Eccoci tornati a Bali dopo giorni senza internet tra le splendide montagne dell'isola di Flores. Domani pubblicherò i link agli album fotografici dall'inizio a qui, ma per ora vi lascio al diario dell'avventura al vulcano Kelimutu e dintorni.
Dal minuscolo aeroporto di Labuan Bajo (ci sta tutto in una foto) siamo ripartiti alla volta di Ende con solo tre ore di ritardo per un volo di 40 minuti. L’Indonesia è così, ormai lo sappiamo.
Mentre aspettiamo che il nostro aereo sia pronto, incontriamo Bodhi, un signore australiano simpaticissimo che Marco ha conosciuto quando era a Bali da solo. L’australiano è molto amico del proprietario della piccola catena di ecolodge sparsi per l’Indonesia che trovate su questo sito così ne sta visitando alcuni. Quando lo incontriamo in partenza da Labuab Bajo sta andando a Moni all’ecolodge Kelimutu come noi e siccome lui è un ospite di riguardo c’è un’auto che lo aspetta all’aeroporto di Ende. Noi pensavamo di prendere l’autobus rassegnati a due ore di tornanti infernali, ma Bodhi ci offre di dividere il passaggio con lui. Evviva! L’accompagnatore di Bodhi ci dice che in montagna, a Moni (Ende è sul mare), fa freddissimo, ci sono soltanto 25 gradi!
Già sulla strada per il villaggio cominciamo ad apprezzare questa parte dell’isola di Flores. Appena usciti da Ende ci si trova immersi in una giungla lussureggiante a tratti sostituita da risaie, coltivazioni di varie verdure e alberi da frutto, tantissima frutta che era quasi introvabile a Labuan Bajo (per comprare un caschetto di banane abbiamo girato mezza giornata e alla fine l’abbiamo trovato al mercato del pesce alla fine del paese). Il cielo è nuvoloso, piove spesso. Questa abbondanza d’acqua insieme alla ricchezza del terreno vulcanico rendono questa zona verdissima, piena di fiori, frutta e verdura.
L’ecolodge si trova poco fuori da Moni ed è davvero bello. Il nostro bungalow con vista sul giardino e sul fiume è davvero elegante e ha il bagno semi aperto sulla giungla, come due anni fa a Bukit Lawang (anche se qui c’è una doccia vera e non la canna di bambù). È bellissimo farsi la doccia guardando la foresta oltre il muretto. Costa più delle nostre abituali sistemazioni, ma aiuta sapere che questi soldi sono spesi in una struttura che rispetta l’ambiente, usa energia pulita e dà lavoro alla gente del posto. Costosa è anche l’escursione al vulcano Kelimutu che decidiamo di condividere con Bodhi. All’inizio abbiamo cercato un’alternativa in paese. Volevamo contrattare un passaggio fino all’ingresso del parco per poi procedere per conto nostro visto che, dai racconti di chi l’ha fatto, il percorso sembra semplice. A Moni però ci imbattiamo in un personaggio all’inizio simpatico che ci invita al suo ristorante (invito rifiutato perché avevamo già ordinato la cena al lodge), allora il tizio si improvvisa guida turistica e cerca di convincerci a lasciargli un acconto per il passaggio al parco nazionale. Non ci piace decidere in fretta e per la strada quindi gli diciamo che gli faremo sapere, ma non riusciamo a scrollarcelo di dosso. Se poteva all’inizio avere una possibilità, la sua insistenza ci ha poi convinto a scegliere l’escursione del lodge (ancora non sappiamo quanto ci sia costata perché finirà nel conto della stanza, ma di certo una fucilata). Inoltre ci faceva piacere salire al vulcano con Bodhi che rimane una notte in meno di noi.
