domenica 4 giugno 2017

ALeRT nella foresta per la foresta

Ho l'impressione di non aver mai conosciuto sorrisi così sinceri, occhi così brillanti, spiriti così appassionati, cuori così forti come quelli che mi hanno accolta il primo giorno e che ho dovuto salutare l'ultimo giorno all'aeroporto di Bandar Lampung. Sono tornata in Italia spezzata, una parte di me, una grossa parte, è rimasta a Sumatra. 

Cos'è successo tra quel primo e ultimo giorno per spaccarmi in questo modo?


Nel mezzo, ci sono i 1.300 chilometri quadrati del parco nazionale Way Kambas abitato da elefanti, macachi, siamang e gibboni, felini come il gatto marmorizzato e il leopardo nebuloso della Sonda, rettili, anfibi, il loris lento che ho avvistato durante un'escursione notturna, e specie a rischio d'estinzione quali il rinoceronte e la tigre di Sumatra, oltre a svariati uccelli anche molto rari. È una foresta da fiaba con alberi altissimi e piante e fiori dalle forme più fantasiose che la natura ha saputo inventare. Ma, come in ogni fiaba, la pace è continuamente minacciata da orchi che appiccano incendi, sfruttano illegalmente le risorse del parco e praticano il bracconaggio. A proteggere il regno di Madre Natura c'è un gruppetto di eroi al quale ho voluto unirmi per qualche tempo, una piccola organizzazione non governativa locale: ALeRT.
ALeRT è l'acronimo di Aliansi Lestari Rimba Terpadu che in italiano si traduce più o meno con Alleanza per la conservazione sostenibile della giungla e significa molto più di favole e chiacchiere.

Il mio primo giorno è iniziato piantando giovani alberi per il programma di riforestazione nelle aree disboscate illegalmente. Avevo ancora le mani nella terra, quando Danang, il ragazzo che lavorava con me, ha ricevuto una telefonata: c'era un incendio nella zona di Susukan Baru, un'ora a nord-est rispetto alla nostra posizione. Bisognava radunare la squadra e partire immediatamente. 
Il mio compito era documentare i progetti nei quali ALeRT è impegnata, raccontare con articoli, foto e filmati cosa serve per realizzarli e come lavorano i suoi membri. Dovevo arricchire di contenuti il loro sito web ancora in costruzione e, per raccogliere materiale, ho alternato l'esperienza sul campo al lavoro d'ufficio nel villaggio dove ha sede l'associazione. 
Danang mi ha chiesto se volessi seguire l'intervento antincendio o aspettare il ritorno della squadra. Secondo voi cos'ho risposto? Un attimo dopo mi trovavo sballottata in una jeep che correva su sentieri accidentati, con le piante che frustavano il parabrezza e voragini scavate dalla stagione delle piogge che temevo potessero inghiottirci. Al volante, però, c'era il più esperto pilota di fuori strada della regione, il giovane Yahya. 
Lungo la strada, si sono uniti a noi alcuni abitanti dei villaggi che circondando il parco. Volevano dare una mano perché la foresta è preziosa per tutti, come spiega ALeRT organizzando incontri con le comunità locali per promuovere l'educazione ambientale che per decenni è stata trascurata. Fornire alternative di guadagno alla gente, che con gli incendi sottrae terreno al parco per coltivare oppure si dedica al traffico di animali e uccelli, significa cercare una soluzione alla fonte del problema. Arginare i danni non basta, è una lotta senza fine, è invece più efficace promuovere un'agricoltura sostenibile, puntando su piante che necessitano di meno spazio e non impoveriscono il terreno fino a trasformarlo in deserto come fa la palma da olio, insegnare a gestire le risorse idriche e preservarle dall'inquinamento dei fertilizzanti, incentivare il turismo attirato da una foresta viva e lussureggiante in modo responsabile. 
ALeRT fa anche questo, ma intanto sul tetto della jeep c'erano solo cinque uomini e, nel retro, vecchi estintori manuali, poco più che taniche d'acqua con le bretelle per caricarsele sulle spalle e innaffiare le fiamme con una pompa a mano.

