martedì 11 novembre 2025

Indonesia 2025

 Dopo aver letto le storie di questo viaggio, potete guardare le foto e qualche video a questi link

KALIMANTAN

WAY KAMBAS

BALI

giovedì 30 ottobre 2025

Grazie & friends

Dedico un post di ringraziamento ai miei due compagni di viaggio Francesca e Francesco che hanno affrontato con me questa avventura carica di significati personali per cui mi serviva il loro appoggio. Grazie per aver sopportato il caldo, l'umidità, le levatacce prima dell'alba, le zanzare del Borneo, le cicale di Sumatra, il bagno con la tinozza, di lavarvi i denti sul wc e dormire in lettini separati, per aver trattenuto la pipì e aver macacato senza regolarità, per esservi scottati col sole tropicale ed esservi presi temporali torrenziali a tratti, per aver cenato chinati su un tavolino troppo basso e mai all'orario richiesto, per esservi svegliati in piena notte per colpa di un gallo regolato male, per avere il colesterolo alle stelle mangiando le uova a ogni colazione, per aver ascoltato le mie chiacchiere ripetitive e le lezioni da saputella, per esservi imbrattati di fango, sudore e inutile repellente per insetti, per aver saputo apprezzare la bellezza di queste isole dimenticando il disagio di raggiungerle e viverci, per esservi finti vegani e avermi seguito per le strade sbagliate o trasformate dal tempo, per aver preso ogni imprevisto con ironia.

Siete dei grandi amici, bravi badanti e veri viaggiatori!




P.s. Ci vediamo a casa vostra per una banana fritta klotok style.

