domenica 16 giugno 2019

Compere, per cominciare


Gli abiti da escursione nella giungla non servono più e sono accartocciati in un sacchetto in fondo alla valigia insieme a fango, sudore e bei ricordi, perciò la prima giornata a Ubud comincia con una tappa in lavanderia. Svoltato l'angolo del nostro vicolo ce n'è una piccina all'interno di un cortile dove ci pesano la biancheria e paghiamo meno di 50 centesimi al chilo per averla lavata e stirata la sera stessa. Ci torneremo a turno nei giorni successivi e per lo stato pietoso dei nostri indumenti, già immaginiamo di venir soprannominate “le zozzone”, ma avremo le valigie più ordinate e profumate del volo di ritorno.
Indossati sandali e canotte, ci dirigiamo al famoso mercato di Ubud. Il cuore è un edificio in muratura con portici e balconate aperti su un cortile centrale, ma le bancarelle si estendendo anche al di fuori, invadendo i vicoli di tutto il quartiere con merci colorate, odori e voci. Qui comincia la nostra ricerca dell'atmosfera tipica balinese ed è tra oggetti d'artigianato, tessuti leggeri, pacchianate per turisti e cibi esotici che ci inoltriamo in questo labirinto affollato come un formicaio, emergendo di tanto in tanto in una via laterale per riprendere fiato.
La Fra cerca un completo per la nipotina, Sonia souvenir per gli amici, Feddi ha il buono che le regalai al compleanno di qualche anno fa da spendere in quel mercato che valeva da promessa di venire un giorno a Bali con me, io guardo utensili da cucina in legno per la nuova casa che mi attende a luglio. Qui bisogna contrattare, lo impone la tradizione, e l'esperienza mi ha insegnato che il valore reale di un oggetto è meno della metà del prezzo iniziale. Se da un lato i mercanti si guadagnano la giornata con i turisti giapponesi che pagano senza batter ciglio, dall'altro si divertono a ribattere a quattro brianzole che non cedono fino al giusto prezzo. All'inizio, per noi che non siamo abituate a mercanteggiare, è imbarazzante chiedere uno sconto per qualcosa che costa già poco rispetto ai nostri standard, ma questa è l'usanza del luogo e, dopo un paio di acquisti, ci si appassiona al gioco: il venditore spara così alto che non ci crede nemmeno lui, scrivendo la cifra su una calcolatrice che poi passa al cliente, io ci scrivo un terzo e il venditore fa la sceneggiata del disperato che va in rovina, ma si vede che gli viene un po' da ridere, e abbassa un poco il prezzo così io alzo un poco la mia offerta; lo facciamo due o tre volte, sempre sorridendo, poi ci accordiamo per la metà di quanto richiesto e siamo entrambi contenti. 
In questo modo, tra il mercato e i negozietti nei dintorni, abbiamo comprato: due camicie per mio fratello (la vera sfida è stata trovare la sua taglia, impensabile per la media asiatica), una ciotola e un'insalatiera per la mia nuova cucina, una borsetta per la Fra, una camicetta per sua nipote, un paio di pantaloni bellissimi per la Feddi, calamite per gli amici di Sonia, pantaloni, gonna e abito per me, anelli di legno dipinto per Sonia e da regalare, maglietta per il fidanzato della Fra e borsetta per la mamma, un granchio e un gatto di latta – che fanno sia da porta candele che portafoto e mi domando se le foto non prendano fuoco... – e, infine, un pezzo di radice di zenzero che mi serviva da masticare durante il volo di ritorno perché è un ottimo rimedio al mal d'aereo. Non so se per le pillole di antimalarico per il Borneo o per la carenza di vitamina B12 (dimentico sistematicamente di prendere l'integratore), il sacchettino continuava a cadermi di mano spargendo pezzi di zenzero ovunque e la signora del banco frutta e verdura me l'ha cambiato tre volte facendogli un nodo sempre più stretto, sembravo ubriaca e più mi rendevo ridicola più ridevo e non riuscivo a raccogliere i pezzi, alla fine mezzo mercato rideva di me. Far compere è stato divertente e un mercato, ovunque nel mondo, è sempre interessante da osservare perché i visitatori si mescolano alla quotidianità degli abitanti del posto, ma dopo un po' il rumore di tante voci e il caldo immobile, compresso tra le bancarelle, ci fanno scappare.
Orientarsi nel centro di Ubud è semplicissimo: ci sono due vie principali che corrono parallele, Monkey Forest e Hanoman, e percorrendole in salita sbucano su viale Raya Ubud dove comincia il mercato, mentre in discesa finiscono nel santuario di Monkey Forest, tutte le altre strade o vicoli incrociano queste o partono da queste per finire nelle risaie. La Fra impara subito e guida il gruppo giù per quella che chiamiamo “scorciatoia”, anche se in realtà non abbrevia il percorso, dove ci sediamo a bere qualcosa di fresco: un bel cocco per esempio.
Passeggiando, si scorgono scorci della vecchia Ubud nascosti tra un hotel e un negozio, tra una gelateria – con la scritta vero gelato italiano – e un ufficio di cambio. Come piantine che crescono nelle crepe dell'asfalto, resistono all'invasione turistica l'ingresso di un tempio o di una casa tradizionale e si incontrano negozianti e ristoratori che lasciano cestini di offerte davanti a statue ornate di fiori, abbandonando i clienti per qualche minuto e dedicarsi ai propri riti, alla propria spiritualità, alla propria vita che non è soltanto vendere merci e servizi ai turisti.

Bali è anche l'isola dei cani randagi. Se ne vedono ovunque, più o meno in salute, e Feddi li fotografa tutti, dopo averli accarezzati. C'è un'associazione di volontari che si prende cura dei randagi e degli altri animali dell'isola, fornendo cure veterinarie e sterilizzazioni, sfamando cani e gatti di strada, vaccinandoli contro la rabbia e provando a trovargli una casa, chiedendo leggi che tutelino gli animali e istruendo gli alunni nelle scuole sui diritti di ogni creatura: si chiama BAWA, Bali Animal Welfare Association. Visitiamo il negozio con cui si finanziano ed è qui che facciamo gli acquisti più importanti. Sonia compra pasti e cure veterinarie, io lascio una donazione e mi porto a casa due belle tazze, la Fra infila banconote nella cassetta delle offerte e Feddi dona l'intero budget dei souvenir per gli amici – che condividono il suo amore per gli animali – sorprendendo la volontaria dietro il banco. Traduco per lei alcune domande sulle attività dell'associazione perché, d'altra parte, sono colleghe e già spunta l'idea di tornare a Bali per qualche settimana di volontariato che in questa parte di mondo ha ancora molta strada da fare e tutta in salita. Questa è un'isola piena di contraddizioni, anche riguardo i diritti degli animali: qui le scimmie che vivono nei templi sono sacre e ricevono un'infinità di cure, mentre lo zibetto – piccolo mammifero notturno diffuso nelle zone tropicali di Asia e Africa – viene tenuto in catene ed esibito anche al mercato perché con le bacche raccolte dai suoi escrementi si produce il Kopi Luwak, un caffè raro e costoso proprio perché ottenuto con questa pratica assurda. Anticamente si raccoglievano i semi di caffè dagli escrementi dello zibetto selvatico, ora si tiene in gabbia per produrne e venderne in maggiori quantità e i turisti vanno matti per questa specialità.
Noi, invece, abbiamo eletto a nostro ristorantino preferito il minuscolo – quattro tavoli – Pumpkin & Beetroot: specialità vegetariane e vegane. L'abbiamo scoperto per caso la prima sera, mentre cercavamo di allontanarci dalle vie più trafficate, ed è rimasto in cima alla classifica di Ubud perché ci siamo tornate spesso, anche dopo averne provati altri (di uno in particolare vi parlerò nei prossimi post). Ogni volta, abbiamo ordinato piatti diversi per scambiarceli e assaggiare tutto e non siamo mai rimaste deluse. Il personale è gentile e sorridente e tutto viene cucinato al momento, bisogna quindi pazientare per l'attesa, ma ne vale la pena. L'ambiente è pulito e tranquillo, alle pareti ci sono bellissimi affreschi con alberi e uccelli colorati e qui ci siamo concesse le prime birre della vacanza.