 
A un certo punto, la foresta si è aperta su un'area di vegetazione più bassa e per la prima volta abbiamo osservato la nube di fumo che si innalzava nel cielo come il pennacchio di cenere di un vulcano. Per un attimo tutti hanno smesso di parlare. Raggiunto l'incendio, la squadra è entrata in azione e Danang mi ha raccomandato di rimanere vicino alla jeep. Sono salita sul tetto per scattare le foto e filmare l'intervento e, spento il motore, la cosa che più mi ha impressionato è stata il rumore. Quando immaginiamo un incendio, pensiamo alle fiamme, al calore, all'odore di bruciato, mai al suono che produce. Be', ho sentito la voce del fuoco: non un sussurro, ma un forte crepitio che riempie l'aria in ogni direzione per farti sapere che sei circondato dal pericolo. A ogni folata di vento, dall'erba secca si sollevavano lunghe fiamme, dove un attimo prima c'era soltanto un filo di fumo. 

Ho guardato quegli uomini e ragazzi che imbracciavano estintori obsoleti, indossavano cappelli al posto di elmetti, foulard e mascherine di cotone anziché maschere anti-fumo, e andavano incontro ai roghi. Mi passavano per la mente mille pensieri, parole come coraggio e passione assumevano una forma concreta sotto i miei occhi, e il giorno dopo, su quella terra bruciata, avremmo piantato nuovi alberi. Osservavo la morte e pensavo alla vita che portano gli alberi, non solo ripulendo l'aria che respiriamo, ma anche proteggendo il terreno da troppo sole o troppa pioggia, fornendo riparo e nutrimento per uccelli e animali. Gli animali. L'aria resa liquida dal calore mi ha portato all'orecchio un nuovo suono oltre alla foresta che bruciava e si consumava: il barrito di un elefante. L'ho sentito di nuovo ed è stato straziante pensare al capo branco che chiamava i suoi compagni e gridava loro di scappare. Più tardi, Danang mi ha raccontato che spesso trovano animali morti dopo gli incendi, a volte il vento alimenta le fiamme così velocemente che persino gli uccelli non riescono a fuggire.

 
Questa volta gli elefanti sono stati fortunati, il vento era debole e quella manciata di uomini coraggiosi ha estinto l'ultimo focolaio.
Sulla via del ritorno, ci siamo fermati al centro di riforestazione ALeRT di Susukan Baru per riposare e pranzare, erano le quattro del pomeriggio. Budi ha preso la chitarra dalla capanna e ha cominciato a suonare. È un giovane magrissimo, ma a dispetto dell'aria fragile emana un'energia così allegra da tenere alto il morale e incoraggiare l'intera squadra. Qualcuno ha cominciato a cantare, mentre il sole calava dietro gli alberi. Osservavo il panorama dorato intorno a me nel quale spiccava la torre d'osservazione.
Ognuno dei tre centri di riforestazione di ALeRT ha una torre per avvistare gli incendi e per monitorare gli spostamenti dei branchi di elefanti che a volte varcano i confini del parco, andando a danneggiare i campi coltivati. Un altro dei progetti dell'associazione si chiama proprio mediazione nel conflitto uomo-elefante: da un lato, si informano i contadini sulle tecniche per indurre i pachidermi ad arretrare nella riserva, dall'altro si erigono barriere, si scavano fossati e si tenta di addestrare gli elefanti che frequentano il confine a non superarlo. 
Insomma, l'ambizioso obiettivo di far convivere in armonia il Way Kambas con i trentotto villaggi che lo circondano è nelle mani di un piccolo gruppo di persone volenterose, ma nulla sembra impossibile dopo averle conosciute, come ho avuto il privilegio di fare io. Il rapporto che lega i membri di ALeRT va oltre il lavorare insieme. Si capisce dal modo in cui si aiutano l'un l'altro, dall'onestà con cui si parlano, dalla fiducia che ripongono nei propri colleghi, dalla complicità negli sguardi che si scambiano. Sono legati dagli stessi valori e considerano la foresta la loro casa, il loro futuro.