mercoledì 29 ottobre 2025

Bali: panorami a pagamento

Sapete che trascorro sempre un paio di giorni a Bali prima di tornare dall'Indonesia. Di solito per essere sicura di arrivare in tempo per il volo internazionale, svuotare la valigia in lavanderia e fare un giro al mercato. Questa volta, ne ho previsti un po' di più per permettere a Francesco che non c'è mai stato di visitare l'isola degli dei e per farlo stare un po' comodo dopo che ha pazientemente sopportato Kalimantan e Sumatra (che poi gli sono piaciuti un sacco, comunque). In fondo, serve anche un po' di relax in vacanza, dopo aver tanto esplorato e fatto attività, quindi ce la siamo presa comoda, decidendo al momento cosa ci andava di fare. Naturalmente, ho scelto di stare a Ubud perché neanche ai miei amici interessano le spiagge per surfisti e i locali per la vita notturna, poi avremmo deciso da lì cosa visitare nei giorni successivi. 
La prima mattina, ho consegnato in reception il mio sacco per la lavanderia e, dopo la colazione in giardino, ho portato i miei &Friends in giro per la cittadina. A Francesca era piaciuta tanto la danza tradizionale che nel 2019 abbiamo visto rappresentata dagli abitanti di un quartiere a nord della via principale e vogliamo portarci suo marito. I biglietti erano in vendita fuori dal mercato, ma non troviamo i venditori quella mattina, quindi facciamo un giro tra le coloratissime bancarelle ripromettendoci di riprovare più tardi. La piazza del mercato è occupata da lavori in corso per il rifacimento della pavimentazione, quindi le bancarelle si sono temporaneamente diffuse in diverse strade. La mattina presto, vendono principalmente prodotti alimentari per gli abitanti che si affollano con motorini e sacchetti prima di andare al lavoro. Verso le 10, invece, compaiono abbigliamento, casalinghi, opere d'arte e artigianato e souvenir per i turisti. Francesca si imbarazza a contrattare, quindi siamo io e Francesco a occuparci degli acquisti. Percorriamo le vie più conosciute, poi mostro loro un paio di scorciatoie e il vicolo che sbuca dietro il nostro alberghetto. Fa sempre caldo, ma non ci sono zanzare e possiamo stare in maglietta, pantaloncini e sandali. Francesco è più rilassato!
A pranzo, stendiamo un programma per i tre giorni che abbiamo a disposizione: visitare Tanah Lot, il famoso tempio sul mare ritratto in tutte le cartoline, poi la valle di Jatiluwih con le risaie patrimonio dell'Unesco e fare la passeggiata Campuhan ridge walk. Il resto del tempo per acquisti vari, andare all'ufficio postale a imbucare le cartoline e assistere alla danza kecak che, da cartelloni esposti all'imbocco del quartiere, scopriamo essere in programma per quella sera.
A Ubud è facile orientarsi una volta presi un paio di punti di riferimento, così, dopo pranzo, posso lasciar libera la coppia di visitare la Monkey Forest, mentre io torno in camera ad aggiornare il blog. Ci diamo appuntamento più tardi alla banca dove dobbiamo prelevare. Per arrivarci, passo davanti al mercato e trovo i venditori di biglietti per le danze. Ne compro subito tre, sperando che i ragazzi non facciano lo stesso, ma sono abbastanza sicura che non abbiano contanti sufficienti. Sono fortunata, quando li incontro mi dicono di aver visto i venditori, ma non avevano ancora prelevato. 
La sera, prima di andare allo spettacolo, ci concediamo un aperitivo vicino all'albergo con le prime birre della vacanza perché in Borneo e Sumatra se ne trovano, ma non beve nessuno, mentre a Bali, di religione induista, si beve liberamente e non dobbiamo sentirci irrispettosi. Certo, la birra Bintang non è un granché perché purtroppo l'Indonesia è stata una colonia olandese, fosse stata tedesca la birra sarebbe migliore, ma ci accontentiamo.
Negli anni, ho assistito a diverse danze balinesi, ma la kecak è la mia preferita perché accompagnata da un coro che sostituisce gli strumenti e la versione di quartiere mi piace ancor di più perché il gruppo è formato da famiglie, dai bambini ai nonni, tutti impegnati a portare avanti una tradizione millenaria. Francesca l'aveva apprezzata molto sei anni fa e anche Francesco ne esce soddisfatto.
Sulla via del ritorno, ci fermiamo a uno dei chioschi che organizzano tour dell'isola. Non ci interessano le giornate intere con tappe serrate, chiediamo quindi se si può prenotare un'auto che ci porti solo a Tanah Lot e ritorno il giorno dopo. Ci accordiamo perché venga a prenderci alle 14, poi, se il servizio ci piacerà, prenoteremo anche per Jatiluwih.
Il secondo giorno, ci alziamo presto per percorrere il Campuhan ridge walk prima che faccia troppo caldo. Ci incamminiamo in una Ubud che a quell'ora appartiene ai suoi abitanti perché i turisti si alzano tardi e ritroviamo l'accesso al percorso panoramico dietro l'hotel a cinque stelle Ibah. Non decanto troppo la passeggiata, visto che la volta precedente Francesca e le altre compagne mi avevano preso in giro per averle fatte alzare all'alba quando il sentiero era lungo appena due chilometri. Comunque, vogliamo solo fare un po' di movimento lontano dal traffico del centro di Ubud e dal crinale di questa collina si godeva di una bella vista sulle valli di risaie circostanti. Almeno così ricordavamo io e la Fra. Camminiamo per molto più di due chilometri e la vista è ancora ostruita da bar, ristoranti e ville con terrazze panoramiche. Ci viene il dubbio di aver sbagliato strada, di esserci persi una svolta. Purtroppo non è così: il Campuhan ridge walk è stato inghiottito dalle costruzioni e per godersi il panorama che prima allietava la passeggiata bisogna sedersi in un ristorante e pagare la consumazione. Per fortuna, Francesca può testimoniare che il sentiero esisteva, altrimenti suo marito l'avrebbe definita un'altra delle mie invenzioni. Questa delusione mi ha fatto tornare in mente l'Australia, dove per legge i punti panoramici non possono essere occupati da spazi privati, devono restare almeno in parte a disposizione di tutti, devono goderne anche quelli che non possono permettersi di pagare la vista.
Il pomeriggio, addirittura dieci minuti in anticipo sull'orario concordato, il tassista Nengah viene a prenderci per portarci a Tanah Lot. Il meteo promette pioggia e ne incontriamo un po' lungo la strada. Avevo portato un pareo per Francesco da indossare come sarong per entrare al tempio, ma non è obbligatorio, è solo richiesto un abbigliamento rispettoso perché seppur sia diventato un'attrazione turistica, è pur sempre un luogo sacro per i balinesi. Quando arriviamo sta piovendo e Nengah ci presta due ombrelli che ha nel bagagliaio. Che gentile! Non entravo a Tanah Lot dalla prima volta quindici anni fa col TdC e lo trovo ancora un luogo splendido. Con la pioggia ha un aspetto ancora più solenne, i suoi edifici in pietra lavica nera sono circondati da un mare grigio che sembra di metallo. La grande differenza, però, è che a quest'ora del pomeriggio c'è bassa marea e l'edificio principale, che nelle foto del 2010 era un isolotto sferzato dalle onde di un mare turchese, oggi si innalza da una penisola percorribile a piedi. Con tutti i turisti infilati fin sotto il tempio, dove non è consentito entrare se non ai fedeli, la vista perde un po' di fascino. Individuo lo scoglio sul quale ero seduta nelle vecchie foto e chiedo ai miei amici di fotografarmi nella stessa posa, ma dobbiamo attendere che una turista finisca di scattarsi una serie di selfie nello stesso punto. Smette di piovere, arrivano i gruppi dei tour che promettono tramonti suggestivi da postare sui social e pare che nessuno abbia compreso il significato di "abbigliamento rispettoso". Allora, io sono per la libertà di ognuno di esprimersi e vestirsi come gli pare, soprattutto delle donne, però, sono anche per il rispetto della cultura e della sensibilità altrui. Francesco, malgrado il caldo, ha indossato i pantaloni lunghi per lo stesso motivo; Francesca e io abbiamo messo gonne lunghe e maglie non scollate, mentre intorno a noi sfilavano ragazzi in canotta e braghette da surf con ragazze in reggiseno del bikini. Certo, è la moda di oggi e non ci sono espliciti divieti, ma mi ha dato fastidio lo stesso. Chiamatemi Barbi bigotta.
Poiché ci siamo trovati bene con Nengah, l'abbiamo ingaggiato per portarci a Jatiluwih il mattino dopo. Con queste piccole gite, Fra e Fra hanno potuto anche vedere la Bali fuori dai centri urbani, quella dei miei ricordi come passeggera del motorino del TdC. Abbiamo attraversato quei paesini fatti solo di casette tradizionali con i tetti a pagoda e i tempietti di famiglia con i tetti in paglia scura che sembrano avere la frangetta; strade dove non si trova un distributore per chilometri e la benzina si vende in bottiglie di plastica nei cortili dei negozi; i warung, le trattorie locali, affacciati sulla via principale con le sedie di plastica scolorite e i banconi di legno un po' storti; i bambini che giocano a pallastrada e le galline che beccano il riso dai cestini di offerte agli dei; le vette dei vulcani che spuntano all'orizzonte con corone di nuvole e si specchiano nelle risaie; gli sciami di motorini che si vestono di impermeabili di plastica quando comincia a piovere; i falò di rifiuti a bordo strada; le donne in abiti tradizionali con le bellissime camicie ricamate, così eleganti anche in sella a un motorino con in grembo la cesta di fiori e frutta da portare al tempio; lunghe strade a una sola corsia che si inerpicano sui monti o scendono verso il mare seguendo la costa fino a spiagge nascoste e porti dai quali imbarcarsi per altre avventure tropicali. Questa è la Bali che amo e che sento sempre familiare. 

