadra con un'auto e due motorini, e una nuvola di passaggio ha dato un piccolo aiuto scaricando una spruzzata di pioggia. Domata la prima metà dei roghi, c'è stata una pausa per bere, mangiare una banana e qualche biscotto. «State tutti bene?» ho chiesto scendendo dal tetto. Sono così abituati a infilarsi negli incendi senza protezioni che la mia domanda gli fa tenerezza e un minuto dopo ci scherziamo su. Ripartiamo verso l'altro fronte del fuoco che appare subito più violento perché l'aria diventa liquida e increspata di onde per il calore. Si ripete la scena degli uomini che partono per la battaglia contro le fiamme e io che mi arrampico sul tetto.
15 maggio 2017
Oggi Marcell mi ha salutata, è partito per il Borneo dove sta seguendo un nuovo progetto di riforestazione. Non sa se tornerà prima della mia partenza, così mi ha affidata a Dan che è il suo braccio destro. I ragazzi di Alert con cui lavoro ogni giorno sono stupendi. In amministrazione, cioè nella stanzetta accanto alla sala che io e Dan usiamo come ufficio, ci sono Eka ed Eni, due ragazze molto diverse tra loro, ma entrambe divertenti nei momenti di pausa quanto serie e diligenti sul lavoro. Eka è la contabile esperta e severa che cura ogni centesimo speso nei progetti e per il personale, facendo piani a lungo termine con i pochi e altalenanti fondi a disposizione. Si occupa anche delle relazioni di Alert con l'ente del parco nazionale perché è la più diplomatica tra i ragazzi. Come tutti, però, ricopre ogni ruolo sia necessario e non si tira indietro se c'è da andare al mercato o piantare arbusti. Ha dei bellissimi capelli neri, lunghi, che quando fa troppo caldo lava nell'acquaio nel cortile sul retro dell'ufficio e ha un portamento sempre slegante anche se indossa sempre canotte colorate e pantaloncini. Mi piace molto e a lei piace conversare con me per far pratica con l'inglese. Eni è più giovane, musulmana con il velo, ma tutt'altro che timida e chiusa, ama cantare, però con lei ho poco a che fare nelle mie giornate. Budi e Yahya sono membri della squadra antincendio, gli uomini d'azione sempre pronti a intervenire, e nel frattempo sbrigano commissioni per tutti. Marcell mi ha detto di chiedere a loro per qualunque cosa mi serva, dalla lavanderia ai passaggi in moto se voglio andare da qualche parte. Penso a come la nostra tv ci racconti che l'integrazione è difficile, che le diverse religioni non si parlano, anzi, si fanno la guerra, a sentire e leggere certe cose si finisce per credere che la pace sia possibile solo dove l'una o l'altra parte sono state sconfitte. E invece passeggio in un villaggio sperduto dove cristiani, musulmani e animisti condividono il motorino per andare al mercato a fare la spesa, pranzano attorno a grandi tavolate e, come in Alert, lavorano e vivono insieme senza problemi. Perché noi siamo così indietro rispetto a loro? E ci definiamo civili.
Eka mi ha trovato una stanza in affitto a casa della signora Titin che vive sola con un figlio neonato e quando deve andare al lavoro – è impiegata nell'ufficio del parco nazionale – viene un'altra signora a prendersi cura del piccolo. La signora Titin è alta e robusta, ma canta dolci ninna nanne e si muove per la casa come un uccellino. Mi prepara colazioni più che abbondanti che impacchetto e condivido con i ragazzi quando arrivo in ufficio, mi fa il bucato – che non vuole farmi pagare, ma le nascondo i soldi in casa – e mi chiede di rientrare prima delle nove di sera così chiude la casa e va a letto tranquilla.
Rivedo i diversi alloggi dove ho dormito in questi due mesi e mezzo: prima il bellissimo ecolodge di Bali; poi c'è stata quell'orribile parentesi a Seminyak da dimenticare; a Ubud ho cambiato quattro stanze, andando a cercare le sistemazioni più economiche, e ho trovato la famiglia di Atiiku che mi ha fatto vivere un impagabile periodo da vera balinese; in Sri Lank con il TdC abbiamo girato diversi alberghi; di nuovo sola a Kuala Lumpur avevo il bagno trasparente e la vista sui grattacieli illuminati. E ora sono qui.
la mia stanza dalla signora Titin |
Oggi sono andata al mercato con Budi e Dan che insieme alla spesa per cucinarci i pasti in ufficio, hanno comprato due angurie dicendomi: «Sono per te, hai detto che ti piacciono tanto.» Poi ci siamo fermati in paese perché Dan voleva farsi tagliare i capelli. Gli ho scattato una foto mentre era sulla poltrona con il parrucchiere che gli rasava la nuca, ridiamo un sacco per le foto sceme.
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