Per adesso mi fermo qui e vi regalo le prime foto di Ubud, ma la storia è appena cominciata.

lunedì 10 giugno 2019

Decompressione fallita


La mattina in cui abbiamo salutato il Kalimantan siamo atterrate a Jakarta dove, due ore dopo, avremmo preso un altro volo per Denpasar sull'isola di Bali per trascorrere un periodo intermedio tra la natura sfolgorante del Borneo e il grigiore delle città che ci aspettava a casa. Ci serviva qualche giorno spensierato per attutire l'impatto, un po' come la lenta risalita dei sub dagli abissi che si fermano per tappe di decompressione. 
Il brutto degli aeroporti internazionali, come quello di Jakarta, è che sono enormi e ci vuole tempo per spostarsi da un gate all'altro. Mentre aspettiamo i bagagli, chiediamo informazioni e scopriamo di dover cambiare terminal, ma c'è lo Skytrain, navetta gratuita su rotaia che collega i tre terminal con la stazione dei treni che vanno in città. Ci ha salvato la vita, evitandoci corse a perdifiato, anzi, ci è avanzato il tempo di pranzare. È vero, parlo sempre di cibo, ma guardate cos'ha ordinato Feddi: una montagna di sorbetto al melone con pezzi di mango!


Nel primo pomeriggio, atterriamo a Bali e ci sembra di essere arrivate su un altro pianeta. La personalità dell'isola, se le isole hanno una personalità, si avverte immediatamente perché l'aeroporto è decorato con fregi tipici dell'induismo locale e, cosa che ha molto colpito le mie compagne, perfino il parcheggio multipiano è abbellito da piante e fiori.
A parte la bella accoglienza, però, la decompressione comincia male, confermando la nostra sfortuna con i taxi: il tassista più lento del mondo sommato al traffico dei dintorni di Denpasar ci porta a destinazione nel doppio del tempo preventivato. Se non altro, è onesto sul prezzo e ci scarica nel posto giusto: all'ingresso di un vicolo di Ubud in fondo al quale si trova il nostro albergo. 
Avevo scelto un bed & breakfast con piscina per le giornate più calde, vicino al centro, ma abbastanza defilato da non risentire del traffico e della gente. Per essere tranquillo, il Suarsena Bungalows, è tranquillo e la posizione è ottima per girare Ubud a piedi, ma per il resto è un disastro. Tanto per cominciare, ci assegnano due stanze lontane tra loro, non solo su piani diversi, ma proprio in due edifici diversi. Chiedo subito al ragazzo in reception se è possibile avvicinarci, inventando mi che abbiamo i bagagli condivisi e dovremmo fare su e giù per le scale in continuazione. Mi assicura che il giorno dopo provvederà e, per il momento, ci accontentiamo.
Fra & Feddi, vista dalla piccionaia
Feddi e la Fra finiscono "in piccionaia", cioè una stanza nel sottotetto bollente che però ha una vista panoramica magnifica; Sonia e io, due piani più giù nella palazzina accanto, abbiamo una camera più fresca, ma manca l'acqua calda. Entrambe le stanze sono sporche, il letto di Sonia non è stato rifatto, la piscina non sarebbe male se non fosse a ridosso delle stanze e della reception in un cortiletto minuscolo, gli asciugamani sono ingrigiti (per fortuna avevamo i nostri), il personale è composto soprattutto da ragazzini ipnotizzati dagli smartphone che parlano a malapena inglese e sono quindi incapaci di rispondere alle nostre richieste (fargli capire che vogliamo lenzuola pulite è stato così faticoso che ero tentata di andarle a comprare), gli addetti alla reception sono sempre diversi e pare non si passino le informazioni così bisogna ricominciare da capo a spiegare cosa non va, infine, scopriremo il mattino dopo, la colazione è così scadente che la faremo fuori tutti i giorni. Non so proprio da dove vengano le recensioni positive che avevo letto su questo posto quando ho prenotato, credo sia stato lasciato andare col tempo perché la struttura in sé sarebbe anche bella, tipica balinese, basterebbe un po' di cura, manutenzione, pulizia per farne un buon albergo e magari formare un pochino lo staff in modo da dare un servizio decente, anziché sfruttare ragazzini che ti guardano perplessi quando chiedi un rotolo di carta igienica. 
Dunque, alloggio bocciato, tuttavia ci diciamo che dobbiamo soltanto dormirci e usciamo a passeggio per il centro. Sono impaziente di mostrare alle ragazze le vie che ho percorso tante volte e lo stile di vita che mi ha conquistata tra templi e risaie. Nei miei ricordi, Ubud era una cittadina affascinante e tranquilla, lontana dalle spiagge e dal turismo di massa, famosa per l'arte e l'artigianato, che conservava lo spirito tradizionale di Bali con le sue cerimonie indù e il mercato che convivevano in un'atmosfera serena. Era così la prima volta che ci sono stata nel 2010 ed era ancora così due anni fa l'ultima volta che l'ho lasciata, ma non lo è più e non mi aspettavo che Ubud avesse subito una tale trasformazione in poco tempo. Veniamo inghiottite da marciapiedi affollati e vie talmente trafficate che è un'impresa attraversarle perché, scopriamo, maggio è già periodo di alta stagione e i fatica a incontrare un balinese tra i turisti. Australiani, inglesi, francesi, americani, giovani, anziani, famiglie con bambini... Eccheè 'sto casino?
Cerco di portare le ragazze verso i luoghi che ricordavo belli, ma il caos rende irriconoscibili anche gli angoli più tipici. Non riesco a trovare un locale dove servano il caffè indonesiano perché ormai hanno installato tutti la macchina per l'espresso, dopotutto è quello che chiedono i turisti; i ristorantini che frequentavo sono stati sostituiti da cocktail bar alla moda e nei menù si trova pizza ovunque. Le usanze, le tradizioni, lo stile di vita rilassato che rendevano Ubud unica e interessante sono stati sacrificati in nome del turismo di massa. Se vuoi un espresso, te lo bevi al tuo paese: qui il caffè si fa in un altro modo! Altro che decompressione...
Sono delusa e mi intristisco pensando che non era questo che desideravo mostrare alle mie amiche e che non valeva per nulla la pena di lasciare il Kalimantan per quello che mi sembra un centro commerciale all'aperto. Che fine ha fatto la Bali autentica?
La risposta nei prossimi post e anche le foto, per non spoilerare.

martedì 4 giugno 2019

Cibo e altre piccole cose

Prima di passare alla seconda parte della vacanza sull'isola di Bali, vi diletto con un piccolo post che serve più a noi che a voi, per conservare alcuni dettagli che ci farà sorridere rileggere tra dieci anni.