Stamattina sveglia alle 3.30, partenza alle 4 per il parco nazionale Kelimutu. Troviamo Bodhi e la nostra guida Mario (sì, si chiama così davvero, a Flores molti nomi derivano dalla religione cattolica che, arrivata sull’isola con i coloni portoghesi, si spartisce gli abitanti con l’islam e soprattutto con l’animismo) già svegli intenti a seguire la semifinale di Champions League in diretta tv cominciata da un’ora. Sono pazzi! Per fortuna è un altro ragazzo a guidare fino all’ingresso del parco dove paghiamo 20.000 rupie a testa per l’entrata (circa 2$) e 50.000 per ogni macchina fotografica. Lasciata l’auto al parcheggio, abbiamo acceso le torce ed è cominciata la salita verso la cima del monte (1640 mt). La camminata dura circa mezz’ora nel buio assoluto, ma è davvero un sentiero semplice fino a Inspiration Point. Lì ci siamo fermati, tra altre persone arrivate prima e dopo, ad aspettare che l’alba facesse apparire i tre laghi negli antichi crateri del vulcano. Che spettacolo favoloso! Continuavo a correre da un lato all’altro fotografando i due laghi vicini poi quello più lontano ad ogni cambio di luce. Dalla notte escono prima i due laghi separati da una sottile parete di roccia. In quello piccolo più in alto dimorano gli spiriti malvagi (adesso è turchese intenso, anni fa era rosso); il vicino più grande e più chiaro ospita le anime dei giovani; mentre nel lago più lontano, scuro e sempre coperto da una nuvola che sembra fargli da tappo, riposano le anime degli antenati.
Poco dopo l’alba, Mario ci ha riportati sulla via del ritorno passando per sentieri vietati che si avvicinano molto ai laghi. Attimi di contemplazione si alternavano a chiacchiere, racconti e risate.
Parlando delle cascate dove saremmo andati a nuotare più tardi, Sergio ha cominciato a scherzare dicendo che Marco è il miglior nuotatore d’Italia quando lui l’ha corretto con “del mondo”. Da lì, nei nostri discorsi, Marco è diventato il migliore del mondo in qualsiasi cosa: dall’arrampicata sugli alberi all'apertura delle noci di cocco. Sergio invece è stato chiamato Rambo perché ha voluto fare la foto con il machete di un uomo che passava di lì (alla fine l’abbiamo fatta tutti) e il soprannome gli è rimasto tutto il giorno come lo spaccone del gruppo.
Tornati al parcheggio abbiamo fatto colazione con il caffè preparato dalle vecchine più vecchie del mondo e da lì siamo scesi a piedi, ammirando il paesaggio del parco e sparando cazzate, verso un minuscolo villaggio sul lato della montagna.
Qui abbiamo incontrato il capo villaggio, Ambros, che ci ha offerto caffè allo zenzero, banane fritte e delle cose tipo patate dolci fritte che si chiamano cassava. Stavamo seduti nella veranda della sua capanna con vista sulla valle mentre lui raccontava qualcosa nella sua lingua con grandi gesti espressivi senza che nessuno avesse il coraggio di interromperlo. Era affascinante vedere come cambiavano il suo viso e il suo tono di voce narrando la sua avventura. Dai gesti pareva che Ambros avesse affrontato un coccodrillo a mani nude. Quando Mario, che lo ha ascoltato tutto preso, ha dovuto farci la traduzione in inglese del fantastico racconto, se n’è uscito con: -Mah, niente, parlava di un’esperienza che ha avuto mentre meditava, su, ai laghi del Kelimutu.- Fine della traduzione. Tutto qui? Ma se ha parlato per un’ora!
Qui la tradizione animista persiste nonostante la presenza di preti cattolici e musulmani perché in fondo, prima di abbracciare il cristianesimo o l’islam, sono tutti cresciuti in questo mondo di magia bianca. Qui le decisioni sulle sorti del villaggio vengono prese dall’assemblea delle donne, qui lo stregone ha ancora molta autorità, qui il capo villaggio parla di “energie” e “sensazioni di pericolo” intorno agli antichi laghi vulcanici, qui si fanno ancora cerimonie per celebrare il passaggio alle diverse fasi della vita di una persona.
Scendendo a valle per uno stretto sentiero tra le piante di caffè, i banani e tanti piccoli orti, ci siamo fermati nella frescura di una bella cascata. Sotto la cascata c’è una pozza abbastanza grande per farci il bagno: Sergio, Marco e Bodhi non hanno certo perso l’occasione. Io sono rimasta a fare le foto con Mario che ride sempre (Bodhi dice che ha la risata di una scimmia!).
