giovedì 30 maggio 2019

Poesia della giungla



All'alba, un branco di Nasica è passato sopra le nostre teste e sui tetti del lodge, trovandoci già sveglie perché qui è talmente bello che quasi dispiace perderselo dormendo, eppure abbiamo dormito benissimo con la frescura della pioggia. Non potevamo immaginare un mattino più splendido: l'aria limpida, il cielo azzurro intenso decorato da nuvole bianche e il fiume. La pace delle prime ore del giorno, quando la giungla è già attiva, ma indisturbata dalle persone, è tutta da respirare. Passeggiamo in pigiama nei dintorni del lodge, seguendo scimmie e farfalle, e ovunque posiamo lo sguardo ci viene da sussurrare: «Che meraviglia!» e dico sussurrare perché è spontaneo, per chi è sensibile, inchinarsi davanti alla bellezza e usare il riguardo che meritano le cose preziose e fragili.
Dopo colazione, aspettiamo il klotok sul molo, godendoci la vista del fiume liscio e perfetto come uno specchio. Non servono parole, si sta lì a riempirsi gli occhi di stupore e a purificarsi l'anima con pensieri leggeri e profondi insieme, sperando di conservare il più a lungo possibile quell'incantevole sensazione di appagamento.


Ci imbarchiamo ancora una volta sulla nostra Rimba King, dove ormai ci sentiamo a casa al punto di girare scalze, e Sonia e Feddi si concedono anche un momento di yoga. Intorno al fiume, la vita è in fermento ed è un piacere catturarne i dettagli con lo sguardo e qualche foto.
Questa volta, Eros ci porta a Pondok Tangui, un'altra stazione di alimentazione dove Jungle Feddi, che la sera prima si guardava attorno terrorizzata dalle tarantole, si accuccia con noncuranza accanto al recinto che segna il limite di avvicinamento per i visitatori. Appena i ranger servono il pasto, gli alberi cominciano a muoversi ed è sempre emozionante intuire, ancor prima di vedere, l'arrivo degli orangutan. Il primo a banchettare è un maschio adulto, imponente, ma dall'aria placida, poi arrivano mamme e cuccioli. In questo gruppo c'è un piccolo vivace, curioso e un po' esibizionista che fa il bulletto con i più piccoli e ci guarda come se si aspettasse che lo divertiamo. Trovandoci noiosi, a un certo punto lascia la piattaforma e comincia a esercitarsi nell'arrampicata, passando di albero in albero sopra le nostre teste e proseguendo nei dintorni del sentiero. Non è ancora esperto e sicuro come gli adulti: fallisce qualche presa, rimane incastrato in un groviglio di rami, cerca la via migliore per tentativi.

Poi si ferma a fissare i nostri zainetti appoggiati alla panca e già immaginavo di dovergli lanciare una banana per farmeli restituire, ma quando Sonia, che era proprio sotto di lui, ha fatto un passo indietro per lasciargli spazio, il piccolo è risalito in cima all'albero. Avrà pensato che non valesse la pena abbassarsi al livello degli umani solo per curiosare in uno zaino. 
Sazia a sufficienza, una madre ha lasciato la piattaforma per tornare nella foresta col suo cucciolo, ma non ha preso il sentiero laterale come tutti gli altri, si è guardata intorno e ha deciso di passare per l'angolo del recinto dove stava accucciata la nostra Feddi. Credo che gli animali si fidino istintivamente di lei, ne ho avuto la prova più volte negli anni: dai gatti alle balene, dalle scimmie alle civette, tutte le creature del pianeta, per quanto selvatiche, la riconoscono e le si avvicinano senza timore, la scelgono tra le altre persone perché ne percepiscono la natura dolce e gentile. Lei, emozionata all'avvicinarsi della coppia, ma attenta a non infastidirli, non si è mossa e ha trattenuto il sorriso di gioia che le sarebbe venuto spontaneo perché per tutti gli animali, eccetto l'uomo, mostrare i denti è un gesto aggressivo; ha perfino distolto lo sguardo nel momento in cui mamma e cucciolo le sono passati accanto perché fissarli li avrebbe messi in allarme. In certi momenti bisogna saper rinunciare, il rispetto viene prima di tutto, e sono sicura che la dolce orangutan ha apprezzato la delicatezza, mentre qualsiasi altro turista avrebbe cercato di toccarli o li avrebbe intralciati per una foto. Ecco il filmato dello straordinario incontro.