Attraversando paesaggi e ricordi, giungiamo a Jatiluwih, sito patrimonio dell'Unesco dal luglio 2012 e quindi da allora, scopro oggi, con ingresso a pagamento. C'ero stata due volte quando passeggiare per la verdissima vallata era gratuito e non ci aspettavamo di dover pagare i biglietti, per di più solo in contanti. Ci restavano appena i soldi per pagare Nengah, avremmo dovuto prelevare di nuovo quella sera. Comunque, entriamo e il nostro autista va a passare il tempo nel parcheggio con i suoi colleghi, mentre noi ci addentriamo tra le risaie più famose del mondo. Bisognerebbe venirci in diversi periodi per vedere la valle trasformarsi a seconda delle fasi del raccolto. Oggi è verde di piantine di riso fresche, diventa poi gialla di spighe pronte per la mietitura e poi un mosaico di specchi d'acqua incorniciati dagli argini delle terrazze per la nuova semina. Il riso è protetto da tempietti e statue che propiziano un buon raccolto e la valle viene visitata sia dai turisti che dagli uccelli che si cibano di questo riso e degli insetti che gli girano intorno. Prima di tornare a Ubud, invitiamo Nengah a bere un succo di frutta fresco in uno degli innumerevoli bar vista risaie sorti intorno alla valle. Era sorpreso che gli offrissimo da bere, probabilmente i turisti che accompagna di solito non lo fanno.
Sulla via del ritorno, lo facciamo fermare un paio di volte per fotografare alcuni scorci che avevamo notato lungo strada. Uno si vedeva da un ponte dove c'erano lavori in corso, così ha parcheggiato poco prima e mi ci sono avventurata a piedi, solo che non potevo arrivare abbastanza avanti da inquadrare il bellissimo canyon verde di giungla sottostante. Nengah ci ha spiegato che stanno installando parapetti più alti perché da quel ponte si gettavano spesso i suicidi. Poco più avanti c'è un'altra Monkey Forest, quella di Sangeh che non conoscevo, ma la visiteremo un'altra volta, tanto siamo certi di ripassare da queste parti prima o poi.
A Ubud, concordiamo con il nostro autista che venga a prenderci il mattino dopo alle 6 per un'ultima corsa verso l'aeroporto. Andiamo a pranzo e ci accorgiamo che l'umore sta cambiando, si avvicina il rientro a casa e pensiamo già ai problemi quotidiani che ci aspettano nella vita e nel lavoro, ombre in agguato dietro gli angoli del destino che non vorremmo dover tornare ad affrontare, ma ci tiriamo su elencando le cose belle che ci aspettano allo stesso tempo: la famiglia, gli amici e i nostri gatti! 
Prepariamo le valige e usciamo di nuovo a esplorare nuove vie di Ubud, più nascoste, scoprendo una deliziosa libreria e cartoleria con libri di storia indonesiana, quaderni con le copertine rivestite di tessuto batik, mappe antiche delle isole (purtroppo troppo costose per me, altrimenti ne avrei comprate mille), quasi un museo. Compro un quaderno, tornerò con più calma la prossima volta, peccato averla scoperta l'ultima sera. Allo stesso modo, in un altro vicolo che scende dietro il mercato, scopriamo che si può cenare presso alcune case tradizionali insieme alle famiglie che ci abitano. Che bella idea! La mettiamo nella lista delle cose da fare a Ubud la prossima volta che ci passiamo perché la Fra vuole tornare in Indonesia per andare a Flores a snorkelare con le tartarughe e il Fra si lamenterà per il clima, ma poi verrà con noi e si divertirà.
Abbiamo ormai una mappa mentale di Ubud con segnati i nostri posti preferiti e una definizione per ogni strada. Stabiliamo che la via dove alloggiamo è perfetta perché, seppur a due passi dal centro e compresa tra due strade affollate di negozi e locali, rimane tranquilla grazie alla prevalenza di lavanderie rispetto ai ristoranti, quindi la sera non c'è troppo movimento e il profumo di bucato pulito è sempre piacevole. Inoltre, c'è il piccolo warung a cui sono affezionata perché ci cenavo nel 2010 guardando la telenovela indonesiana. Non ho mai proposto ai ragazzi di mangiare lì perché temevo fosse troppo spartano per loro, invece, mi hanno detto che l'avrebbero provato perché è bello vedere che la cuoca e il marito cucinano al momento, non sono i piatti abbandonati in vetrina da giorni che abbiamo visto altrove. Va bene, lo aggiungiamo alla lista.
Arriva l'ora di tornare in camera, prendere in reception il thermos di acqua calda con cui fare colazione in stanza prima di partire, puntare la sveglia alle 5.30 e dormire un'ultima volta sotto le stelle calde dell'Indonesia.



martedì 28 ottobre 2025

Saluti alla piastra

La sera prima della partenza, i ragazzi ci avvisano che verranno a salutarci, portando qualcosa da bere dopo cena. Dan mi chiede se ci serve qualcosa, visto che passeranno al supermercato sulla strada per la guesthouse, ma siamo a posto. A proposito, il supermercato che per anni ho chiamato Indomarket, ho scoperto essere Indomaret e si trova un po' su tutte le isole, è l'Esselunga locale insieme all'Alfamart. Nel frattempo in paese è cominciata la festa di matrimonio per i cui preparativi la via principale è stata bloccata per giorni, poi scoprirò che a sposarsi è il cognato di Hari che quindi è occupato anche quella sera e purtroppo non riuscirò a salutare e ringraziare di persona, solo in videochiamata.