 
Vi chiederete come mai, se ALeRT è speciale come dico, è così poco conosciuta, può contare su pochi membri, non dispone di fondi sufficienti a realizzare tutti i progetti e portarli avanti in modo continuativo, e non ha ancora un sito web decente quando l'associazione è attiva dal 2009. La risposta è semplice: quando sei occupato tutto il giorno, tutti i giorni della tua vita, e anche le notti (ne ho trascorse due nella foresta insieme alla squadra), senza orari, senza ferie, senza festività, spesso senza stipendio, a difendere la natura con i piedi nel fango e le mani nel fuoco, quando devi dialogare con persone che hanno bisogno di soldi e per ottenerli sono disposte a sacrificare la foresta, quando devi lottare con la burocrazia e la corruzione, non hai proprio tempo di pensare a un sito web, a farti pubblicità sui social network, a organizzare eventi per la raccolta fondi. 

Avrei molto altro da raccontarvi e forse lo farò con nuovi post, intanto vi regalo un album fotografico della mia esperienza. Infine, per tornare alla domanda iniziale, tra il primo e l'ultimo giorno che ho trascorso al Way Kambas, ho vissuto con i ragazzi di ALeRT tra alberi da piantare, incendi da spegnere, confini da pattugliare. Ho dato il mio piccolo contributo alla crescita dell'associazione perché sono convinta che possa fare molto per la conservazione della foresta e lo sta facendo in modo intelligente, seppur con i mezzi scarsi che può permettersi al momento. E continuerò a collaborare al sito, inviando articoli, aggiornando le pagine in costruzione e raccogliendo un po' di fondi. Lo faccio da qui, ma non vedo l'ora di tornare da quelli che ormai sono i miei ragazzi, quelli che mi hanno fatto conoscere la foresta da vicino, quelli che mi hanno accolta come una di famiglia fin dal primo momento senza ipocrisia, quelli dai quali ho ricevuto più di quanto sia riuscita a dare. Quelli che mi hanno lasciata in aeroporto, salutandomi in italiano: «Ciao, Simo! Torna presto.»

Se volete dare un'occhiata al sito, questo è il link www.alert.or.id e, siccome il tasto “Dona ora” non è ancora attivo, se vi interessa contribuire con una donazione in denaro o attrezzature, oppure pensate di proporvi per un periodo di volontariato, scrivetemi in privato e vi metterò in contatto con ALeRT.




8 commenti:

  1. Un vero reportage in presa diretta. Dimostrazione che il futuro del pianeta è demandato alle persone normali, con pochi mezzi a disposizione, quando ai Donald Trump basterebbe firmare un protocollo per salvare tutte le specie dall'estinzione, umanità compresa. Grazie della tua testimonianza e del coraggio di piccole organizzazioni come Alert.

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  2. Guardo il tg, attentati e timore di attentati. Si parla di "noi" e "loro" e mi viene in mente che dei ragazzi in ALeRT alcuni sono musulmani e altri no. Eni porta il velo, Danang si apparta per pregare, ma non è nulla di strano laggiù. Lavorano per qualcosa che va oltre le differenze, qualcosa che unisce anziché dividere.

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  3. Molto bello e anche molto profonda la passione che traspare da tutto ciò che racconti per le persone che hai conosciuto, per i luoghi e per le esperienze fatte. Una scelta di vita, la tua, che ha la mia più sincera ammirazione.

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    1. Ogni scelta comporta delle rinunce, avere un obiettivo le rende sopportabili.

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  4. Piedi nel fango e mani nel fuoco ti descrive. ;)

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  5. Penso che viaggiare sia una delle attività, se così possiamo definirla, più belle che la vita ci abbia donato. Quando poi si viaggia per perseguire scopi così importanti, così belli, così piccoli ma nel contempo così grandi, che aiutano il prossimo (ma anche noi stessi), allora lì possiamo solo ringraziare di avere questa possibilità. Sfortunatamente, al giorno d'oggi, quando parliamo di viaggio ci riferiamo semplicemente ai bei posti, con gli hotel di lusso e il cibo mangiato in camera, con un bel panorama alla finestra. Ma viaggiare significa anche dare una mano, soffrire in un certo senso, e guadagnarsi quello che si vuole.
    Dovrebbero esserci più persone come te nel mondo, e anche come i ragazzi dell'ALeRT, perché, in fondo, tutti noi sappiamo che uniti è meglio di divisi.

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    1. Sì, c'è differenza tra viaggiare e andare in vacanza, ognuno sceglie ciò che preferisce, ma io mi sento a mio agio solo in mezzo alla natura e se posso far qualcosa per proteggerla bella come la trovo, allora sono felice :)

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