Quando delle banane rimanevano ormai soltanto le bucce e gli orangutan erano svaniti per sentieri preclusi ai visitatori, si è presentato uno scoiattolo tricolore a ispezionare gli avanzi ed è giunta anche per noi l'ora di andare, camminando beate con i cuori carichi di nuovi splendidi ricordi.
La Rimba King ci portate lungo il fiume fino al molo di Pesalat, dove ci siamo fermati a pranzare e dei deliziosi piatti assaggiati in questi giorni vi parlerò in un post dedicato. 
Pesalat è un'area devastata da due grandi incendi alla fine degli anni novanta. Dal 2003 c'è un'associazione che si occupa di ripiantare gli alberi perduti e chiunque passi di qui può comprare il suo albero e piantarlo personalmente. Dopo una mezzora di cammino sulla passerella più scassata che abbiamo percorso - Eros ci ha raccomandato di restare al centro perché le assi potevano ribaltarsi di lato - siamo arrivati al vivaio dove il responsabile Udin ci ha raccontato del progetto, mentre da dietro la casetta che fa da ufficio sono spuntati due gatti tigrati, Lady e Crispy che si sono fatti coccolare e fotografare. Confermo quanto pensato della pantera al lodge: bella vita i gatti del Borneo. 
Udin ci ha mostrato le varie piante disponibili, tutte originarie del posto, e ce ne ha elencato le caratteristiche: quanto impiegano a crescere, la loro funzione nell'ecosistema della giungla, quali animali se ne cibano e quali vi trovano riparo, le proprietà del legno, delle foglie e dei frutti. Alla fine, ognuna di noi ha scelto il proprio albero e siamo andate a piantarlo. Accanto a ciascuna piantina, abbiamo sistemato un cartello con la data, il nome della pianta, il nostro nome e nazione. Tornando verso la radura dove ci aspettava Eros, mi sono messa a leggere i cartelli ai piedi degli altri alberi, felice che gente da ogni parte del mondo sia venuta qui a ridare vita alla foresta. Siamo rimaste a fare quattro chiacchiere con Udin e a coccolare i gatti. Ho scoperto che è il figlio del precedente responsabile che avevo conosciuto nel 2013, quando piantai il mio primo albero in Indonesia, lo stesso anno, una settimana dopo avrei coperto Alert grazie a Hari e nel 2017 sarei entrata a far parte dell'associazione. Tutto è cominciato proprio a Pesalat e ora ci sono tornata con le Cavallette.
Ripreso il fiume, Eros ci ha chiesto se eravamo stanche e volevamo tornare al lodge oppure ci andava di tornare ad Harapan, la stazione di alimentazione dove eravamo state il primo giorno, che tanto era "di strada". C'è da chiederlo?
Puoi tornare mille volte nello stesso punto della giungla e non lo troverai mai uguale, infatti, ci aspettava un'esperienza sorprendente. In anticipo sull'orario in cui i ranger riforniscono la piattaforma, ci siamo sedute sulle panchine soffrendo per il caldo e le zanzare che fini a quel momento non ci avevano mai infastidito. Sonia ha estratto dallo zainetto un ventaglio e l'abbiamo guardata con ammirazione: è proprio Master!  
D'un tratto, un possente maschio adulto è comparso nei pressi della piattaforma e, deluso che non fosse ancora apparecchiata, si diretto a grandi passi verso il pubblico, scavalcando una panchina e venendoci incontro per fermarsi appena prima del recinto. Io e le ragazze abbiamo cominciato ad allontanarci lentamente, trascinando via Jungle Feddi che ha un bizzarro senso del pericolo. Quando poi il grosso orangutan si è agitato di nuovo, salendo a gran velocità sui bassi rami proprio sopra le nostre teste, tutti i presenti sono scattati in piedi urlando e fuggendo verso il fondo della radura. Pessima reazione che avrebbe potuto irritare il bestione, fortunatamente insensibile all'isteria umana. Credo che la colpa sia stata anche delle guide che accompagnavano i vari gruppi, avrebbero dovuto far spostare la gente un po' prima, con calma, o almeno spiegare come comportarsi in presenza di un maschio importante non appena si è presentato alla piattaforma. Per fortuna, a lui interessavamo poco, è rimasto sul ramo a guardarci tanto per passare il tempo finché, all'arrivo dei ranger col cibo, è saltato giù ed è corso a mangiare. Sugli alberi nei dintorni, intanto, erano comparsi altri orangutan, ma sono rimasti in attesa, mentre quello che pareva il capo branco si scolava tutto il latte, poi si sono fatti avanti con cautela e, ottenendo il suo permesso, hanno partecipato al banchetto. Ci si è intrufolato perfino un macaco che pareva minuscolo in mezzo ai grossi cugini.
Di nuovo, arriva l'ora di lasciare la magia della giungla, dove la vita non segue le regole dell'uomo e, se da un lato la grandezza della natura, qui dove è libera di esplodere in tutte le sue forme, ci fa sentire piccoli e ignoranti, dall'altro ci accoglie con amore ricordandoci le nostre origini e che tutti abbiamo un posto nell'universo.
Col sole che cominciava a calare, siamo tornate al lodge per fare le valigie, molto a malincuore, tremendamente a malincuore, disperatamente a malincuore. Ma dell'ultima sera in Kalimantan vi parlerò nel prossimo post, per ora fermiamoci in questa stupenda giornata con le foto che la raccontano.

martedì 28 maggio 2019

Le gloriose


C'è una storia nella storia di questo viaggio che vi voglio raccontare per celebrare... un paio di scarpe.
Per le escursioni nella giungla, aspettandomi molta più pioggia di quanta ne abbiamo trovata, ho raccomandato alle ragazze di munirsi di scarpe adatte a camminate nel fango e ho portato con me i miei vecchi scarponi da trekking. Me ne sono lamentata tutto il tempo: troppo pesanti, ingombranti, calde. Finché, la mattina dell'ultimo giorno, le suole si sono aperte per ripicca, prima una e poi l'altra per solidarietà alla sua protesta.
Ho provato a ripararle con la colla che mi ha prestato Eros, camminando sulle punte perché facesse presa.