Assalto alla dispensa
Ci chiamiamo Cavallette perché non lasciamo nulla in tavola al nostro passaggio e anche in Kalimantan abbiamo onorato la cucina. La cuoca della Rimba King, della quale purtroppo non abbiamo capito il nome, era una tenera donnina musulmana capace di stupirci a ogni pasto malgrado le restrizioni che le nostre diverse diete le hanno imposto. Nelle sue mani, il tofu diventava appetitoso, il tempeh croccante, le verdure insaporite da spezie misteriose che proprio da queste isole partivano per l'Europa su grandi velieri, facendo la fortuna dei mercanti e finanziando i grandi viaggi d'esplorazione, come quello di Magellano.
delizia di tofu
L'ora di pranzo era una festa e in tavola arrivavano sempre cinque o sei pietanze diverse, oltre all'immancabile riso bianco che sostituisce il nostro pane, e si concludeva con frutta fresca o un dessert sempre a base di frutta. A cena, invece, si cominciava con una scodella di zuppa calda, diversa ogni volta – strepitosa quella di mais – e poi arrivavano le portate principali. Durante la navigazione, ci servivano anche la merenda: noce di cocco da bere e poi scavare con il cucchiaio, banana fritta, caffè indonesiano, tè, arachidi, banana con scaglie di cocco. Una volta ho provato a ordinare in indonesiano, ma mi sono incasinata con i numeri così Eros e i ragazzi ridevano di me che non so contare fino a quattro. Alla fine, ho detto più o meno correttamente: «Tiga kopi e satu tè» e abbiamo avuto i nostri tre ottimi caffè e un tè per la Fra.
ingredienti grezzi
Anche nell'aspetto, i piatti erano spettacolari con tutti quei colori e i profumi irresistibili, spesso dimenticavamo di fotografarli prima di consumarli. Ho sempre amato la cucina indonesiana e avevo chiesto a Feddi, che tra le altre mille qualità è pure chef, di documentare tutto per ripropormelo a casa. Di una salsa particolarmente deliziosa, abbiamo chiesto la ricetta e la cuoca, non sapendoci elencare gli ingredienti in inglese, è scesa in cucina ed è tornata con le materie prime per mostrarcele: radici, spezie, erbe e verdure che lavorava a mano sul momento. Il segreto di un buon piatto sta sempre nella qualità degli ingredienti e nel saperli lavorare freschi. Aggiungete poi il piacere di gustarli sul ponte di un klotok che naviga tranquillo su un fiume circondato dalla giungla e la cortesia dei due timidi ragazzi che ce li servivano e restavano sempre un po' stupiti di trovare i piatti vuoti, praticamente lucidati, e impilati in bell'ordine quando sparecchiavano. Immaginavamo quello più cicciottello – che non ha voluto comparire nelle foto – che scendeva annunciando che, ancora una volta, «Han magnà tucc!» Insomma, durante la nostra permanenza, l'equipaggio è dimagrito, noi ingrassate!

la nostra fantastica cuoca

Un albero in più, anzi quattro
Abbiamo pagato l'intero soggiorno in Kalimantan prima di partire, in modo da non avere pensieri sul posto, ma non avevo capito che anche i quattro alberi piantati a Pesalat fossero compresi nel conto. Con le ragazze avevamo già messo da parte i soldi per pagarli, così li abbiamo dati lo stesso a Udin per quattro alberi in più. Siamo tornate a casa con otto alberi a nostro nome piantati nel Borneo, appena otto gocce nell'oceano della deforestazione, ma da qualche parte bisogna pur cominciare ed è bello pensare che forse, un giorno, quegli alberi daranno riparo e cibo agli animali della giungla. Un pezzo di noi che cresce laggiù ci fa sentire di ripagare un pochino la foresta per tutta la gioia che ci ha regalato.

Risate notturne
La notte in hotel a Pangkalan Bun è stata piena di pensieri che non ci facevano prender sonno anche se eravamo stanche. 
Io e Sonia condividevamo la camera e, rinfrescate da una bella doccia, ci siamo messe a letto. 
Dopo un po' che avevamo spento la luce, l'ho sentita ridere.
«Cazzo ridi nel sonno?»
«Mi è tornato in mente in ragazzo che scende con i piatti vuoti: han mangà tucc!»
Ridiamo come due sceme, poi ci imponiamo di dormire perché dovevamo alzarci prestissimo.
D'un tratto la stanza si illumina di luce azzurra, come se fossero arrivati gli alieni di Spielberg.
«Ma è il tuo cellulare?» mi domanda la Master.
L'avevo lasciato in carica sulla scrivania, acceso perché avevo impostato la sveglia, ma era rimasto connesso al wifi e all'arrivo di qualche messaggio si è illuminato.
«Sì, scusa» ho risposto alzandomi «Disattivo il wifi così non mi arrivano altri messaggi.»
Torno a letto e il display è ancora illuminato, resta così per qualche minuto e non accenna a spegnersi.
«Ecco» mi giustifico «Senza connessione la luce rimane accesa fissa.»
Scoppiamo a ridere di nuovo, finché la luce si affievolisce e infine scompare. Buonanotte, Kalimantan.

Ultima cosa
Al molo del lodge c'era questo cartello che non ho capito...




P.s. In questo album speciale ho raccolto tutti i filmati ripresi da Feddi.


domenica 2 giugno 2019

Incontri mancati e ringraziamenti dovuti

Nessuna di noi vuole andarsene. 
Per quanto ci manchino gli affetti di casa, desideriamo essere abbandonate nella giungla. Dobbiamo assolutamente tornare è diventato il mantra della giornata. Alla fine, però, abbiamo dovuto chiudere le valigie e restituire le chiavi delle nostre belle camere con vista sulla foresta.
L'appuntamento con la Rimba King al molo è alle 17.00 e, come sempre, siamo in anticipo perciò andiamo all'ufficio del lodge a comprare spille e cartoline, dando un altro piccolo contributo alla conservazione del parco. Lasciamo anche alla responsabile alcuni pacchetti di matite nuove che ci eravamo portate da casa perché li faccia avere ai bambini di qualche villaggio o a una scuola, da queste parti sono di certo più utili che nelle località turistiche.
Tornando verso il fiume, notiamo che l'ingresso del lodge è addobbato a festa e il personale in tenuta elegante.
Eros ci spiega che sta per arrivare un gruppo di americani ospiti di Biruté Galdikas.
«E c'è anche lei?» chiediamo eccitate «Biruté sta venendo qui?»
«Sì, ma non si sa bene a che ora.»
Ci pensate? Io che stringo la mano a Biruté Galdikas, macché, l'abbraccio senza vergogna! 
Ci siamo sedute sul molo ad aspettarla insieme agli altri. Intanto, i due ragazzi che in questi giorni si sono presi cura di noi servendoci i pasti in barca, aiutandoci a salire e scendere, porgendoci la mano per saltare da un ponte all'altro quando il nostro klotok si fermava in doppia fila ai piccoli moli sul fiume, stavano già imbarcando le nostre valigie.
I minuti passano a decine e, purtroppo, non si vede arrivare la barca di Biruté, ma non possiamo ritardare la partenza. Dovendo trascorrere l'ultima notte a Pangkalan Bun (il volo per Bali è la mattina presto) ci aspettano due ore di klotok fino a Kumai e poi una ventina di minuti in auto, quindi ci dispiace anche per l'equipaggio che deve accompagnarci. Niente, si vede che non era destino, questa volta.
Prendiamo posto nel nostro salottino di vimini sul ponte e navighiamo verso un tramonto che si fa sempre più spettacolare. A un certo punto incrociamo un klotok fermo dietro un'ansa e lo superiamo lentamente. Sul ponte c'è un gruppo di persone intorno a un grande tavolo e sulla sedia che ci dà le spalle c'è una donna che per corporatura, abbigliamento e capigliatura ci ricorda proprio Biruté. Che sia davvero lei con i suoi ospiti? Come d'abitudine tra due imbarcazioni che si incrociano, i passeggeri ci salutano, compresa la signora e noi ricambiamo. A vederla in viso mi sembra più giovane di Biruté, eppure mi resta il dubbio. Feddi ha ripreso il passaggio accanto alla barca, ma dura pochi istanti e non si vede bene. Poco dopo averli superati, Eros sale per dirci che quello era effettivamente il gruppo di ospiti atteso al lodge, ma che Biruté non era tra loro, anzi, sarebbe arrivata l'indomani. Non saprò mai se l'ha detto solo per consolarci sapendoci deluse per il mancato incontro, ma, nel caso quella signora fosse stata la leggendaria primatologa, almeno posso dire che ci ha salutato.
L'ultimo tramonto sulla nostra avventura in Kalimantan è meraviglioso, pieno di colori che fanno risaltare il profilo nero della giungla di cui siamo innamorate e che ci ha dato tanto da ricordare. Le nuvole prendono forme fantasiose e gli uccelli ci volano in mezzo, mentre il sole, nascosto dagli alberi, lancia pennellate di colori scintillanti per tutto il cielo. 