È facile credere agli spiriti e alla magia se ci si trova in un luogo splendido e particolare come il Kelimutu che ha dato a questa gente una terra fertile e tre misteriosi laghi che cambiano colore negli anni. È facile perdersi in fantasie voodoo attraversando questi minuscoli e poveri villaggi circondati da una natura dalla bellezza impressionante. È facile amare l’Indonesia perché ogni volta che ci infiliamo in uno dei suoi angoli ne ricaviamo un piccolo tesoro nascosto.
Il giorno dopo la visita al Kelimutu abbiamo salutato Bodhi scambiandoci le mail per condividere le foto e dopo colazione siamo partiti a piedi con Mario alla scoperta dei dintorni di Moni. Siamo passati attraverso tanti piccoli villaggi e più ci addentravamo nella valle, più sembrava di viaggiare indietro nel tempo. Piccole chiese e piccole moschee sparivano lentamente lasciando il posto alle case tradizionali con gli alti tetti di alang-alang (una specie di paglia intrecciata con il bambù o foglie di palma) dove si praticano i riti animisti. Le piccole scuole sono soprattutto cattoliche e i bambini indossano divise colorate. Qui sembra tutto piccolo e discreto rispetto all’enorme foresta che circonda queste persone. Foglie grandi come ombrelli e fusti tanto larghi da contenere bambini che giocano.
Sapete che non vado matta per i bambini, ma questi sono davvero simpatici. Ci fa ridere, e ci fa anche un po’ gasare, che al nostro passaggio corrano fuori dalle case e dai cortili delle scuole per salutarci e usare qualche parola d’inglese imparata in classe. È un continuo “Hello Miss! Hello Mister!” che arriva da finestre e giardini come un cinguettio, eravamo le star in visita ai loro villaggi. Alcuni si limitavano a salutare con la mano, ma quelli più intraprendenti si avvicinavano e cercavano di attirare la nostra attenzione, i ragazzini elencavano le formazioni delle squadre di calcio in Champions League (che nemmeno io conosco), le ragazzine chiedevano “How are you?”. Tutti volevano essere fotografati nelle pose delle star che vedono in tv o sui giornali e poi chiedevano di rivedere la foto e ridevano soddisfatti.
Avevo letto dell’abitudine degli indonesiani di masticare le Noci di Betel che macchiano di rosso labbra e denti e poi vengono sputate lasciando anche sulle strade macchie rosse come di vernice. L’avevo letto prima di venire qui la prima volta, ma solo intorno a Moni ho finalmente visto il frutto e le persone che lo usano con le bocche tutte rosse come tanti clown. Questi villaggi sono conosciuti anche per il particolare tipo di tessuto che producono le donne ai telai. Si chiama Ikat, ha dei disegni e una lavorazione particolari, e Mario ci ha portato in casa di una tessitrice che ci ha mostrato tutto il processo dal cotone appena raccolto a una sciarpa finita (per fare un sarong ci mette tre mesi). La donnina si mette in posa con tutti gli attrezzi per spiegarci il suo lavoro, noi facciamo foto e domande.
Una parentesi su Mario: dovete sapere che è simpatico ed è una guida preparata, ma ha le mani in pasta un po’ dappertutto, sempre con il cellulare in mano a fare “affari” ed è pure un po’ sfacciato e scroccone con le persone che ci accolgono in casa loro. Già da Ambros aveva chiesto caffè e spuntino per tutti, ma questa signora ha addirittura mandato due suoi nipoti adolescenti su un albero a prendere delle noci di cocco fresche per noi. I ragazzi le hanno tagliate col machete e bucate per farci bere il succo e poi aperte perché potessimo mangiarle. Questa gente è davvero gentile e ospitale, quasi mi dispiaceva disturbarli tanto. Abbiamo visto le piante di caffè, cacao e noce moscata. Qui cresce veramente di tutto!