Nel pomeriggio, l'iPhone di Francesco aveva attivato per errore il segnale di emergenza. Non sapevamo bene come funzionasse, oltre a inviare messaggi ad alcuni contatti di famiglia. L'ha subito disattivato, ma scherzavamo sul veder arrivare un elicottero con Meloni e Crosetto in assetto da combattimento per salvarci. Invece, quella sera è arrivato l'esercito di ALeRT con tanto cibo da sembrare un convoglio di aiuti umanitari.

Ci aspettavamo di sederci come sempre sul pavimento del portico a bere e chiacchierare, ma dalle auto spuntano tavolini, fornelli a gas, piastre, padelle e una gran quantità di cibo. C'è anche il povero Dino e ridiamo pensando che gli dicano: “Bene, hai scaricato tutto, ora puoi andare a casa.” 

C'è anche Puspa, la moglie di Eddie, che si è occupata dei nostri pasti al sacco per tutta la settimana e ringraziamo facendole i complimenti perché era tutto delizioso.

Kiki e Puspa cominciano a cucinare, le verdure sfrigolano sulla piastra, fumo e aromi restano sospesi nell'afa, i gechi rincorrono gli insetti attirati dalle luci del portico, chiacchieriamo e ridiamo. 

Dan mi consegna le magliette che gli ho ordinato per Penelope, Lucio e il TdC. Gli chiedo anche di scrivermi il nome dell'albero che ho piantato per papà: l'albero coso in realtà è un Nyamplung, produce delle mandorle da cui si può estrarre un olio che ringiovanisce la pelle. L'ho scelto perché ha bellissime foglie sempreverdi che non piacciono agli elefanti, così sono sicura che non lo rovinino o abbattano per cibarsene.

Puspa ci regala due quadretti che ha dipinto ispirandosi alle foto scattate dal marito agli uccelli del Way Kambas. Apprezziamo molto il dono e speriamo che arrivi integro in Italia. 

Questa inaspettata festicciola fa concorrenza al matrimonio in fondo alla strada e, quando arriva il momento di sparecchiare e rassettare il portico, dobbiamo salutarci a malincuore. 

Mi dispiace che sia l'ultima sera, anche Francesca e Francesco si sono affezionati ai ragazzi. Distribuiamo baci e abbracci sinceri.

La mattina dopo abbiamo preparato le valigie con calma. Hari ci aveva prenotato il taxi tamarro per l'aeroporto alle 12 così avevamo tutto il tempo di fare colazione, raccogliere le nostre cose, lasciare le stanze e i bagni con la tinozza che abbiamo imparato a usare con disinvoltura. A Bali sarà tutto più comodo e facile, ma è qui nel disagio che lasciamo un pezzetto di cuore.

Alle 11, sono arrivati Dan e Kiki, accompagnati ovviamente da Dino, per un ultimo saluto. Dan avrebbe dovuto partecipare a un meeting con le persone che l'avevano cancellato il giorno della visita a ERU, ma questa volta l'ha rimandato lui: “Devono imparare a rispettare gli impegni delle persone. Ho detto che dovevo andare a salutare mia sorella e i suoi amici.”

Ci siamo abbracciati, gli ho raccomandato di prendersi cura di sé anche se fa un lavoro molto impegnativo. Speriamo che trovi casa più vicino all'ufficio, passare più tempo con sua moglie e i bambini lo aiuterà a ritrovare l'energia per affrontare le sfide quotidiane. Ho abbracciato anche Kiki e le ho ribadito che sono felice di vedere una ragazza nella squadra e spero che ne arrivino altre. 

Dan ringrazia Francesca e Francesco per essere venuti a Sumatra e per il sostegno ad ALeRT. Loro sono contenti di averli conosciuti e aver scoperto il Way Kambas, Sappiamo quanto sia duro il lavoro che fanno e li incoraggiamo a non arrendersi perché vogliamo tornare e ritrovare la foresta sana e bellissima con tutti i suoi splendidi animali. 

Salutiamo il povero Dino che sorride sempre, il ragazzo più paziente del mondo, e lui si rimette alla guida portandosi via i nostri amici. Francesco commenta: "Proprio bravi questi attori cinesi che hai ingaggiato, sembravano davvero commossi."

lunedì 27 ottobre 2025

Treewatching e coccodrilli

Per l'ultima escursione a Sumatra, abbiamo indossato tutti e tre le nostre magliette di guardian of the wild.


Dan ci raggiungerà nel pomeriggio. “Mi farò venire a prendere da Yahya o Dino” mi scrive e sappiamo già a chi toccherà.