Spunta la luna e il buio avanza sul fiume avvolgendo la nostra barca. Sulle sponde, compaiono sciami di lucciole a illuminare la foresta come fosse un bosco di alberi di Natale. È tutto splendido, ma noi siamo un po' tristi perché stiamo andando via e continuiamo ripensare a quanto è bello ciò che abbiamo vissuto in questi giorni.
Alle sette l'oscurità è totale, ci sono solo i deboli fari del klotok a disegnare una striscia di luce sulla riva, seguendo le curve del fiume. Penso agli orangutan che a quest'ora stanno costruendo i nidi per la notte e mi torna in mente il racconto di Eros su come tutto sia collegato: le fronde strappate per fare i nidi lasciano passare la luce del sole attraverso l'ombrello della foresta ed è così che le piante più giovani e basse ricevono la luce necessaria a crescere. La natura pensa proprio a tutto, peccato che l'interferenza dell'uomo rischi di inceppare irrimediabilmente questo meccanismo perfetto.
Ci accorgiamo che andiamo incontro al mare perché vediamo mutare la vegetazione intorno a noi e il Sekonyer si allarga fino a spalancarsi nella baia di Kumai. Ci stiamo lasciando la giungla alle spalle e siamo ancora più tristi. Salutiamo gli alberi, la pioggia, le Nasica, le farfalle, i macachi, gli uccelli, i gatti, gli splendidi orangutan e già ne sentiamo la mancanza. Le nostre camere al lodge andranno a qualcun altro e invidio le mie scarpe che sono rimaste là.
All'imbocco della grande baia di Kumai le luci del paese in lontananza sono tutte in fila davanti a noi, ma ci accorgiamo che smettono di avvicinarsi.
«Siamo quasi arrivati, ma Eros aveva detto che avremmo cenato in barca o ricordo male?»
«Anch'io avevo capito così, però è tardi, forse ceneremo in hotel.»
Siamo sedute sulle nostre poltrone al buio e speriamo di non sbarcare mai, anzi, vorremmo invertire la rotta e tornare indietro, restare ancora un po' in paradiso. Da sotto non giungono né voci né rumori che ci diano un indizio, non capiamo bene se siamo fermi o andiamo pianissimo, il motore è al minimo. Prendo il quaderno dallo zaino, accendo la luce e mi metto al tavolo a trascrivere qualche pensiero, quando d'un tratto odo un suono familiare: «Ragazze, sento friggere!»
«Forse è la cena per loro.» L'equipaggio era in pieno Ramadan, dunque mangiava solo dopo il tramonto.
Confuse, ci raduniamo intorno alla tavola, aspettando che, finito di cenare, il capitano faccia rotta verso il paese e magari chiederemo l'ultimo caffè a bordo. Poi sentiamo l'inconfondibile: «Rumore di posate!» e finalmente Eros e i ragazzi arrivano dalla scala con i piatti in mano.
Sembravamo quattro vagabonde che non vedevano un pasto da mesi. Oh sì, la nostra ultima cena nel Borneo doveva essere in barca e ci è tornato il sorriso.
Più tardi, al molo privato da cui eravamo partite giorni prima, chiediamo di radunare un attimo l'equipaggio perché desideriamo ringraziare tutti per averci accompagnate in questa avventura con tante premure, ma senza mai essere invadenti. Il capitano, la cuoca e i due giovanissimi marinai erano sorpresi di essere inclusi nei ringraziamenti, evidentemente per i comuni turisti sono semplici comparse nel film della loro vacanza, mentre noi Cavallette siamo sempre attente a chi si prodiga per noi, ci imbarazza farci portare le valigie, aiutiamo a sparecchiare, arriviamo in anticipo per non farci attendere e ci piace mostrare che apprezziamo il loro lavoro. Eros è stato una buona guida, sempre sorridente, preparato quando gli facevamo domande e pronto quando avevamo qualche richiesta, ma non ci ha mai annoiate con lunghi spiegoni né ci ha costrette in un programma serrato, ha seguito i nostri ritmi e ci ha lasciato i nostri spazi. Abbiamo avuto un trattamento eccellente e tenevamo molto a dirglielo, consegnando a ognuno una busta con un messaggio e una piccola mancia. 
Sbarchiamo e i nostri bagagli vengono trasferiti su una monovolume con autista diretta all'hotel dove avevamo pranzato all'arrivo, un albergo di lusso dove, al solito, siamo le peggio vestite. La nostra guida ci scorta alla reception e sbriga le formalità per noi, gli chiediamo anche di farci avere un asciugacapelli, nella giungla non valeva la pena lavarseli, ma era giunto il momento di riprendere un aspetto decente. Scopriamo che Eros passerà la notte in città e verrà a prenderci il mattino dopo per accompagnarci in aeroporto, mentre credevamo di dover prendere un taxi: disponibile proprio dal primo all'ultimo istante. Ci affida al personale dell'hotel e ci dà appuntamento per le 6.30, sapendo che ci troverà pronte, come sempre.
Un fattorino, ci carica le valigie in ascensore e ci manda al terzo piano. Quando si aprono le porte, lo troviamo già lì: ma come diavolo ha fatto tre piani in cinque secondi? «Ma no, è un altro che gli somiglia» rispondo alle ragazze perché mi pare impossibile pure per Bolt, eppure sembra proprio lo stesso uomo. L'arcano si svelerà il mattino dopo quando, scendendo con la mia valigia, premo lo zero e mi trovo nel seminterrato in una sala per karaoke: l'ingresso al livello della strada è in realtà il secondo piano perché più in basso ci sono il giardino e il ristorante e ancora sotto il karaoke e il centro benessere. Allora sì, era lo stesso uomo che è salito di un piano soltanto.
Al piccolo aeroporto di Pangkalan Bun, salutiamo Eros e ci si spezza il cuore a prendere l'aereo che ci porterà via da questo paradiso. Selamat tinggal, arrivederci, meraviglioso Kalimantan!
Speriamo di essere state buone ospiti di Madre Natura e ce ne andiamo arricchite da tutti i suoi doni, comprese le persone gentili che ci hanno tenuto per mano attraverso questa indimenticabile esperienza. Lasciatemi anche dire che sono molto orgogliosa delle mie ragazze che l'hanno apprezzata pienamente e ci si sono immerse senza indugi o pregiudizi, senza mai lamentarsi del caldo o di fare pipì su una barca in movimento. Sono fortunata, ho delle amiche speciali: allegre, sensibili, generose, divertenti, curiose e intelligenti... come appare chiaro dalle loro espressioni in questa foto.




Come ha detto Feddi, lasciare la giungla è stato come svegliarsi da un bel sogno e poi scoprire che si poteva dormire ancora un po' perché eravamo dirette a Bali. Sapevamo che, dopo essere state così bene in mezzo alla natura, nessun altro luogo avrebbe retto il confronto, ma era sempre meglio che tornare a casa.
Qui trovate le ultime foto dal Kalimantan, ma il viaggio continua nei prossimi post.

giovedì 30 maggio 2019

Poesia della giungla



All'alba, un branco di Nasica è passato sopra le nostre teste e sui tetti del lodge, trovandoci già sveglie perché qui è talmente bello che quasi dispiace perderselo dormendo, eppure abbiamo dormito benissimo con la frescura della pioggia. Non potevamo immaginare un mattino più splendido: l'aria limpida, il cielo azzurro intenso decorato da nuvole bianche e il fiume. La pace delle prime ore del giorno, quando la giungla è già attiva, ma indisturbata dalle persone, è tutta da respirare. Passeggiamo in pigiama nei dintorni del lodge, seguendo scimmie e farfalle, e ovunque posiamo lo sguardo ci viene da sussurrare: «Che meraviglia!» e dico sussurrare perché è spontaneo, per chi è sensibile, inchinarsi davanti alla bellezza e usare il riguardo che meritano le cose preziose e fragili.
Dopo colazione, aspettiamo il klotok sul molo, godendoci la vista del fiume liscio e perfetto come uno specchio. Non servono parole, si sta lì a riempirsi gli occhi di stupore e a purificarsi l'anima con pensieri leggeri e profondi insieme, sperando di conservare il più a lungo possibile quell'incantevole sensazione di appagamento.


