domenica 2 giugno 2019

Incontri mancati e ringraziamenti dovuti

Nessuna di noi vuole andarsene. 
Per quanto ci manchino gli affetti di casa, desideriamo essere abbandonate nella giungla. Dobbiamo assolutamente tornare è diventato il mantra della giornata. Alla fine, però, abbiamo dovuto chiudere le valigie e restituire le chiavi delle nostre belle camere con vista sulla foresta.
L'appuntamento con la Rimba King al molo è alle 17.00 e, come sempre, siamo in anticipo perciò andiamo all'ufficio del lodge a comprare spille e cartoline, dando un altro piccolo contributo alla conservazione del parco. Lasciamo anche alla responsabile alcuni pacchetti di matite nuove che ci eravamo portate da casa perché li faccia avere ai bambini di qualche villaggio o a una scuola, da queste parti sono di certo più utili che nelle località turistiche.
Tornando verso il fiume, notiamo che l'ingresso del lodge è addobbato a festa e il personale in tenuta elegante.
Eros ci spiega che sta per arrivare un gruppo di americani ospiti di Biruté Galdikas.
«E c'è anche lei?» chiediamo eccitate «Biruté sta venendo qui?»
«Sì, ma non si sa bene a che ora.»
Ci pensate? Io che stringo la mano a Biruté Galdikas, macché, l'abbraccio senza vergogna! 
Ci siamo sedute sul molo ad aspettarla insieme agli altri. Intanto, i due ragazzi che in questi giorni si sono presi cura di noi servendoci i pasti in barca, aiutandoci a salire e scendere, porgendoci la mano per saltare da un ponte all'altro quando il nostro klotok si fermava in doppia fila ai piccoli moli sul fiume, stavano già imbarcando le nostre valigie.
I minuti passano a decine e, purtroppo, non si vede arrivare la barca di Biruté, ma non possiamo ritardare la partenza. Dovendo trascorrere l'ultima notte a Pangkalan Bun (il volo per Bali è la mattina presto) ci aspettano due ore di klotok fino a Kumai e poi una ventina di minuti in auto, quindi ci dispiace anche per l'equipaggio che deve accompagnarci. Niente, si vede che non era destino, questa volta.
Prendiamo posto nel nostro salottino di vimini sul ponte e navighiamo verso un tramonto che si fa sempre più spettacolare. A un certo punto incrociamo un klotok fermo dietro un'ansa e lo superiamo lentamente. Sul ponte c'è un gruppo di persone intorno a un grande tavolo e sulla sedia che ci dà le spalle c'è una donna che per corporatura, abbigliamento e capigliatura ci ricorda proprio Biruté. Che sia davvero lei con i suoi ospiti? Come d'abitudine tra due imbarcazioni che si incrociano, i passeggeri ci salutano, compresa la signora e noi ricambiamo. A vederla in viso mi sembra più giovane di Biruté, eppure mi resta il dubbio. Feddi ha ripreso il passaggio accanto alla barca, ma dura pochi istanti e non si vede bene. Poco dopo averli superati, Eros sale per dirci che quello era effettivamente il gruppo di ospiti atteso al lodge, ma che Biruté non era tra loro, anzi, sarebbe arrivata l'indomani. Non saprò mai se l'ha detto solo per consolarci sapendoci deluse per il mancato incontro, ma, nel caso quella signora fosse stata la leggendaria primatologa, almeno posso dire che ci ha salutato.
L'ultimo tramonto sulla nostra avventura in Kalimantan è meraviglioso, pieno di colori che fanno risaltare il profilo nero della giungla di cui siamo innamorate e che ci ha dato tanto da ricordare. Le nuvole prendono forme fantasiose e gli uccelli ci volano in mezzo, mentre il sole, nascosto dagli alberi, lancia pennellate di colori scintillanti per tutto il cielo. 