Ci siamo fermati a pranzo in un ristorantino frequentato da poliziotti e intanto è scoppiato un temporale fortissimo, il cielo si è fatto nero e le strade si sono allagate in un attimo. In poco più di mezz'ora era tutto finito e siamo ripartiti in auto verso un villaggio che sta in cima ad un promontorio e da lassù si vede poi il mare: Nggela. È il villaggio più lontano dalla via principale e per raggiungerlo si deve percorrere una strada terribile con delle buche che sembran fossati, tratti di fango perenne e salite scivolose. Per fortuna Tam il nostro autista è un ottimo guidatore. Una strada mal messa e pericolosa, ma incredibilmente affascinante circondata dalla giungla che di tanto in tanto lasciava intravedere scorci della montagna su cui stavamo salendo e della valle sottostante. Al villaggio siamo stati accolti con curiosità perché pochissimi turisti si avventurano fin lassù. Le donne si sono precipitare a prendere i loro ikat da venderci, il capo villaggio ci ha parlato del fatto che Nggela ha dato i natali a molti preti cattolici e politici, ma una volta lasciato il villaggio nessuno di loro si è più preoccupato della sua sorte, dimenticando di fare pressioni perché venga realizzata una strada più agevole e sicura. Da un lato questo salverebbe il villaggio dalla povertà perché è veramente molto bello e caratteristico quindi i turisti lo apprezzerebbero sicuramente; d'altra parte, come ci ha fatto notare Marco, troppo sviluppo potrebbe trasformare questo angolo di Flores fermo a secoli fa in un centro commerciale. Anche qui Mario si è fatto offrire il caffè. È senza vergogna!
Comunque ce ne siamo andati promettendo di fare pubblicità a questo villaggio perché vale davvero la pena di visitarlo. Io ho detto che ne avrei parlato, Sergio, che si fa prendere sempre la mano dalle buone intenzioni, ha praticamente promesso di costruire la strada con le sue mani... Rambo...
Sulla via del ritorno ancora un sacco di bambini che ci salutavano. Sergio era seduto in fondo, io e Marco davanti a lui con i finestrini abbassati sembravamo il Papa e Lady Diana che salutano la folla, che ridere! Ecco il soprannome per Marco: Benny, come Benedetto.
È stata una giornata intensa e stancante, ma anche istruttiva. Verso sera siamo passati di nuovo da Ambros che ci ha procurato del caffè allo zenzero da portare a casa.
L'ultima mattina ci siamo alzati con calma, abbiamo preparato i bagagli e ci siamo diretti a Ende per l'ultimo volo sulla AviaStar di TransNusa. Mi sono ormai affezionata a questa piccola linea aerea che funziona come un autobus andando avanti e indietro sulla rotta Kupang (Timor Ovest) – Ende – Labuan Bajo – Denpasar (Bali) con gente che sale e scende ad ogni fermata e le due hostess, Mey e Tri, che fanno turni da credo venti ore perché le abbiamo trovate su tutti e tre i voli!
Sulla strada per Ende, Mario ci ha portato a visitare un ultimo villaggio che sembrava quello di Asterix. Siamo stai nella casa del capo villaggio, scroccato di nuovo il caffè, portato con noi la figlia sedicenne a Ende perché così lungo la strada avrebbe fatto pratica di inglese.
La strada che va da Moni a Ende è in via di allargamento e siccome qui scavano la montagna con una ruspa e tante mani, si vedono volare giù rocce dalle pareti e a tratti la strada viene chiusa, sgomberata e poi riaperta. Si creano file e ingorghi, ma alla fine devo dire che con un po' di pazienza si arriva ovunque.
Questa è la lezione principale: pazienza e mente aperta. Non importa quanto sia accidentata una strada, c'è un modo per arrivare ovunque e mentre ci vai impari un sacco di cose sulla vita!
Ho un messaggio per Rambo: appena torni puoi allenarti nel nostro giardino, in questo modo sarai pronto per costruire la strada.
RispondiEliminaTi offro una canotta sbucherellata, bandana e guantini tagliati, se vuoi ho anche un coltello da cucina simile ad un machete.
Forza Bagai!
Secondo me ci sta se aggiungi un trancio di pizza. Saluta la Fra!
EliminaA presto