Non ha funzionato e ho capito che volevano andare in pensione. Dopotutto, hanno lavorato duramente ai miei piedi per anni e anni, per viaggi e viaggi, e quante avventure potrebbero raccontare dal loro punto di vista. Hanno percorso chilometri di strade, hanno scalato le dune del deserto del Sahara, si sono arrampicate su vulcani dalle Eolie alle Hawaii all'Indonesia, hanno guadato fiumi e attraversato foreste, camminato nella savana e su sentieri di montagna, sono passate dal caldo torrido al gelo della neve: queste scarpe hanno girato il mondo, proteggendomi fino alle caviglie senza mai lamentarsi.
Finché le suole si sono spalancate come bocche per dirmi: «Adesso basta! Noi ci fermiamo qui.» Così, le ho fotografate, salutate e lasciate al lodge perché meritavano una fine all'altezza del loro eccellente servizio, nell'ambiente per cui sono state fabbricate. E poi, chissà, qualcuno potrebbe ripararle e portarle a camminare dentro nuove storie.
Ciao, scarpe gloriose!



domenica 26 maggio 2019

Pioggia sulla giungla


Svegliarsi nella giungla con il suono e il profumo della pioggia è qualcosa di indimenticabile. Aprire la porta della stanza e vedere le piante che luccicano bagnate intorno a te ti fa sentire felice di essere al mondo, in quel luogo e in quel momento.
Dopo aver sofferto il caldo durante la notte perché ci rifiutiamo di sprecare l'energia dei pannelli solari per l'aria condizionata, la frescura portata dall'acquazzone ci ha riempite di energia.
La Rimba King ci aspettava al molo alle 7.30, ma ci siamo alzate prestissimo – la Fra era in piedi dalle cinque a esplorare i dintorni – per fare colazione con calma e anche perché la sera prima siamo vergognosamente crollate appena dopo le nove. D'altra parte, il ritmo naturale delle nostre giornate dovrebbe andare dall'alba al tramonto e non abbiamo fatto altro che ritrovare la sintonia con la natura, quell'equilibrio istintivo che la vita di città sconvolge. Ci siamo prese il tempo di goderci la pioggia passeggiando lungo le passerelle di legno che dalle camere arrivano al ristorante e di ritrovare il gatto-pantera passato a darci il buongiorno e ad alleviare la nostalgia dei nostri gatti di casa.
Ci siamo imbarcate puntuali dopo colazione e l'aria fresca si è fatta pungente quando la barca è partita, perciò Eros ci ha offerto delle coperte. Io, da brava anziana, ho molto apprezzato e mi ci sono avvolta nella mia poltrona di vimini, sentendomi la regina della foresta.
Anziché disturbarci, la pioggia ha reso il panorama ancor più suggestivo, in fondo è così che si presenta la giungla nei romanzi d'avventura. Ci siamo godute pienamente l'ora e mezza di navigazione mattutina immerse nella pace della natura, pensando anche all'importanza della pioggia per tutte le forme di vita che, qui sotto il cielo, la ricevono in regalo per dissetarsi e crescere. 


Lungo il percorso ci siamo fermati ad ammirare un grosso branco di scimmie Nasica che faceva colazione sugli alberi accanto al fiume. Queste scimmiette dal pelo bicolore, chiaro sul petto e rosso sul dorso, con il loro nasone per cui vengono anche chiamate scimmie con la proboscide e gli occhietti espressivi, sono abili acrobate e compiono salti spettacolari da un ramo all'altro perfino con i cuccioli stretti al ventre. Ripreso il viaggio, ci siamo inoltrati in un ramo minore del Sekonyer, che restringendosi per un lungo tratto prima di riaprirsi, ci ha fatte sentire ancor più avvolte dal verde delle piante e più vicine alla foresta.
L'acquazzone si è affievolito proprio quando siamo giunte a destinazione, sbarcando al molo di Camp Leakey. Di questo centro di ricerca e recupero degli orangutan salvati dal bracconaggio e da situazioni di cattività, vi ho già parlato altre volte, come della sua fondatrice Biruté Galdikas, per esempio qui. È un luogo dove ci si occupa di conoscere e proteggere le meraviglie che noi Cavallette siamo venute a osservare, quindi la visita è cominciata dal piccolo museo dove sono conservati alcuni cimeli del periodo in cui Biruté venne ad abitare in una capanna nella giungla per cominciare a studiare gli orangutan selvatici nel loro ambiente. Grazie all'interesse del mondo scientifico per la sua ricerca e l'arrivo di ulteriori finanziamenti (tra cui quello della National Geographic Society), quella capanna è diventata Camp Leakey e il parco circostante una riserva naturale protetta. Una sala del museo è dedicata agli alberi genealogici delle famiglie di orangutan dell'area e ai membri di ogni generazione vengono dati nomi con la stessa iniziale del nome dato alla madre. Abbiamo anche scoperto che, oltre ad avere quasi il 97% del DNA in comune, condividiamo con gli orangutan un altro curioso aspetto "sociale": mentre le femmine passano dall'adolescenza alla maturità, i maschi passano prima per una fase di sub-adulti. Vi lascio a considerazioni e battute che abbiamo fatto anche noi.
Ci sono poi fotografie, testi, statistiche sulla vita di questi bellissimi primati e sulla fragilità del loro habitat con la lista delle principali minacce: incendi (appiccati dai bracconieri per agevolare la caccia), deforestazione (causata dall'avanzare delle piantagioni di palma da olio e altre coltivazioni tutt'altro che sostenibili), mutamenti climatici che sconvolgono i cicli di crescita della foresta, la fioritura e la fruttificazione che sfama gli animali. Che il biglietto d'ingresso e una percentuale del nostro soggiorno al lodge contribuiscano a difendere questo ambiente è un piccolo aiuto, poi conta molto anche lo stile di vita che adottiamo a casa perché si possono far danni qui anche abitando a migliaia di chilometri di distanza: l'Europa è al terzo posto per consumo di olio di palma. Non ci costa nulla leggere le etichette sui prodotti che compriamo al supermercato e scegliere di evitare quelli che lo contengono, a volte celato sotto la dicitura “olio vegetale”, basta optare per altri oli, magari sostenendo gli uliveti nostrani preferendo olio d'oliva italiano, no?
Ma torniamo a Camp Leakey. Dopo il museo, ci siamo inoltrate per il sentiero che conduce al punto di alimentazione. Questa volta, c'erano più turisti il che, da un lato significa maggiori incassi per il centro, dall'altro maggior probabilità di incontrarne di maleducati. I cartelli di “fate silenzio!” sono ovunque, ma pare non abbiano effetto su certa gente che chiacchierava ad alta voce e rideva sguaiatamente, e stranamente non erano italiani, come quegli spettatori al cinema che devono commentare ogni scena. Abbiamo sentito una tranquilla coppia seduta accanto a noi dire: «Se vuoi lo zoo, vai a Berlino, non vieni qui.» E infatti non capivamo perché fare tanta strada se poi non rispetti il luogo dove sei ospite. 
Malgrado gli schiamazzi, a un certo punto si è mosso un albero alla nostra sinistra ed è comparso un gibbone. Splendido vederlo volteggiare di ramo in ramo, atletico e leggero come una ginnasta alle parallele, e presentarsi per primo al banchetto. Guardate i due filmati ripresi da Feddi.