Entriamo nel parco dall'ingresso vicino alla guesthouse e restiamo fermi al posto di guardia in attesa del ranger che deve accompagnarci. Aspettiamo un po', un altro po', e i ragazzi cominciano a innervosirsi perché ci stiamo perdendo il momento migliore per osservare la foresta che si sveglia, ci siamo alzati presto apposta. Per distrarci, Kiki ci fa scendere dal pickup e ci mostra i pannelli informativi installati a lato della strada: elencano le specie di uccelli e mammiferi presenti nel parco con le aree di avvistamento. È un progetto che ha realizzato lei e ce ne sono altri in altre zone del Way Kambas che ne descrivono fauna e flora. Li avevo visti l'anno scorso a Bambangan, ma un branco di elefanti selvatici li ha abbattuti, per giocarci. Questi all'ingresso sono gli unici rimasti in piedi. Intanto, vediamo partire un altro ranger con un gruppo di turisti, mentre noi che siamo qui con ALeRT veniamo messi da parte. C'è sempre una certa tensione nei rapporti con il personale del parco, i ragazzi sanno di chi fidarsi e chi approfitta del proprio ruolo, ma sono costretti a ingoiare tanti rospi per poter continuare la loro attività nella foresta. Non si tratta solo della tipica pigrizia dei dipendenti statali che è diffusa in ogni paese del mondo, c'è anche corruzione, complicità con i bracconieri e c'è chi porta i propri parenti a pescare illegalmente nei fiumi del Way Kambas la domenica, purtroppo le denunce cadono nel vuoto oppure si risolvono in piccole multe. ALeRT lavora con gli abitanti dei villaggi e i ranger onesti anche per cambiare questo sistema, attirandosi l'ostilità degli altri ovviamente. Io non so mai in anticipo se le persone che mi presentano o quelle che ci fermano per controlli sono amici o nemici, quindi evito di dare troppo confidenza finché non scopro da Dan da che parte stanno ed è davvero brutto che esistano delle parti.

Comunque, i ragazzi si stufano di aspettare, ci mandano avanti con il pickup, mentre l'altra auto resterà ad attendere il ranger. Ci ritroveremo al fiume Kanan dove abbiamo in programma un giro in barca. Il tragitto attraverso la foresta fino al fiume è spettacolare, pare di infilarsi in un tunnel tutto verde e anche la temperatura è molto piacevole, finalmente si respira. Frange di liane che drappeggiano i rami protesi sulla strada, rampicanti che rivestono i grandi tronchi abbattuti dai temporali o dalle termiti, alberi così alti che non stanno in una foto e bisogna riprenderli in video dalle radici alla chioma che si perde nel cielo. C'è chi viene in Indonesia a fare birdwatching, io faccio treewatching.

Giunti a un'ampia radura affacciata sul fiume, scopriamo che il ranger assegnato al nostro accompagnamento è già lì. Le auto dei ragazzi sono, come sempre, cariche di vettovaglie e attrezzatura che il povero Dino aiuta a scaricare e sistemare sulla barca, ma poi non viene con noi e nemmeno Yahya. Partiamo con una sola grande canoa a motore: Fra e Fra davanti, io e Kiki dietro di loro, poi Eddie, il ranger e naturalmente il pilota.

Il fiume è più ampio di quello percorso in canoa in Kalimantan, quindi gli alberi dalla riva non riescono a farci ombra e comincia a fare caldo. Mentre navighiamo verso il punto in cui ci fermeremo per un pranzo al sacco, ci scorre intorno una foresta di palme, banani, mangrovie e alberi dalle forme esotiche, inoltre, abbondano le piante acquatiche, tanto che in alcuni tratti sembra di navigare attraverso un prato. Avvistiamo diversi uccelli e aquile, ma il pilota non rallenta per farci scattare qualche foto o per avvicinarci a osservare meglio, si nota che è un semplice trasportatore e non un accompagnatore turistico (capitan canotta in Borneo riusciva contemporaneamente a guidare il grande klotok, fumare e avvistare un uccello verde su sfondo verde portandoci esattamente sotto il suo ramo). Qualche macaco agita rami in lontananza e si odono i richiami delle scimmie Siamang, però in generale vediamo molto poco navigando così velocemente e arriviamo al punto di approdo un po' delusi. Sono dispiaciuta per Francesca e Francesco perché avevo creato grandi aspettative, raccontando dell'anno scorso con Hari quando avevo osservato e fotografato uccelli di ogni specie, ma era un altro tratto del fiume e soprattutto un orario diverso, il tramonto. Siamo in anticipo anche per pranzare, visto che sbarchiamo alle dieci e mezza, così i ragazzi preparano tè, caffè e frutta. Accendono un fornelletto per l'acqua in uno spiazzo tra gli alberi dove si siedono a terra a preparare lo spuntino, mentre per noi sistemano delle comode sedie da campeggio all'ombra con tavolino e vista fiume. Quella separazione ci ha messi a disagio, sembravamo tornati ai tempi dei colonialisti bianchi, come ha commentato Francesco. Abbiamo insistito per stare tutti insieme, ma ci hanno comunque servito bevande e frutta sul tavolino. Credo che volessero fare bella figura con Francesca e Francesco e non fossero sicuri di quanta confidenza dare in assenza di Dan.

Per tirare l'ora di pranzo, ci siamo incamminati per un piccolo trekking nei dintorni con il ranger che ci ha raccontato del problema della pesca illegale nella zona. Mentre passeggiavamo con Kiki ed Eddie che traducevano le informazioni, ho notato una bottiglia tra le foglie che ricoprivano il terreno, poi altri rifiuti in plastica: i resti del bivacco di pescatori di frodo. Mi urtava vedere tutta quella spazzatura abbandonata, allora ho proposto di radunarla in un punto e portarcela via al ritorno, in fondo siamo qui per contribuire alla protezione della foresta, non solo a visitarla. Ci siamo dati tutti da fare e ne è venuto fuori un bel mucchio. Il ranger mi è parso interdetto per un attimo, poi ha partecipato e ha affermato che ripulire i campi base di bracconieri e pescatori serve anche a monitorare nel tempo quanto vengono usati. Non sono sicura che lo facciano spesso quanto dice, anche perché l'area verde intorno al loro ufficio fa abbastanza schifo, piena di mozziconi di sigaretta, carte di merendine e perfino pile esaurite. Però oggi è stato fatto.