Ci imbarchiamo ancora una volta sulla nostra Rimba King, dove ormai ci sentiamo a casa al punto di girare scalze, e Sonia e Feddi si concedono anche un momento di yoga. Intorno al fiume, la vita è in fermento ed è un piacere catturarne i dettagli con lo sguardo e qualche foto.
Questa volta, Eros ci porta a Pondok Tangui, un'altra stazione di alimentazione dove Jungle Feddi, che la sera prima si guardava attorno terrorizzata dalle tarantole, si accuccia con noncuranza accanto al recinto che segna il limite di avvicinamento per i visitatori. Appena i ranger servono il pasto, gli alberi cominciano a muoversi ed è sempre emozionante intuire, ancor prima di vedere, l'arrivo degli orangutan. Il primo a banchettare è un maschio adulto, imponente, ma dall'aria placida, poi arrivano mamme e cuccioli. In questo gruppo c'è un piccolo vivace, curioso e un po' esibizionista che fa il bulletto con i più piccoli e ci guarda come se si aspettasse che lo divertiamo. Trovandoci noiosi, a un certo punto lascia la piattaforma e comincia a esercitarsi nell'arrampicata, passando di albero in albero sopra le nostre teste e proseguendo nei dintorni del sentiero. Non è ancora esperto e sicuro come gli adulti: fallisce qualche presa, rimane incastrato in un groviglio di rami, cerca la via migliore per tentativi.

Poi si ferma a fissare i nostri zainetti appoggiati alla panca e già immaginavo di dovergli lanciare una banana per farmeli restituire, ma quando Sonia, che era proprio sotto di lui, ha fatto un passo indietro per lasciargli spazio, il piccolo è risalito in cima all'albero. Avrà pensato che non valesse la pena abbassarsi al livello degli umani solo per curiosare in uno zaino. 
Sazia a sufficienza, una madre ha lasciato la piattaforma per tornare nella foresta col suo cucciolo, ma non ha preso il sentiero laterale come tutti gli altri, si è guardata intorno e ha deciso di passare per l'angolo del recinto dove stava accucciata la nostra Feddi. Credo che gli animali si fidino istintivamente di lei, ne ho avuto la prova più volte negli anni: dai gatti alle balene, dalle scimmie alle civette, tutte le creature del pianeta, per quanto selvatiche, la riconoscono e le si avvicinano senza timore, la scelgono tra le altre persone perché ne percepiscono la natura dolce e gentile. Lei, emozionata all'avvicinarsi della coppia, ma attenta a non infastidirli, non si è mossa e ha trattenuto il sorriso di gioia che le sarebbe venuto spontaneo perché per tutti gli animali, eccetto l'uomo, mostrare i denti è un gesto aggressivo; ha perfino distolto lo sguardo nel momento in cui mamma e cucciolo le sono passati accanto perché fissarli li avrebbe messi in allarme. In certi momenti bisogna saper rinunciare, il rispetto viene prima di tutto, e sono sicura che la dolce orangutan ha apprezzato la delicatezza, mentre qualsiasi altro turista avrebbe cercato di toccarli o li avrebbe intralciati per una foto. Ecco il filmato dello straordinario incontro.


Quando delle banane rimanevano ormai soltanto le bucce e gli orangutan erano svaniti per sentieri preclusi ai visitatori, si è presentato uno scoiattolo tricolore a ispezionare gli avanzi ed è giunta anche per noi l'ora di andare, camminando beate con i cuori carichi di nuovi splendidi ricordi.
La Rimba King ci portate lungo il fiume fino al molo di Pesalat, dove ci siamo fermati a pranzare e dei deliziosi piatti assaggiati in questi giorni vi parlerò in un post dedicato. 
Pesalat è un'area devastata da due grandi incendi alla fine degli anni novanta. Dal 2003 c'è un'associazione che si occupa di ripiantare gli alberi perduti e chiunque passi di qui può comprare il suo albero e piantarlo personalmente. Dopo una mezzora di cammino sulla passerella più scassata che abbiamo percorso - Eros ci ha raccomandato di restare al centro perché le assi potevano ribaltarsi di lato - siamo arrivati al vivaio dove il responsabile Udin ci ha raccontato del progetto, mentre da dietro la casetta che fa da ufficio sono spuntati due gatti tigrati, Lady e Crispy che si sono fatti coccolare e fotografare. Confermo quanto pensato della pantera al lodge: bella vita i gatti del Borneo. 
Udin ci ha mostrato le varie piante disponibili, tutte originarie del posto, e ce ne ha elencato le caratteristiche: quanto impiegano a crescere, la loro funzione nell'ecosistema della giungla, quali animali se ne cibano e quali vi trovano riparo, le proprietà del legno, delle foglie e dei frutti. Alla fine, ognuna di noi ha scelto il proprio albero e siamo andate a piantarlo. Accanto a ciascuna piantina, abbiamo sistemato un cartello con la data, il nome della pianta, il nostro nome e nazione. Tornando verso la radura dove ci aspettava Eros, mi sono messa a leggere i cartelli ai piedi degli altri alberi, felice che gente da ogni parte del mondo sia venuta qui a ridare vita alla foresta. Siamo rimaste a fare quattro chiacchiere con Udin e a coccolare i gatti. Ho scoperto che è il figlio del precedente responsabile che avevo conosciuto nel 2013, quando piantai il mio primo albero in Indonesia, lo stesso anno, una settimana dopo avrei coperto Alert grazie a Hari e nel 2017 sarei entrata a far parte dell'associazione. Tutto è cominciato proprio a Pesalat e ora ci sono tornata con le Cavallette.
Ripreso il fiume, Eros ci ha chiesto se eravamo stanche e volevamo tornare al lodge oppure ci andava di tornare ad Harapan, la stazione di alimentazione dove eravamo state il primo giorno, che tanto era "di strada". C'è da chiederlo?
Puoi tornare mille volte nello stesso punto della giungla e non lo troverai mai uguale, infatti, ci aspettava un'esperienza sorprendente. In anticipo sull'orario in cui i ranger riforniscono la piattaforma, ci siamo sedute sulle panchine soffrendo per il caldo e le zanzare che fini a quel momento non ci avevano mai infastidito. Sonia ha estratto dallo zainetto un ventaglio e l'abbiamo guardata con ammirazione: è proprio Master!  
D'un tratto, un possente maschio adulto è comparso nei pressi della piattaforma e, deluso che non fosse ancora apparecchiata, si diretto a grandi passi verso il pubblico, scavalcando una panchina e venendoci incontro per fermarsi appena prima del recinto. Io e le ragazze abbiamo cominciato ad allontanarci lentamente, trascinando via Jungle Feddi che ha un bizzarro senso del pericolo. Quando poi il grosso orangutan si è agitato di nuovo, salendo a gran velocità sui bassi rami proprio sopra le nostre teste, tutti i presenti sono scattati in piedi urlando e fuggendo verso il fondo della radura. Pessima reazione che avrebbe potuto irritare il bestione, fortunatamente insensibile all'isteria umana. Credo che la colpa sia stata anche delle guide che accompagnavano i vari gruppi, avrebbero dovuto far spostare la gente un po' prima, con calma, o almeno spiegare come comportarsi in presenza di un maschio importante non appena si è presentato alla piattaforma. Per fortuna, a lui interessavamo poco, è rimasto sul ramo a guardarci tanto per passare il tempo finché, all'arrivo dei ranger col cibo, è saltato giù ed è corso a mangiare. Sugli alberi nei dintorni, intanto, erano comparsi altri orangutan, ma sono rimasti in attesa, mentre quello che pareva il capo branco si scolava tutto il latte, poi si sono fatti avanti con cautela e, ottenendo il suo permesso, hanno partecipato al banchetto. Ci si è intrufolato perfino un macaco che pareva minuscolo in mezzo ai grossi cugini.
Di nuovo, arriva l'ora di lasciare la magia della giungla, dove la vita non segue le regole dell'uomo e, se da un lato la grandezza della natura, qui dove è libera di esplodere in tutte le sue forme, ci fa sentire piccoli e ignoranti, dall'altro ci accoglie con amore ricordandoci le nostre origini e che tutti abbiamo un posto nell'universo.
Col sole che cominciava a calare, siamo tornate al lodge per fare le valigie, molto a malincuore, tremendamente a malincuore, disperatamente a malincuore. Ma dell'ultima sera in Kalimantan vi parlerò nel prossimo post, per ora fermiamoci in questa stupenda giornata con le foto che la raccontano.

martedì 28 maggio 2019

Le gloriose


C'è una storia nella storia di questo viaggio che vi voglio raccontare per celebrare... un paio di scarpe.
Per le escursioni nella giungla, aspettandomi molta più pioggia di quanta ne abbiamo trovata, ho raccomandato alle ragazze di munirsi di scarpe adatte a camminate nel fango e ho portato con me i miei vecchi scarponi da trekking. Me ne sono lamentata tutto il tempo: troppo pesanti, ingombranti, calde. Finché, la mattina dell'ultimo giorno, le suole si sono aperte per ripicca, prima una e poi l'altra per solidarietà alla sua protesta.
Ho provato a ripararle con la colla che mi ha prestato Eros, camminando sulle punte perché facesse presa.