Abbiamo visto muoversi le cime degli alberi in lontananza, segno che gli orangutan erano in arrivo, si agitavano fronde sempre più vicine e la nostra eccitazione cresceva. A differenza dei gibboni, gli orangutan hanno un'andatura più lenta e rilassata, una grazia insospettabile per la loro stazza. Quando si sono trovati tutti nei dintorni della piattaforma, è stato bello osservare le differenze nei loro movimenti e gesti, i loro atteggiamenti e rapporti. Per coglierli al meglio, Sonia ha estratto un piccolo binocolo e noi ci siamo stupite di quanto fosse attrezzata la nuova Cavalletta, d'altra parte ha più esperienza o, come ha esclamato la Fra, «Lei è Master!» 
Le foto non rendono minimamente giustizia alla bellezza né possono raccontarvi l'emozione di quei momenti, ma provate a immaginare o prendete un aereo e andate a vedere con i vostri occhi e i vostri cuori. 
Peccato che non si possa rimanere più di due ore, ma è anche giusto limitare la presenza di turisti. Tornando al molo lungo la classica passerella di legno che unisce gli attracchi fluviali alla foresta, ci siamo imbattute in un ranger che ci avvisava che poco più avanti stava passando una madre con il piccolo, perciò dovevamo fermarci e fare silenzio finché non se ne fossero andati. Non abbiamo osato nemmeno fotografare per non infastidire la mamma orangutan, una foto in meno non è importante, trovarsi lì, invece, è stato fantastico e nessuno ce ne toglie il ricordo. Alle nostre spalle, è arrivato il gruppo rumoroso, ma per fortuna c'eravamo noi a ostruirgli la strada ed è andato tutto liscio. I maleducati, però, hanno ricevuto una lezione direttamente dagli abitanti della giungla: al molo si erano riuniti alcuni macachi - anche una mamma con un minuscolo cucciolo - famosi per essere dispettosi e ladri, infatti, quando il klotok dei rumorosi turisti si è avvicinato per imbarcarli, una scimmietta è saltata sul ponte come un fulmine, fuggendo con un pacchetto di patatine lasciato incautamente aperto e incustodito.
Ripreso il fiume è ricominciata anche la pioggia e poco dopo ci siamo fermati a pranzare in un punto abbastanza largo da lasciar passare altre imbarcazioni. I piatti erano talmente deliziosi che abbiamo voluto conoscere la cuoca per farle i complimenti. Ho chiesto a Feddi di fotografare tutto e segnarsi le ricette per cucinarmele a casa.
Il programma prevedeva una passeggiata "notturna", intorno alle 18.30, in un altro punto della foresta nella speranza di avvistare gli animali che tipicamente escono dalle tane con il buio, come il Tarsio e il Lori Lento, piccolissimi primati dai grandi occhi. In attesa del tramonto, abbiamo proseguito navigando lentamente, chiacchierando e guardandoci intorno.
Osservando il paesaggio la nostra vista si abituava a scorgere uccelli e scimmie tra gli alberi, notando movimenti e fruscii che prima ci sfuggivano e ora ci erano familiari, come se pochi giorni nella giungla fossero sufficienti a far riemergere sensi perduti, innati e istintivi, ma accantonati in un angolo del cervello perché inutili nelle città in cui viviamo. Un tempo era fondamentale riconoscere i segni della presenza di un animale, orientarsi con le stelle, prevedere una tempesta, conoscere la terra con i suoi frutti e i suoi pericoli; oggi, tra noi e la natura, c'è una grande distanza, grande quanto procurarsi l'acqua aprendo semplicemente un rubinetto anziché seguire il rumore di un torrente attraverso il folto della foresta fino a raggiungerne la riva. Le comodità e la tecnologia a cui siamo abituati di certo ci hanno reso la vita più facile, ma ci hanno anche privato di qualcosa e, quando ci troviamo immersi in ambienti come questo, dove non c'è nulla di ciò che abbiamo a casa, ci accorgiamo che non ci serve nulla, che apparteniamo anche alla foresta per nostra antica natura e la sensazione è proprio quella di riscoprire le proprie origini, che affondano nella natura selvaggia come le radici di questi magnifici alberi affondano nel terreno.
L'alternarsi di pioggia e sole ci ha regalato un tramonto rosso fuoco, poi ci siamo incamminate per questo "safari notturno" in compagnia di Eros e di un ranger. Con le torce si illuminavano i dintorni sperando di cogliere il riflesso degli occhi di qualche animale notturno, ma per tutto il sentiero non abbiamo avvistato altro che ragni, l'incubo di Feddi, eravamo circondate da nidi di tarantola e l'unica cosa carina che abbiamo visto è stata un uccellino verde.
Sulla via del ritorno al lodge, ormai nell'oscurità totale, ci siamo riscaldate con un buon caffè all'indonesiana che però tremava tutto al ritmo del motore. Ve lo mostro in questo filmato che non sono riuscita a raddrizzare, ruotate voi lo schermo del computer, per favore.