Ho chiesto a Kiki la differenza tra le parole rimba e utan perché entrambe mi vengono tradotte con foresta. Rimba è nel nome di ALeRT (acronimo di Aliansi Lestari Rimba Terpadu), dell'ecolodge in Kalimantan e del nostro klotok, utan nella parola orangutan dove orang è persona e utan foresta che gli indigeni utilizzavano per indicare i miei primati preferiti come abitanti della zona. Non è stato facile per lei spiegarmelo in inglese, ma credo di aver capito che rimba indica la giungla, una foresta selvaggia, mentre utan è il termine generico per foresta, area boschiva.

Dopo pranzo, Francesca passeggia in riva al fiume cercando di avvistare qualche uccello con il binocolo, durante questo viaggio ha scoperto la passione per il birdwatching. Ad un tratto, la sentiamo chiamare: “C'è un... un... un...” non le viene la parola dall'emozione, ma corriamo tutti a guardare il punto del fiume che sta indicando, appena in tempo per scorgere un grosso coccodrillo inabissarsi e sparire. Era nella lista degli animali da vedere e, grazie alla Fra, l'abbiamo spuntato anche se non abbiamo fatto in tempo a fotografarlo. Era una bestia davvero enorme e si è lasciata dietro una lunga scia di onde, mentre fuggiva disturbata da tanta attenzione. Eddie ci spiega che la popolazione di coccodrilli è cresciuta a dismisura perché vengono rilasciati qui anche quelli recuperati dagli zoo di Giava e Bali e, in assenza di predatori, hanno comodamente invaso le acque dove, fino a pochi anni fa, i ragazzi nuotavano nelle giornate calde. È anche a causa dei coccodrilli che l'anatra alibianche è in pericolo, oltre alla caccia e all'inquinamento delle sue zone di residenza preferite.

Ci rimettiamo in barca per tornare indietro proprio all'orario consigliato dai dermatologi: l'una. Nemmeno i coccodrilli sfidano il caldo a quell'ora. In pratica, non abbiamo navigato, ci siamo arrostititi al sole. Decisamente, non l'escursione che mi aspettavo.

Non appena sbarcati all'ufficio dei ranger, quello con la spazzatura nelle aiuole, abbiamo cercato ombra e acqua fresca. Dino è andato a prendere Dan e, intanto, si taglia altra frutta, attirando un gruppo di macachi in cerca di avanzi. Si preparano anche tè e caffè che, non ci si crede, aiutano a sopportare meglio il caldo. Io voglio andare a fotografare gli alberi lungo la strada da cui siamo arrivati la mattina, ma Kiki segue gli ordini di Dan alla lettera: dobbiamo aspettarlo qui. Passa il tempo, mi annoio e scatto qualche foto agli alberi più vicini e all'insegna dell'ingresso della radura dove si sono appesi due graziosi pipistrellini in attesa della sera. Pian piano, mi allontano, sperando che Kiki non mi richiami indietro. Mi accorgo che i miei &friends mi vengono dietro, anche loro annoiati dall'attesa e, poco dopo, arrivano Kiki, Eddie e il ranger. Mi seguono a distanza, non dovrei allontanarmi da sola, però sarebbe scortese impedirmi di andare e i ragazzi sono combattuti. Mi viene da ridere, sembra di giocare a un, due, tre, stella.

A liberare tutti dall'imbarazzo, finalmente arriva Dan. Con lui saltiamo sul pickup e partiamo nella frescura della foresta, questa volta fermandoci a contemplare e fotografare la maestosità delle piante che si intrecciano intorno a noi e su fino in cielo. Il percorso verso l'uscita dal Way Kambas si trasforma in un safari perché, passate le ore più calde, la foresta si rianima di uccelli e scimmie. Avvistiamo macachi codalunga e siamang. Eddie salta giù dal mezzo e li insegue con l'obiettivo tra gli alberi, mentre la Fra è ormai un tutt'uno con il binocolo.

Incrociamo la pista che porta al sito della protezione rinoceronti e parliamo di quanto sia triste che ne siano rimasti così pochi da essere ormai considerati ufficialmente estinti. Al Way Kambas sono sette quelli che vivono nell'area del centro di monitoraggio e non ne sono stati avvistati di selvatici nel resto del parco dal 2017, né in altri parchi. "Chissà se sanno di essere gli ultimi della loro specie" mi domando ad alta voce "Spero di no" mi rispondono Dan e Francesca, sarebbe ancora più triste se si rendessero conto che non c'è nessun altro esemplare come loro al mondo e stanno per scomparire per sempre. Dan ci informa che ALeRT ha anche un piccolo sito in Kalimantan dove ne è rimasto soltanto uno. Mi viene piangere: uno, tutto solo. Ci dice che può organizzare di farcelo incontrare la prossima volta che torniamo in Indonesia. Io voglio andarci di sicuro, anche se so già che mi spezzerà il cuore, voglio andarci l'anno prossimo e raccontare la sua storia.