Non ha funzionato e ho capito che volevano andare in pensione. Dopotutto, hanno lavorato duramente ai miei piedi per anni e anni, per viaggi e viaggi, e quante avventure potrebbero raccontare dal loro punto di vista. Hanno percorso chilometri di strade, hanno scalato le dune del deserto del Sahara, si sono arrampicate su vulcani dalle Eolie alle Hawaii all'Indonesia, hanno guadato fiumi e attraversato foreste, camminato nella savana e su sentieri di montagna, sono passate dal caldo torrido al gelo della neve: queste scarpe hanno girato il mondo, proteggendomi fino alle caviglie senza mai lamentarsi.
Finché le suole si sono spalancate come bocche per dirmi: «Adesso basta! Noi ci fermiamo qui.» Così, le ho fotografate, salutate e lasciate al lodge perché meritavano una fine all'altezza del loro eccellente servizio, nell'ambiente per cui sono state fabbricate. E poi, chissà, qualcuno potrebbe ripararle e portarle a camminare dentro nuove storie.
Ciao, scarpe gloriose!



domenica 26 maggio 2019

Pioggia sulla giungla


Svegliarsi nella giungla con il suono e il profumo della pioggia è qualcosa di indimenticabile. Aprire la porta della stanza e vedere le piante che luccicano bagnate intorno a te ti fa sentire felice di essere al mondo, in quel luogo e in quel momento.
Dopo aver sofferto il caldo durante la notte perché ci rifiutiamo di sprecare l'energia dei pannelli solari per l'aria condizionata, la frescura portata dall'acquazzone ci ha riempite di energia.
La Rimba King ci aspettava al molo alle 7.30, ma ci siamo alzate prestissimo – la Fra era in piedi dalle cinque a esplorare i dintorni – per fare colazione con calma e anche perché la sera prima siamo vergognosamente crollate appena dopo le nove. D'altra parte, il ritmo naturale delle nostre giornate dovrebbe andare dall'alba al tramonto e non abbiamo fatto altro che ritrovare la sintonia con la natura, quell'equilibrio istintivo che la vita di città sconvolge. Ci siamo prese il tempo di goderci la pioggia passeggiando lungo le passerelle di legno che dalle camere arrivano al ristorante e di ritrovare il gatto-pantera passato a darci il buongiorno e ad alleviare la nostalgia dei nostri gatti di casa.
Ci siamo imbarcate puntuali dopo colazione e l'aria fresca si è fatta pungente quando la barca è partita, perciò Eros ci ha offerto delle coperte. Io, da brava anziana, ho molto apprezzato e mi ci sono avvolta nella mia poltrona di vimini, sentendomi la regina della foresta.
Anziché disturbarci, la pioggia ha reso il panorama ancor più suggestivo, in fondo è così che si presenta la giungla nei romanzi d'avventura. Ci siamo godute pienamente l'ora e mezza di navigazione mattutina immerse nella pace della natura, pensando anche all'importanza della pioggia per tutte le forme di vita che, qui sotto il cielo, la ricevono in regalo per dissetarsi e crescere. 


Lungo il percorso ci siamo fermati ad ammirare un grosso branco di scimmie Nasica che faceva colazione sugli alberi accanto al fiume. Queste scimmiette dal pelo bicolore, chiaro sul petto e rosso sul dorso, con il loro nasone per cui vengono anche chiamate scimmie con la proboscide e gli occhietti espressivi, sono abili acrobate e compiono salti spettacolari da un ramo all'altro perfino con i cuccioli stretti al ventre. Ripreso il viaggio, ci siamo inoltrati in un ramo minore del Sekonyer, che restringendosi per un lungo tratto prima di riaprirsi, ci ha fatte sentire ancor più avvolte dal verde delle piante e più vicine alla foresta.
L'acquazzone si è affievolito proprio quando siamo giunte a destinazione, sbarcando al molo di Camp Leakey. Di questo centro di ricerca e recupero degli orangutan salvati dal bracconaggio e da situazioni di cattività, vi ho già parlato altre volte, come della sua fondatrice Biruté Galdikas, per esempio qui. È un luogo dove ci si occupa di conoscere e proteggere le meraviglie che noi Cavallette siamo venute a osservare, quindi la visita è cominciata dal piccolo museo dove sono conservati alcuni cimeli del periodo in cui Biruté venne ad abitare in una capanna nella giungla per cominciare a studiare gli orangutan selvatici nel loro ambiente. Grazie all'interesse del mondo scientifico per la sua ricerca e l'arrivo di ulteriori finanziamenti (tra cui quello della National Geographic Society), quella capanna è diventata Camp Leakey e il parco circostante una riserva naturale protetta. Una sala del museo è dedicata agli alberi genealogici delle famiglie di orangutan dell'area e ai membri di ogni generazione vengono dati nomi con la stessa iniziale del nome dato alla madre. Abbiamo anche scoperto che, oltre ad avere quasi il 97% del DNA in comune, condividiamo con gli orangutan un altro curioso aspetto "sociale": mentre le femmine passano dall'adolescenza alla maturità, i maschi passano prima per una fase di sub-adulti. Vi lascio a considerazioni e battute che abbiamo fatto anche noi.
Ci sono poi fotografie, testi, statistiche sulla vita di questi bellissimi primati e sulla fragilità del loro habitat con la lista delle principali minacce: incendi (appiccati dai bracconieri per agevolare la caccia), deforestazione (causata dall'avanzare delle piantagioni di palma da olio e altre coltivazioni tutt'altro che sostenibili), mutamenti climatici che sconvolgono i cicli di crescita della foresta, la fioritura e la fruttificazione che sfama gli animali. Che il biglietto d'ingresso e una percentuale del nostro soggiorno al lodge contribuiscano a difendere questo ambiente è un piccolo aiuto, poi conta molto anche lo stile di vita che adottiamo a casa perché si possono far danni qui anche abitando a migliaia di chilometri di distanza: l'Europa è al terzo posto per consumo di olio di palma. Non ci costa nulla leggere le etichette sui prodotti che compriamo al supermercato e scegliere di evitare quelli che lo contengono, a volte celato sotto la dicitura “olio vegetale”, basta optare per altri oli, magari sostenendo gli uliveti nostrani preferendo olio d'oliva italiano, no?
Ma torniamo a Camp Leakey. Dopo il museo, ci siamo inoltrate per il sentiero che conduce al punto di alimentazione. Questa volta, c'erano più turisti il che, da un lato significa maggiori incassi per il centro, dall'altro maggior probabilità di incontrarne di maleducati. I cartelli di “fate silenzio!” sono ovunque, ma pare non abbiano effetto su certa gente che chiacchierava ad alta voce e rideva sguaiatamente, e stranamente non erano italiani, come quegli spettatori al cinema che devono commentare ogni scena. Abbiamo sentito una tranquilla coppia seduta accanto a noi dire: «Se vuoi lo zoo, vai a Berlino, non vieni qui.» E infatti non capivamo perché fare tanta strada se poi non rispetti il luogo dove sei ospite. 
Malgrado gli schiamazzi, a un certo punto si è mosso un albero alla nostra sinistra ed è comparso un gibbone. Splendido vederlo volteggiare di ramo in ramo, atletico e leggero come una ginnasta alle parallele, e presentarsi per primo al banchetto. Guardate i due filmati ripresi da Feddi.