La giornata si è conclusa con una doccia, anche se abbiamo rinunciato a lavarci i capelli perché è impossibile asciugarli e comunque dopo cinque secondi si suda di nuovo, e una splendida dormita nella quiete della giungla rinfrescata dai temporali.

Presto un'altra puntata della nostra avventura, intanto godetevi il secondo album di foto.


giovedì 23 maggio 2019

L'abbraccio della natura



Mentre ci si avvicina in volo all'isola del Borneo, saltano all'occhio due cose: il verde smeraldo della giungla e la vastità dei danni della deforestazione che avanza a grandi morsi divorando la bellezza per far posto a soldi – intascati da imprenditori stranieri, non certo dalla popolazione locale – e desolazione. La missione delle Cavallette era ammirare quanto di bello resiste ancora e dare il nostro piccolo contributo alla sua protezione.

Nel minuscolo aeroporto di Pangkalan Bun, si scende dall'aereo come fosse un autobus e si raggiunge il terminal a piedi per ritirare i bagagli all'unico nastro trasportatore. Dopo essere passate per i grandi scali internazionali, l'impressione era di trovarsi nella stazione di un paesino di campagna, cosa che ci ha fatto molto piacere perché non amiamo la folla e il caos.
Ad accoglierci fuori, insieme all'aria calda e umida dei tropici, c'era la guida che ci avrebbe accompagnate per i giorni successivi: Eros. Presentandosi con il tipico sorriso cordiale della gente di qui, ha subito specificato: «Ma non Ramazzotti!» Allegro ed entusiasta del suo lavoro, ci ha fatto immediatamente sentire a nostro agio.
Ci ha portate a pranzo in un bell'hotel di Pangkalan Bun e abbiamo parlato un po' di noi e del nostro soggiorno, cosa ci interessava fare e vedere, cominciando da quel pomeriggio. Il Rimba Ecolodge dove avremmo alloggiato si trova sul fiume Sekonyer, ma lungo il tragitto saremmo passati per Tanjung Harapan – uno dei punti dove i ranger del parco nazionale due volte al giorno portano cibo per gli orangutan che, reintegrati nella foresta dopo il recupero da situazioni di cattività, non sono ancora in grado di procurarselo in natura ed è dunque possibile osservarli – intorno alle tre, giusto in tempo per assistere al pasto dei nostri cugini pelosi, quindi Eros ci ha chiesto se avessimo voglia di fermarci là prima di andare al lodge. Ovviamente, sì!