Vorrei avere più tempo, vorrei restare a osservare la giungla che muta dal mattino alla sera, vorrei dormirci dentro e farne parte. Mi sento a mio agio con i piedi nel fango, con le mani nella terra, con le foglie nei capelli e non mi disturbano le creature che riempiono di vita ogni angolo (tranne le zanzare, quelle devono morire tutte), invece ho paura delle città, mi fanno sentire in pericolo, sporca e malata. Non so spiegarmi da dove provenga questo richiamo così intenso e profondo verso le foreste, forse in una vita precedente ero davvero un albero. In fondo, sono figlia di Albero Colombo.

Usciamo dal Way Kambas e ci voltiamo tutti a salutarlo perché domani si parte per Bali. 

venerdì 24 ottobre 2025

Sbavati di felicità

Ricordate l'elefantina di cui vi ho parlato in questo post? L'anno scorso, aveva quasi perso la zampa in una trappola piazzata dai bracconieri, ALeRT e ERU (Elephant Renspon Unit) si sono presi cura di lei, l'hanno chiamata Elena e, grazie a un permesso speciali, siamo potuti andare a trovarla in uno dei quattro centri ERU del Way Kambas.

La sera prima della tanto attesa visita, Dan mi ha avvisata dispiaciuto di non poter venire con noi perché invitato a un meeting di lavoro proprio a metà giornata. Dunque, responsabili di accompagnarci questa volta sono Kiki ed Eddie.

Lei arriva con Yahya un po' in ritardo perché la via principale del villaggio è chiusa a causa dei preparativi per un matrimonio da due giorni, costringendo il traffico a deviare per stradine secondarie; Eddie ci avrebbe raggiunti al punto di ritrovo, un ingresso del Way Kambas un'ora a nord ovest, per un problema con la sua moto. Al povero Dino tocca ancora portarsi noi.

Quando ci ha caricati, stava ascoltando la sua musica rock indonesiana, ma ha avuto la malaugurata idea di essere gentile e farci scegliere cosa ascoltare. Si è sorbito System of a Down, Green Day, qualche cosa italiana da giovani scelta dai Franceschi. A un certo punto, accosta all'angolo tra due strade. “Ecco” dico “adesso ci fa scendere, riparte sgommando e urlando che si licenzia.” Invece, stava aspettando l'auto degli altri per indicargli dove svoltare, ma non ci hanno visti e sono passati oltre. Quindi li ha chiamati, poi abbiamo proseguito fino al punto dove si dovevano lasciare le auto ed entrare a piedi nel parco.

Mentre li aspettiamo, aiutiamo Dino a scaricare e, riunito il gruppo, trasportiamo tutto il necessario per la giornata lungo lo stretto sentiero sopra l'argine che segna il confine del parco nazionale. Il caldo è tremendo, ma almeno la sponda dove comincia il Way Kambas è ombreggiata dalla bella foresta, solo che per raggiungerla bisogna attraversare il fiume su una barca tenuta insieme dalle preghiere. Prima io con Kiki che ha paura dell'acqua, poi Fra & Fra, poi gli altri con i soliti pacchi di derrate alimentari. E, indovinate un po', il povero Dino non viene, rimane ad aspettare Eddie.

Una volta approdati tutti, zaini e pacchi vengono caricati su un carrello trainato da una moto, noi cammineremo e Kiki ci dice che mancano tremila metri al sito ERU. Il sentiero è all'ombra di bellissimi alberi, ma caldo e umidità sono alle stelle a quest'ora quindi ci preoccupiamo. Per fortuna, l'inglese di Kiki non è perfetto: intendeva trecento metri.

Il centro di Tegal Yoso non è aperto al pubblico, ALeRT ha richiesto un permesso speciale per noi per conoscere i membri dell'unità e farci raccontare cosa fanno, inoltre, parte delle nostre donazioni sono andate anche a ERU.

Intorno a un grande tavolo di legno, dove ovviamente ci servono caffè, tè, anguria, ananas e cocco, chiacchieriamo con i mahout che si prendono cura degli elefanti del parco quando sono feriti, malati o salvati da situazioni di maltrattamento. Facciamo tante domande e per illustrare meglio tutte le attività, ci indicano i pannelli appesi alle pareti. Ci sono foto di alcune azioni di soccorso, come il salvataggio di un elefantino caduto in una buca ricongiunto alla sua mamma; i giri di pattuglia per rimuovere le trappole dei bracconieri, con foto dei vari tipi di trappole e come rimuoverle insicurezza; supporto alle squadre antincendio e recupero delle aree bruciate. C'è anche un pannello con tutte le fasi di “addestramento” di un elefante salvato. Insegnargli a sollevare una zampa o la proboscide a comando non è per dare spettacolo ai turisti come purtroppo accade in molte occasioni, ma serve a facilitare i controlli medici con i veterinari specializzati. Scopriamo che per i casi più gravi esiste perfino un ospedale per elefanti nella provincia. Alcuni esemplari possono poi essere rilasciati nel parco e, ricordando i comandi imparati dai mahout, aiutano a riportare nel parco quelli che sconfinano nei campi; altri restano ad abitare nei quattro siti ERU perché non si riesce a inserirli nei branchi per vari motivi e vengono accuditi dagli uomini con cui stiamo chiacchierando e che, secondo me, fanno uno dei mestieri più belli del mondo. È stato molto interessante ascoltare le storie delle loro imprese, ma siamo impazienti di incontrare gli ospiti proboscidati, inclusa Elena, l'elefantina salvata dalla trappola. C'è un grande maschio legato sotto un tendone vicino all'edificio in cui pranziamo, è un calore e quindi aggressivo con gli altri, per questo è tenuto in isolamento, ma i mahout vanno a prenderne altri quattro per farceli conoscere. Siamo eccitatissimi.