Abbiamo visto muoversi le cime degli alberi in lontananza, segno che gli orangutan erano in arrivo, si agitavano fronde sempre più vicine e la nostra eccitazione cresceva. A differenza dei gibboni, gli orangutan hanno un'andatura più lenta e rilassata, una grazia insospettabile per la loro stazza. Quando si sono trovati tutti nei dintorni della piattaforma, è stato bello osservare le differenze nei loro movimenti e gesti, i loro atteggiamenti e rapporti. Per coglierli al meglio, Sonia ha estratto un piccolo binocolo e noi ci siamo stupite di quanto fosse attrezzata la nuova Cavalletta, d'altra parte ha più esperienza o, come ha esclamato la Fra, «Lei è Master!» 
Le foto non rendono minimamente giustizia alla bellezza né possono raccontarvi l'emozione di quei momenti, ma provate a immaginare o prendete un aereo e andate a vedere con i vostri occhi e i vostri cuori. 
Peccato che non si possa rimanere più di due ore, ma è anche giusto limitare la presenza di turisti. Tornando al molo lungo la classica passerella di legno che unisce gli attracchi fluviali alla foresta, ci siamo imbattute in un ranger che ci avvisava che poco più avanti stava passando una madre con il piccolo, perciò dovevamo fermarci e fare silenzio finché non se ne fossero andati. Non abbiamo osato nemmeno fotografare per non infastidire la mamma orangutan, una foto in meno non è importante, trovarsi lì, invece, è stato fantastico e nessuno ce ne toglie il ricordo. Alle nostre spalle, è arrivato il gruppo rumoroso, ma per fortuna c'eravamo noi a ostruirgli la strada ed è andato tutto liscio. I maleducati, però, hanno ricevuto una lezione direttamente dagli abitanti della giungla: al molo si erano riuniti alcuni macachi - anche una mamma con un minuscolo cucciolo - famosi per essere dispettosi e ladri, infatti, quando il klotok dei rumorosi turisti si è avvicinato per imbarcarli, una scimmietta è saltata sul ponte come un fulmine, fuggendo con un pacchetto di patatine lasciato incautamente aperto e incustodito.
Ripreso il fiume è ricominciata anche la pioggia e poco dopo ci siamo fermati a pranzare in un punto abbastanza largo da lasciar passare altre imbarcazioni. I piatti erano talmente deliziosi che abbiamo voluto conoscere la cuoca per farle i complimenti. Ho chiesto a Feddi di fotografare tutto e segnarsi le ricette per cucinarmele a casa.
Il programma prevedeva una passeggiata "notturna", intorno alle 18.30, in un altro punto della foresta nella speranza di avvistare gli animali che tipicamente escono dalle tane con il buio, come il Tarsio e il Lori Lento, piccolissimi primati dai grandi occhi. In attesa del tramonto, abbiamo proseguito navigando lentamente, chiacchierando e guardandoci intorno.
Osservando il paesaggio la nostra vista si abituava a scorgere uccelli e scimmie tra gli alberi, notando movimenti e fruscii che prima ci sfuggivano e ora ci erano familiari, come se pochi giorni nella giungla fossero sufficienti a far riemergere sensi perduti, innati e istintivi, ma accantonati in un angolo del cervello perché inutili nelle città in cui viviamo. Un tempo era fondamentale riconoscere i segni della presenza di un animale, orientarsi con le stelle, prevedere una tempesta, conoscere la terra con i suoi frutti e i suoi pericoli; oggi, tra noi e la natura, c'è una grande distanza, grande quanto procurarsi l'acqua aprendo semplicemente un rubinetto anziché seguire il rumore di un torrente attraverso il folto della foresta fino a raggiungerne la riva. Le comodità e la tecnologia a cui siamo abituati di certo ci hanno reso la vita più facile, ma ci hanno anche privato di qualcosa e, quando ci troviamo immersi in ambienti come questo, dove non c'è nulla di ciò che abbiamo a casa, ci accorgiamo che non ci serve nulla, che apparteniamo anche alla foresta per nostra antica natura e la sensazione è proprio quella di riscoprire le proprie origini, che affondano nella natura selvaggia come le radici di questi magnifici alberi affondano nel terreno.
L'alternarsi di pioggia e sole ci ha regalato un tramonto rosso fuoco, poi ci siamo incamminate per questo "safari notturno" in compagnia di Eros e di un ranger. Con le torce si illuminavano i dintorni sperando di cogliere il riflesso degli occhi di qualche animale notturno, ma per tutto il sentiero non abbiamo avvistato altro che ragni, l'incubo di Feddi, eravamo circondate da nidi di tarantola e l'unica cosa carina che abbiamo visto è stata un uccellino verde.
Sulla via del ritorno al lodge, ormai nell'oscurità totale, ci siamo riscaldate con un buon caffè all'indonesiana che però tremava tutto al ritmo del motore. Ve lo mostro in questo filmato che non sono riuscita a raddrizzare, ruotate voi lo schermo del computer, per favore.


La giornata si è conclusa con una doccia, anche se abbiamo rinunciato a lavarci i capelli perché è impossibile asciugarli e comunque dopo cinque secondi si suda di nuovo, e una splendida dormita nella quiete della giungla rinfrescata dai temporali.

Presto un'altra puntata della nostra avventura, intanto godetevi il secondo album di foto.


giovedì 23 maggio 2019

L'abbraccio della natura



Mentre ci si avvicina in volo all'isola del Borneo, saltano all'occhio due cose: il verde smeraldo della giungla e la vastità dei danni della deforestazione che avanza a grandi morsi divorando la bellezza per far posto a soldi – intascati da imprenditori stranieri, non certo dalla popolazione locale – e desolazione. La missione delle Cavallette era ammirare quanto di bello resiste ancora e dare il nostro piccolo contributo alla sua protezione.

Nel minuscolo aeroporto di Pangkalan Bun, si scende dall'aereo come fosse un autobus e si raggiunge il terminal a piedi per ritirare i bagagli all'unico nastro trasportatore. Dopo essere passate per i grandi scali internazionali, l'impressione era di trovarsi nella stazione di un paesino di campagna, cosa che ci ha fatto molto piacere perché non amiamo la folla e il caos.
Ad accoglierci fuori, insieme all'aria calda e umida dei tropici, c'era la guida che ci avrebbe accompagnate per i giorni successivi: Eros. Presentandosi con il tipico sorriso cordiale della gente di qui, ha subito specificato: «Ma non Ramazzotti!» Allegro ed entusiasta del suo lavoro, ci ha fatto immediatamente sentire a nostro agio.
Ci ha portate a pranzo in un bell'hotel di Pangkalan Bun e abbiamo parlato un po' di noi e del nostro soggiorno, cosa ci interessava fare e vedere, cominciando da quel pomeriggio. Il Rimba Ecolodge dove avremmo alloggiato si trova sul fiume Sekonyer, ma lungo il tragitto saremmo passati per Tanjung Harapan – uno dei punti dove i ranger del parco nazionale due volte al giorno portano cibo per gli orangutan che, reintegrati nella foresta dopo il recupero da situazioni di cattività, non sono ancora in grado di procurarselo in natura ed è dunque possibile osservarli – intorno alle tre, giusto in tempo per assistere al pasto dei nostri cugini pelosi, quindi Eros ci ha chiesto se avessimo voglia di fermarci là prima di andare al lodge. Ovviamente, sì!