Così, dopo pranzo, abbiamo raggiunto un piccolo molo privato nel porto di Kumai, cittadina che si affaccia sull'omonima baia, dove il fiume sfocia in mare e acqua dolce e salata si mescolano nelle maree. Lì ci attendeva la Rimba King, una tipica imbarcazione locale chiamata klotok che sarebbe diventata la nostra seconda casa. Quando ero stata in Kalimantan la prima volta nel 2013, avevo viaggiato sulla Rimba Princess e Eros mi ha raccontato che ora giace dismessa vicino al lodge perché ha avuto un incidente con un paletto sommerso e ha rischiato di affondare, dunque il Re della giungla (Rimba significa appunto giungla in indonesiano) ha sostituito la sfortunata Principessa.
Ci siamo accomodate nel salottino sul ponte e ci siamo godute le due ore di navigazione risalendo il fiume, ammirando il paesaggio e lasciandoci rinfrescare dalla brezza. Intanto Eros, da buona guida, ci ha dato qualche informazione su quello che ci circondava. Kumai significa vieni qui ed è il nome che l'antico insediamento ha preso quando un gruppo di uomini provenienti dalla vicina isola di Sulawesi è sbarcato in Borneo. Esplorando la zona che stavamo attraversando anche noi, uno degli uomini si è perso e i suoi compagni l'hanno guidato al campo gridando «Vieni qui!», così la futura cittadina ha preso questo nome. Il fiume Sekonyer, invece, ha cambiato nome sotto la dominazione olandese, mentre prima si chiamava fiume dei coccodrilli perché vi abitano sia quelli di mare, più grossi, che quelli d'acqua dolce dal muso sottile e allungato.
Il punto in cui dalla larga baia si entra nel fiume segna anche l'inizio, sulla sponda destra, del parco nazionale Tanjung Puting, dimora di orangutan e tanti altri animali e uccelli straordinari che sembrano usciti da un libro di fiabe esotiche. Mentre contemplavamo il panorama meravigliate, Eros ci ha fatto notare come, allontanandosi dall'acqua salata, muti anche la vegetazione sulle rive: prima una specie di palma le cui lunghe foglie formano una foltissima selva, poi prevale l'acqua dolce e compaiono gli alberi e il tipico sottobosco della giungla. Dopo averci raccontato tutte queste cose, Eros è sceso di sotto con il resto dell'equipaggio – il capitano, due giovani marinai e la cuoca – e ci ha lasciate a osservare tutto in silenzio, perché al cospetto di tanta meraviglia viene spontaneo abbassare la voce per non disturbare e perfino tacere per lasciare liberi pensieri e sensazioni. Dopo un po', si ignora anche il sottofondo del motore della barca e io già fantasticavo di andare a vivere su un klotok elettrico completamente silenzioso alimentato da pannelli solari sul tetto.

Non trovo proprio le parole per spiegarvi come ci si sente a navigare sotto quel cielo e, man mano che il fiume si restringe, avvertire l'abbraccio della natura con i suoi profumi, i movimenti sfuggenti di uccelli e scimmie tra i rami, i versi, i canti, i richiami, il riflesso della foresta e delle nuvole nell'acqua.
Attraversando questo sogno a occhi aperti, siamo approdate al molo di Tanjung Harapan e, con una breve camminata tra alberi maestosi, piante medicinali e orchidee aggrappate ai tronchi, abbiamo raggiunto la stazione di alimentazione per gli orangutan: una piattaforma di legno sulla quale i ranger preparano cumuli di banane e poi lanciano un richiamo per avvertire gli animali che lo spuntino è servito. Nella radura antistante, sono allineate alcune panche circondate da un recinto per impedire ai visitatori di disturbare gli animali perché non bisogna mai dimenticare che siamo ospiti a casa loro e, lo sanno tutti, noi umani siamo gli ospiti più maleducati e irrispettosi del pianeta.
Nei due giorni precedenti c'erano state forti piogge e gli orangutan non si erano presentati agli appuntamenti, preferendo rimanere al riparo nei loro nidi di foglie. Per nostra fortuna, il tempo è migliorato e al banchetto sono arrivate diverse mamme con i cuccioli bisognose di rifocillarsi per la fatiche dell'allattamento. L'emozione di vederle a pochi metri da noi è stata enorme. Siamo rimaste incantate dalla delicatezza dei loro movimenti, dall'espressività dei loro volti, sguardi, gesti reciproci.
Il bello di questi momenti è proprio osservare le interazioni tra i vari individui: l'attenzione e la prudenza delle mamme, un po' diffidenti tra loro e sempre all'erta; la curiosità dei piccoli, ma anche la loro insicurezza per cui al minimo disagio si rifugiavano tra le braccia della madre, aggrappandosi saldamente alla pelliccia, e poi allungavano le manine in cerca di un pezzo di banana abilmente sbucciata dagli adulti. Andavano e venivano arrampicandosi sugli alberi e passando con eleganza da un ramo all'altro, sapendo esattamente quali afferrare e fino a che punto lasciare che si piegassero sotto il loro peso per raggiungere l'albero successivo, niente salti o acrobazie, ma una danza fluida e precisa. 