Spunta la luna e il buio avanza sul fiume avvolgendo la nostra barca. Sulle sponde, compaiono sciami di lucciole a illuminare la foresta come fosse un bosco di alberi di Natale. È tutto splendido, ma noi siamo un po' tristi perché stiamo andando via e continuiamo ripensare a quanto è bello ciò che abbiamo vissuto in questi giorni.
Alle sette l'oscurità è totale, ci sono solo i deboli fari del klotok a disegnare una striscia di luce sulla riva, seguendo le curve del fiume. Penso agli orangutan che a quest'ora stanno costruendo i nidi per la notte e mi torna in mente il racconto di Eros su come tutto sia collegato: le fronde strappate per fare i nidi lasciano passare la luce del sole attraverso l'ombrello della foresta ed è così che le piante più giovani e basse ricevono la luce necessaria a crescere. La natura pensa proprio a tutto, peccato che l'interferenza dell'uomo rischi di inceppare irrimediabilmente questo meccanismo perfetto.
Ci accorgiamo che andiamo incontro al mare perché vediamo mutare la vegetazione intorno a noi e il Sekonyer si allarga fino a spalancarsi nella baia di Kumai. Ci stiamo lasciando la giungla alle spalle e siamo ancora più tristi. Salutiamo gli alberi, la pioggia, le Nasica, le farfalle, i macachi, gli uccelli, i gatti, gli splendidi orangutan e già ne sentiamo la mancanza. Le nostre camere al lodge andranno a qualcun altro e invidio le mie scarpe che sono rimaste là.
All'imbocco della grande baia di Kumai le luci del paese in lontananza sono tutte in fila davanti a noi, ma ci accorgiamo che smettono di avvicinarsi.
«Siamo quasi arrivati, ma Eros aveva detto che avremmo cenato in barca o ricordo male?»
«Anch'io avevo capito così, però è tardi, forse ceneremo in hotel.»
Siamo sedute sulle nostre poltrone al buio e speriamo di non sbarcare mai, anzi, vorremmo invertire la rotta e tornare indietro, restare ancora un po' in paradiso. Da sotto non giungono né voci né rumori che ci diano un indizio, non capiamo bene se siamo fermi o andiamo pianissimo, il motore è al minimo. Prendo il quaderno dallo zaino, accendo la luce e mi metto al tavolo a trascrivere qualche pensiero, quando d'un tratto odo un suono familiare: «Ragazze, sento friggere!»
«Forse è la cena per loro.» L'equipaggio era in pieno Ramadan, dunque mangiava solo dopo il tramonto.
Confuse, ci raduniamo intorno alla tavola, aspettando che, finito di cenare, il capitano faccia rotta verso il paese e magari chiederemo l'ultimo caffè a bordo. Poi sentiamo l'inconfondibile: «Rumore di posate!» e finalmente Eros e i ragazzi arrivano dalla scala con i piatti in mano.
Sembravamo quattro vagabonde che non vedevano un pasto da mesi. Oh sì, la nostra ultima cena nel Borneo doveva essere in barca e ci è tornato il sorriso.
Più tardi, al molo privato da cui eravamo partite giorni prima, chiediamo di radunare un attimo l'equipaggio perché desideriamo ringraziare tutti per averci accompagnate in questa avventura con tante premure, ma senza mai essere invadenti. Il capitano, la cuoca e i due giovanissimi marinai erano sorpresi di essere inclusi nei ringraziamenti, evidentemente per i comuni turisti sono semplici comparse nel film della loro vacanza, mentre noi Cavallette siamo sempre attente a chi si prodiga per noi, ci imbarazza farci portare le valigie, aiutiamo a sparecchiare, arriviamo in anticipo per non farci attendere e ci piace mostrare che apprezziamo il loro lavoro. Eros è stato una buona guida, sempre sorridente, preparato quando gli facevamo domande e pronto quando avevamo qualche richiesta, ma non ci ha mai annoiate con lunghi spiegoni né ci ha costrette in un programma serrato, ha seguito i nostri ritmi e ci ha lasciato i nostri spazi. Abbiamo avuto un trattamento eccellente e tenevamo molto a dirglielo, consegnando a ognuno una busta con un messaggio e una piccola mancia. 
Sbarchiamo e i nostri bagagli vengono trasferiti su una monovolume con autista diretta all'hotel dove avevamo pranzato all'arrivo, un albergo di lusso dove, al solito, siamo le peggio vestite. La nostra guida ci scorta alla reception e sbriga le formalità per noi, gli chiediamo anche di farci avere un asciugacapelli, nella giungla non valeva la pena lavarseli, ma era giunto il momento di riprendere un aspetto decente. Scopriamo che Eros passerà la notte in città e verrà a prenderci il mattino dopo per accompagnarci in aeroporto, mentre credevamo di dover prendere un taxi: disponibile proprio dal primo all'ultimo istante. Ci affida al personale dell'hotel e ci dà appuntamento per le 6.30, sapendo che ci troverà pronte, come sempre.
Un fattorino, ci carica le valigie in ascensore e ci manda al terzo piano. Quando si aprono le porte, lo troviamo già lì: ma come diavolo ha fatto tre piani in cinque secondi? «Ma no, è un altro che gli somiglia» rispondo alle ragazze perché mi pare impossibile pure per Bolt, eppure sembra proprio lo stesso uomo. L'arcano si svelerà il mattino dopo quando, scendendo con la mia valigia, premo lo zero e mi trovo nel seminterrato in una sala per karaoke: l'ingresso al livello della strada è in realtà il secondo piano perché più in basso ci sono il giardino e il ristorante e ancora sotto il karaoke e il centro benessere. Allora sì, era lo stesso uomo che è salito di un piano soltanto.
Al piccolo aeroporto di Pangkalan Bun, salutiamo Eros e ci si spezza il cuore a prendere l'aereo che ci porterà via da questo paradiso. Selamat tinggal, arrivederci, meraviglioso Kalimantan!
Speriamo di essere state buone ospiti di Madre Natura e ce ne andiamo arricchite da tutti i suoi doni, comprese le persone gentili che ci hanno tenuto per mano attraverso questa indimenticabile esperienza. Lasciatemi anche dire che sono molto orgogliosa delle mie ragazze che l'hanno apprezzata pienamente e ci si sono immerse senza indugi o pregiudizi, senza mai lamentarsi del caldo o di fare pipì su una barca in movimento. Sono fortunata, ho delle amiche speciali: allegre, sensibili, generose, divertenti, curiose e intelligenti... come appare chiaro dalle loro espressioni in questa foto.




Come ha detto Feddi, lasciare la giungla è stato come svegliarsi da un bel sogno e poi scoprire che si poteva dormire ancora un po' perché eravamo dirette a Bali. Sapevamo che, dopo essere state così bene in mezzo alla natura, nessun altro luogo avrebbe retto il confronto, ma era sempre meglio che tornare a casa.
Qui trovate le ultime foto dal Kalimantan, ma il viaggio continua nei prossimi post.

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