Oggi vi parlo di un libro che sto leggendo: The rugged road di Theresa Wallach. Si tratta del diario di viaggio di Theresa che nel dicembre 1934 partì con l'amica Florence "Blenk" Blenkiron per un'impresa che all'epoca era di per sé incredibile e soprattutto per due ragazze poco più che ventenni: attraversare l'Africa in moto (con sidecar e carrello tenda) da Algeri a Cape Town. Oltre all'avventura, che colpisce già dalla mappa del percorso, in queste pagine si trova un ritratto dell'Africa di quei tempi ripartita in colonie europee con i confini disegnati a tavolino dai bianchi che non coincidevano per nulla con i confini naturali e culturali del continente. Percorrere in moto il Sahara e poi spingersi in terre sempre più selvagge era qualcosa di spaventosamente ambizioso e il fatto che fossero due donne a tentare l'impresa rasentava lo scandalo. Queste ragazze, però, erano ben preparate. In Inghilterra, loro paese d'origine, erano diventate abili motocicliste vincendo diverse gare anche con avversari uomini e, nonostante il parere contrario di genitori e amici che vedevano questa passione poco adatta a una "signora", non si erano mai scoraggiate. A ogni tappa del viaggio si sentivano dire "Non ce la farete mai, tornate indietro!", ma Theresa e Blenk non avevano alcuna intenzione di rinunciare alla sfida. Si adattavano a viaggiare, mangiare e dormire in condizioni spesso estreme, riparavano la moto ingegnandosi con quanto avevano a disposizione e venivano ripagate dalla spettacolare bellezza dei paesaggi che attraversavano e dalla gentilezza delle popolazioni locali. Scrive "Il rumore della moto attirava gli abitanti dei villaggi, i quali ci correvano incontro e ci aiutavano a spingere quando rimanevamo insabbiate. Ovunque ci fosse spazio per un'altra mano nera sulla nostra moto, c'era un abitante del posto che ci aiutava, finché uno a uno tornavano tutti alla propria attività." e poi "Per quella gente i soldi non contavano molto. Tutti insistevano nel comportarsi con noi secondo il codice di solidarietà delle regioni selvagge, la fratellanza, senza chiedere soldi in cambio, accettando solo due latte di fagioli e salsiccia che, offerte da uno sconosciuto in quella landa selvaggia, erano come un dono del cielo."
Ammirazione è il primo sentimento che suscita questa lettura raccontata in prima persona da Theresa tempo dopo. Già allora ci si rendeva conto che gli europei stavano danneggiando l'ambiente e la cultura di una terra che non apparteneva loro e la Wallach, pagina dopo pagina, chilometro dopo chilometro, si sofferma incantata sui momenti più belli del loro difficile viaggio. Descrive il cielo stellato del deserto, gli strati di roccia che raccontano le ere geologiche, le usanze dei popoli nomadi, i villaggi del Ciad, la giungla del Congo, gli strani animali e gli affascinanti panorami del Kenya, dell'Uganda, del Tanganica (oggi Tanzania) della Rhodesia (oggi Zimbabwe) e tutto questo con gli occhi di una ragazza degli anni Trenta definita una ribelle dalla sua stessa famiglia.
Theresa racconta tranquillamente "Quando tornammo, sollevai le lenzuola e ne saltò fuori una cosa con appendici a tenaglia e la coda alzata.Mi dissero poi che era uno scorpione, che avrebbe potuto non essere l'unico e che avrei fatto meglio a rifare il letto.". Sotto certi aspetti mi ha ricordato Agatha Christie, in viaggio con il marito archeologo, che non si formalizzava troppo a dormire tra i topi nonostante fosse una raffinata signora inglese.
Erano altri tempi e tutto era molto più grande, distante, difficile da raggiungere eppure Theresa, Blenk, Agatha e altre donne e uomini dotati di curiosità e spirito d'avventura l'hanno fatto. Ora non voglio più sentirmi dire nel 2014 che ci sono luoghi che non posso visitare e viaggi che non posso compiere. Piuttosto sono io a dispiacermi perché tante cose che loro hanno avuto la fortuna di vedere oggi non esistono più.