Terminato il tempo di visita, siamo tornate alla barca piene di emozione e felici che fosse soltanto la prima di molte.
Il lodge sorge a dieci minuti di navigazione sulla riva opposta del fiume ed è composto di diverse palafitte di legno perfettamente mimetizzate nella giungla collegate da lunghe passerelle che si snodano sopra un terreno bagnato dal fiume e intorno a grandi alberi, piante e fiori. Eros ci ha dato appuntamento dopo cena per programmare la giornata successiva e ci ha lasciato il resto del pomeriggio libero. Alla reception ci hanno accolte con un succo di frutta e ci hanno assegnato due camere attigue bellissime, tutte in legno come capanne e con veranda sulla foresta.
È un piacere starsene sedute lì fuori, all'ombra di grandi alberi, a osservare in silenzio la vita fatta di foglie grandi come ombrelli o piccole e affilate come punte di freccia, e poi fiori colorati che si chiudono la sera e spalancano i petali al mattino colorando l'inizio di un nuovo giorno, e farfalle, ranocchie, serpentelli, lucertole mimetiche e più su, verso la cima degli alberi, branchi di scimmie Nasica che passano così veloci da un ramo a un tetto a un altro ramo che sembrano volare, e ancora più su magnifici uccelli che planano nell'aria calda, e quando ci sorprende qualche scroscio di pioggia il suono delle gocce che esplodono sulle foglie diventa una magnifica sinfonia capace di escludere perfino il rumore dei pensieri.
Mi basta già questa vista per commuovermi e riempirmi della verde serenità che a casa mi manca. È stato bello trovare negli occhi delle mie amiche la stessa ispirazione e se avevo qualche dubbio che, fiaccate dall'afa, infastidite dagli abiti fradici di sudore e dalle punture di qualche insetto, dal meteo incerto, non avrebbero apprezzato l'esperienza, mi sono immediatamente ricreduta: il fascino magico della giungla ha stregato subito anche loro.
Prima di cena, siamo passate all'ufficio del lodge per comprare qualche minuto di connessione internet satellitare – l'impianto è stato installato da poco e nella brochure che abbiamo trovato in camera era scritto che per recuperare i costi al momento ne facevano pagare l'utilizzo – ma ci ha accolte il responsabile del lodge spiegandoci che gli ospiti non pagano, soltanto clienti esterni del ristorante o chi passa appositamente per approfittare dell'unica connessione in mezzo alla giungla, ci avrebbe quindi fatto avere gli accessi più tardi. Ci ha anche regalato quattro bellissime borracce con il logo di Ecolodges Indonesia da riempire gratuitamente al ristorante o sulla barca. Insomma, eravamo andate per pagare e siamo tornate con dei regali.
La cena era deliziosa e abbondante, preparata secondo le nostre richieste per due vegane, una vegetariana e un'onnivora con i prodotti locali e servita nel tranquillo e accogliente ristorante da una minuta cameriera dal sorriso dolce. A fine pasto, ci ha raggiunte Eros offrendoci diverse opzioni su come trascorrere le nostre giornate nella giungla e consigliandoci come organizzarle tenendo conto degli spostamenti in klotok. Scelto il programma per l'indomani, stavamo per andare a nanna, quando un gatto nero come una pantera, giovane e dal pelo lucente ha fatto il suo ingresso in sala miagolando in cerca di attenzione. Il suo istinto felino l'ha fatto saltare in braccio alla regina delle gattare, la
Feddi, che l'ha adottato all'istante e, per deformazione professionale, l'ha esaminato trovandolo in gran forma. Il micio-pantera ci ha seguite in veranda dove si è fatto fotografare come una star e coccolare con la fiducia di chi è abituato a esser trattato bene.
Alla fine di una giornata densa di emozioni, dopo una doccia rinfrescante e con il buio che cala alle sei, alle nove ci pareva mezzanotte e siamo andate a letto.
Finisce così il primo racconto dal Kalimantan, con i fiori che si chiudono e le luci che si spengono, con la gioia di aver ben speso queste ore delle nostre vite e l'eccitazione per le altre meraviglie che ci attendevano al risveglio.

Per voi, l'album delle prime foto.

mercoledì 22 maggio 2019

Ulisse, scansati


Premessa: questo è il primo post di una serie sul viaggio delle Cavallette in Indonesia che si è appena concluso. Pubblico in differita a causa di connessioni deboli e mancanza di tempo, ma racconto in diretta così come ho scritto ogni sera a matita – in viaggio le penne tendono a non funzionare, mentre le matite non tradiscono mai – sul quaderno che ho sempre con me.
Buona lettura.

Il giorno della partenza, il cielo scuro e il sempre affidabile bollettino del Centro Meteo Lombardo preannunciavano forte maltempo. Ci siamo divise in due auto: Sonia e Feddi con mio fratello; io e la Fra con il suo fidanzato Francesco. Come previsto, sulla via per Malpensa, siamo stati investiti da una tremenda grandinata. All'improvviso, l'autostrada si è trasformata in un fiume carico di ghiaccio e il traffico è impazzito: molti mezzi si fermavano sotto i cavalcavia e le gallerie, creando pericolosi ingorghi. Nei pressi dell'aeroporto, lo strato di ghiaccio a terra era spesso diversi centimetri e pareva di guidare su un tappeto di biglie di vetro. Con abilità e cautela, però, i nostri autisti ci hanno scaricate al terminal sane e salve.


Le piste sono rimaste chiuse per un'ora e, come tutti gli altri, il volo Turkish Airlines che doveva portarci a Istanbul per la coincidenza con Jakarta ha accumulato un ritardo preoccupante. Il tempo a disposizione per cambiare aereo continuava a ridursi e ci aspettava una corsa tra i gate dell'enorme scalo turco. Infatti, saltate giù dal primo volo a spintoni tra tutti i passeggeri che come noi temevano di perdere le coincidenze, ci siamo lanciate al galoppo come quattro disperate con gli zaini in spalla su e giù per le scale e lungo i corridoi per arrivare sudate fradicie all'imbarco. Per fortuna, non ci sono stati controlli e code come ci era capitato tre anni fa a Parigi, così abbiamo avuto anche il tempo di far tappa in bagno e darci una sistemata. In ogni caso, dato che i nostri accompagnatori erano incappati in un grosso ingorgo per incidente sulla via del ritorno, credo che siamo arrivate prima noi a Istanbul che loro a Monza.