Così, dopo pranzo, abbiamo raggiunto un piccolo molo privato nel porto di Kumai, cittadina che si affaccia sull'omonima baia, dove il fiume sfocia in mare e acqua dolce e salata si mescolano nelle maree. Lì ci attendeva la Rimba King, una tipica imbarcazione locale chiamata klotok che sarebbe diventata la nostra seconda casa. Quando ero stata in Kalimantan la prima volta nel 2013, avevo viaggiato sulla Rimba Princess e Eros mi ha raccontato che ora giace dismessa vicino al lodge perché ha avuto un incidente con un paletto sommerso e ha rischiato di affondare, dunque il Re della giungla (Rimba significa appunto giungla in indonesiano) ha sostituito la sfortunata Principessa.
Ci siamo accomodate nel salottino sul ponte e ci siamo godute le due ore di navigazione risalendo il fiume, ammirando il paesaggio e lasciandoci rinfrescare dalla brezza. Intanto Eros, da buona guida, ci ha dato qualche informazione su quello che ci circondava. Kumai significa vieni qui ed è il nome che l'antico insediamento ha preso quando un gruppo di uomini provenienti dalla vicina isola di Sulawesi è sbarcato in Borneo. Esplorando la zona che stavamo attraversando anche noi, uno degli uomini si è perso e i suoi compagni l'hanno guidato al campo gridando «Vieni qui!», così la futura cittadina ha preso questo nome. Il fiume Sekonyer, invece, ha cambiato nome sotto la dominazione olandese, mentre prima si chiamava fiume dei coccodrilli perché vi abitano sia quelli di mare, più grossi, che quelli d'acqua dolce dal muso sottile e allungato.
Il punto in cui dalla larga baia si entra nel fiume segna anche l'inizio, sulla sponda destra, del parco nazionale Tanjung Puting, dimora di orangutan e tanti altri animali e uccelli straordinari che sembrano usciti da un libro di fiabe esotiche. Mentre contemplavamo il panorama meravigliate, Eros ci ha fatto notare come, allontanandosi dall'acqua salata, muti anche la vegetazione sulle rive: prima una specie di palma le cui lunghe foglie formano una foltissima selva, poi prevale l'acqua dolce e compaiono gli alberi e il tipico sottobosco della giungla. Dopo averci raccontato tutte queste cose, Eros è sceso di sotto con il resto dell'equipaggio – il capitano, due giovani marinai e la cuoca – e ci ha lasciate a osservare tutto in silenzio, perché al cospetto di tanta meraviglia viene spontaneo abbassare la voce per non disturbare e perfino tacere per lasciare liberi pensieri e sensazioni. Dopo un po', si ignora anche il sottofondo del motore della barca e io già fantasticavo di andare a vivere su un klotok elettrico completamente silenzioso alimentato da pannelli solari sul tetto.

Non trovo proprio le parole per spiegarvi come ci si sente a navigare sotto quel cielo e, man mano che il fiume si restringe, avvertire l'abbraccio della natura con i suoi profumi, i movimenti sfuggenti di uccelli e scimmie tra i rami, i versi, i canti, i richiami, il riflesso della foresta e delle nuvole nell'acqua.
Attraversando questo sogno a occhi aperti, siamo approdate al molo di Tanjung Harapan e, con una breve camminata tra alberi maestosi, piante medicinali e orchidee aggrappate ai tronchi, abbiamo raggiunto la stazione di alimentazione per gli orangutan: una piattaforma di legno sulla quale i ranger preparano cumuli di banane e poi lanciano un richiamo per avvertire gli animali che lo spuntino è servito. Nella radura antistante, sono allineate alcune panche circondate da un recinto per impedire ai visitatori di disturbare gli animali perché non bisogna mai dimenticare che siamo ospiti a casa loro e, lo sanno tutti, noi umani siamo gli ospiti più maleducati e irrispettosi del pianeta.
Nei due giorni precedenti c'erano state forti piogge e gli orangutan non si erano presentati agli appuntamenti, preferendo rimanere al riparo nei loro nidi di foglie. Per nostra fortuna, il tempo è migliorato e al banchetto sono arrivate diverse mamme con i cuccioli bisognose di rifocillarsi per la fatiche dell'allattamento. L'emozione di vederle a pochi metri da noi è stata enorme. Siamo rimaste incantate dalla delicatezza dei loro movimenti, dall'espressività dei loro volti, sguardi, gesti reciproci.
Il bello di questi momenti è proprio osservare le interazioni tra i vari individui: l'attenzione e la prudenza delle mamme, un po' diffidenti tra loro e sempre all'erta; la curiosità dei piccoli, ma anche la loro insicurezza per cui al minimo disagio si rifugiavano tra le braccia della madre, aggrappandosi saldamente alla pelliccia, e poi allungavano le manine in cerca di un pezzo di banana abilmente sbucciata dagli adulti. Andavano e venivano arrampicandosi sugli alberi e passando con eleganza da un ramo all'altro, sapendo esattamente quali afferrare e fino a che punto lasciare che si piegassero sotto il loro peso per raggiungere l'albero successivo, niente salti o acrobazie, ma una danza fluida e precisa. 

Terminato il tempo di visita, siamo tornate alla barca piene di emozione e felici che fosse soltanto la prima di molte.
Il lodge sorge a dieci minuti di navigazione sulla riva opposta del fiume ed è composto di diverse palafitte di legno perfettamente mimetizzate nella giungla collegate da lunghe passerelle che si snodano sopra un terreno bagnato dal fiume e intorno a grandi alberi, piante e fiori. Eros ci ha dato appuntamento dopo cena per programmare la giornata successiva e ci ha lasciato il resto del pomeriggio libero. Alla reception ci hanno accolte con un succo di frutta e ci hanno assegnato due camere attigue bellissime, tutte in legno come capanne e con veranda sulla foresta.
È un piacere starsene sedute lì fuori, all'ombra di grandi alberi, a osservare in silenzio la vita fatta di foglie grandi come ombrelli o piccole e affilate come punte di freccia, e poi fiori colorati che si chiudono la sera e spalancano i petali al mattino colorando l'inizio di un nuovo giorno, e farfalle, ranocchie, serpentelli, lucertole mimetiche e più su, verso la cima degli alberi, branchi di scimmie Nasica che passano così veloci da un ramo a un tetto a un altro ramo che sembrano volare, e ancora più su magnifici uccelli che planano nell'aria calda, e quando ci sorprende qualche scroscio di pioggia il suono delle gocce che esplodono sulle foglie diventa una magnifica sinfonia capace di escludere perfino il rumore dei pensieri.
Mi basta già questa vista per commuovermi e riempirmi della verde serenità che a casa mi manca. È stato bello trovare negli occhi delle mie amiche la stessa ispirazione e se avevo qualche dubbio che, fiaccate dall'afa, infastidite dagli abiti fradici di sudore e dalle punture di qualche insetto, dal meteo incerto, non avrebbero apprezzato l'esperienza, mi sono immediatamente ricreduta: il fascino magico della giungla ha stregato subito anche loro.
Prima di cena, siamo passate all'ufficio del lodge per comprare qualche minuto di connessione internet satellitare – l'impianto è stato installato da poco e nella brochure che abbiamo trovato in camera era scritto che per recuperare i costi al momento ne facevano pagare l'utilizzo – ma ci ha accolte il responsabile del lodge spiegandoci che gli ospiti non pagano, soltanto clienti esterni del ristorante o chi passa appositamente per approfittare dell'unica connessione in mezzo alla giungla, ci avrebbe quindi fatto avere gli accessi più tardi. Ci ha anche regalato quattro bellissime borracce con il logo di Ecolodges Indonesia da riempire gratuitamente al ristorante o sulla barca. Insomma, eravamo andate per pagare e siamo tornate con dei regali.
La cena era deliziosa e abbondante, preparata secondo le nostre richieste per due vegane, una vegetariana e un'onnivora con i prodotti locali e servita nel tranquillo e accogliente ristorante da una minuta cameriera dal sorriso dolce. A fine pasto, ci ha raggiunte Eros offrendoci diverse opzioni su come trascorrere le nostre giornate nella giungla e consigliandoci come organizzarle tenendo conto degli spostamenti in klotok. Scelto il programma per l'indomani, stavamo per andare a nanna, quando un gatto nero come una pantera, giovane e dal pelo lucente ha fatto il suo ingresso in sala miagolando in cerca di attenzione. Il suo istinto felino l'ha fatto saltare in braccio alla regina delle gattare, la
Feddi, che l'ha adottato all'istante e, per deformazione professionale, l'ha esaminato trovandolo in gran forma. Il micio-pantera ci ha seguite in veranda dove si è fatto fotografare come una star e coccolare con la fiducia di chi è abituato a esser trattato bene.
Alla fine di una giornata densa di emozioni, dopo una doccia rinfrescante e con il buio che cala alle sei, alle nove ci pareva mezzanotte e siamo andate a letto.
Finisce così il primo racconto dal Kalimantan, con i fiori che si chiudono e le luci che si spengono, con la gioia di aver ben speso queste ore delle nostre vite e l'eccitazione per le altre meraviglie che ci attendevano al risveglio.

Per voi, l'album delle prime foto.