Una volta sull'aereo per Jakarta, abbiamo finalmente abbandonato l'ansia. Le undici ore di volo sono trascorse tra turbolenze – puntualmente quando servivano i pasti, tra l'altro quelli vegani per Feddi e me più buoni di quelli trovati a certi matrimoni – film e dormite da classe economica, cioè alla continua, e vana, ricerca di una posizione che non richiedesse l'intervento di un fisioterapista al risveglio.
All'atterraggio, abbiamo sbrigato le formalità per l'ingresso in Indonesia e prelevato un po' di contante, poi ci siamo messe in coda per il taxi che ci avrebbe condotte all'hotel prenotato per riposare prima del volo per il Borneo l'indomani e, soprattutto, per una doccia che ci togliesse di dosso la puzza di oltre quindici ore passate tra aeroporti e aerei. Abbiamo dato l'indirizzo agli addetti che procurano i taxi all'uscita e pagato in anticipo un prezzo che mi è parso un po' eccessivo, ma ho pensato che a Jakarta la vita costasse più che nel resto dell'Indonesia. Avevo scelto un albergo vicino al terminal in modo da non perdere tempo nel traffico della gigantesca capitale, ma dopo un po' che stavamo pigiate in un taxi con l'aria condizionata troppo alta, ho cominciato a dubitare della posizione. Eppure avevo controllato la mappa, cosa che invece non sembrava aver fatto il tassista che vagava sperduto, allontanandosi e riavvicinandosi all'aeroporto per poi, dopo un'ora e mezza, fermarsi a chiedere indicazioni. Ho provato a chiedergli di usare il navigatore del suo cellulare e quanto mancasse ancora, ma non capiva una parola d'inglese e rispondeva solo indicando avanti. Avanti dove? Gira e rigira, si è fermato di fronte a un hotel dal nome simile a quello che avevo prenotato, ma prima di far scendere le ragazze ho preferito controllare e, infatti, era il posto sbagliato! Per fortuna, il ragazzo della reception parlava inglese e ha spiegato per noi all'incompetente tassista dove avrebbe dovuto andare in realtà. Infine, dopo due ore, abbiamo scaricato le valigie nel posto giusto – che stava ad appena venti minuti dall'aeroporto – e ho dovuto anche discutere con l'incompetente: voleva più soldi per il tempo perso e, ovviamente, mi sono rifiutata così la guardia all'ingresso mi ha aiutata a mandarlo via. L'accoglienza in albergo ci ha fatto tornare il sorriso: personale gentile, camere pulite, set da bagno in omaggio e ristorante aperto 24 ore che ci ha fornito la cena alle nove passate prima del risposo in un letto vero e confortevole.
La mattina dopo, eravamo come nuove e pronte per l'ennesimo volo – solo un'ora e mezza, una passeggiata – che ci ha portate a Pangkalan Bun, nel Borneo indonesiano.
Insomma, il viaggio di andata è stato una lunga Odissea, ma siamo riuscite a raggiungere la nostra meta, il Kalimantan, dove stava per cominciare una meravigliosa avventura.

sabato 18 maggio 2019

Dlin dlon, avviso ai lettori

Lo so, lo so: vi aspettavate una diretta giorno per giorno e, invece, solo ora pubblico poche righe.
Le Cavallette (ormai considerateci in quattro perché Sonia pulisce i piatti come noi che ci siamo lasciate dietro una carestia in ogni nazione visitata) si scusano per il vostro disagio, ma siamo troppo occupate a vivere questa nuova avventura per dedicare del tempo anche a raccontarla.
Ma non temete, una volta a casa, ho già una serie di post da pubblicare, che al momento sono scritti a matita sul mio quaderno, e un’infinità di foto da regalarvi in bell’ordine negli album che vi ripagheranno dell’attesa.
Nel frattempo, non preoccupatevi: stiamo bene, anzi, siamo felici!

Tanti baci dall’Indonesia.


martedì 7 maggio 2019

Si riparte!

Sono di nuovo in partenza - lasciatemi aggiungere finalmente con un lungo sospiro perché son passati quasi due anni dal mio ultimo viaggio e rischiavo l'esaurimento nervoso - di conseguenza riparte anche il blog che fa viaggiare i lettori insieme a me. 

Alle storiche Cavallette si è aggiunta Sonia che, dopo l'esperienza africana, si è appassionata alle nostre missioni naturalistiche. 

Tre Cavallette si dondolavano 
sopra le mappe di luoghi lontani 
e siccome era molto interessante 
andarono a chiamare un'altra cavalletta
Quattro Cavallette...

La destinazione è nuova per le mie compagne, ma non per me, anzi, è la mia seconda casa: Indonesia. Nello sterminato e meraviglioso arcipelago, abbiamo scelto due mete molto diverse tra loro che ci appagheranno per motivi differenti. 

click per ingrandire
Dopo una notte di scalo a Jakarta, la nostra missione naturalistica si svolgerà in Kalimantan, la parte indonesiana dell'isola del Borneo, per avvistare gli splendidi orangutan (i miei animali preferiti subito dopo i gatti) sempre più minacciati dalla deforestazione e daremo il nostro piccolo contributo alla sopravvivenza della foresta piantando nuovi alberi, proprio dove Biruté Galdikas, uno dei tre angeli di Leakey, ha cominciato a studiare e proteggere questi affascinanti primati.

Dopo qualche giorno nella giungla, ci sposteremo sull'isola di Bali per un soggiorno rilassante tra templi, artigianato, risaie e una visita alla mia cara Kadek che ha aperto un piccolo ristorante tutto suo.
Ma vi racconterò tutto in diretta da laggiù :)

Partiremo sabato e, secondo il meteo, pioverà per l'intera vacanza, ma chi frequenta questo blog sa bene che non ci interessa portare a casa l'abbronzatura: collezioniamo esperienze indimenticabili!
Noi siamo pronte, e voi?