Mentre aspettiamo il loro arrivo, vengo umiliata da Eddie, che nel frattempo ci ha raggiunti con Dino, perché non solo conta in italiano fino a dieci come gli ho insegnato un anno fa, ma indicando gli escrementi raggruppati in un angolo, si ricorda pure “Cacca di elefante!”

Così ho imparato il 5 in bahasa: lima.

Arrivano gli elefanti. Camminano placidi tra gli alberi con i loro mahout sulle spalle. Un grosso maschio con una zanna sola, un giovane maschio con la sua mamma ed Elena che porta ancora sulla zampa le cicatrici della trappola che gliel'ha quasi tranciata. Sono meravigliosi. Guardarli arrivare dalla foresta con passo silenzioso nonostante la stazza è emozionante, una scena epica da film.

Sfilano davanti a noi, poi svoltano verso il fiume dove fanno due bagni al giorno e noi li seguiamo. Kiki ci chiama: “Simo and friends, this way” per indicarci il sentiero meno infangato. Simo & friends diventa il nostro nome collettivo. In un tratto di fiume circondato dalla splendida giungla tropicale, i pachidermi si sdraiano nell'acqua e si lasciano lavare e coccolare dai loro guardiani. Una bella lavata alle orecchie, via il fango dalle zampe, una controllatina ai denti. Sono bellissimi! Ci invitano a entrare in acqua con loro, ma non potremmo farci la doccia fino a sera e decliniamo, ma accarezziamo le proboscidi con cui prendono pezzetti di canna da zucchero dalle nostre mani. Dopo il bagnetto, li seguiamo di nuovo verso il centro, dove gli serviamo una lauta merenda di banane e patate comprate il giorno prima al mercato. Affido la macchina fotografica a Kiki e mi imbratto di banana schiacciata, saliva e amore di elefante. Qualcuno preferisce essere imboccato direttamente e la lingua cicciotta mi sbava mezzo braccio, ma non importa, sono ubriaca di tenerezza. Lo stesso è per Francesca e Francesco, felicissimi di incrociare gli occhi dolci e le forti proboscidi di questi maestosi animali, incuranti di sporcarsi perché è tutta natura (e tutti anticorpi).

Non vorremo andarcene, ma è giunta l'ora di tornare a casa. Ringraziamo ALeRT e i mahout di ERU per la giornata indimenticabile, scattiamo le foto di gruppo che servono sempre per le raccolte fondi e rifacciamo il percorso verso le auto.

Durante il viaggio di ritorno, concediamo al povero Dino di scegliere la musica e scopriamo che la rock band indonesiana che ascolta ci piace parecchio.

Abbiamo ancora negli occhi e nel cuore l'incontro con gli elefanti, non si lava via con la doccia e la sera siamo stanchi e soddisfatti nel nostro portico che profuma di zampirone. 

P.s. Francesco ha ripreso tutto con la GoPro montata sulla torretta accanto a noi, caricherò il video insieme agli album fotografici una volta a casa

giovedì 23 ottobre 2025

Le star del mercato

Da quando siamo a Sumatra, accade sempre qualcosa intorno alle 2.30 di notte. Dopo le vampate e il gallo, la seconda notte un temporale spaventosissimo ha scaricato un tris di fulmini così vicino a noi che mi sono affacciata alla finestra sicura di vedere un incendio. Si è sentito proprio il crack dell'aria che esplode, mi è capitato poche volte nella vita di udire tuoni così tremendi. Per fortuna non è successo nulla, a parte che Francesco aveva il cellulare in carica e il caricabatterie non ha funzionato per un giorno, poi si è magicamente ripreso.

La mattina, abbiamo fatto colazione sul tavolo troppo basso e alle 8 sono arrivati i ragazzi con due auto, niente jeep perché non saremmo entrati nel parco. Dan, Kiki e Eddie su una, mentre nell'altra Fra & Fra dietro, io davanti e il povero Dino alla guida. Povero perché ha pescato la pagliuzza corta e gli è toccato viaggiare con noi. Non parla inglese, sorride soltanto, e resta sempre un po' escluso dalle conversazioni. In più, quando c'è da caricare e scaricare roba dalle auto, i carichi pesanti toccano sempre a lui, come le angurie e le noci di cocco. L'anguria non manca mai da quando l'anno scorso sono diventata campionessa mondiale, la portano apposta per me. Ananas per Francesca e noci di cocco per tutti. Dino porta il sacco pesante della frutta, gli altri i sacchettini con i pranzi al sacco.

Abbiamo avuto un altro incontro in un altro villaggio dove, però, i partecipanti alla discussione non sembravano molto interessati al tema della tutela della natura. Hanno accettato in donazione, sempre con certificato e foto, una fornitura di lampade ricaricabili per il pattugliamento dei confini del parco, sia frontali che da appendere e con luci antinebbia per quando le forti piogge riducono la visibilità. Abbiamo avuto l'impressione di una riunione più che altro politica, di semplice rappresentanza, perché quando Dan ha spiegato che siamo venuti dall'Italia per sostenere ALeRT, ci hanno fatto domande sul calcio. Mentre il giorno prima a Susukan Baru i capi villaggio erano davvero coinvolti e la discussione era incentrata su problemi concreti, scambio di idee e opinioni sulla sostenibilità, e dell'Italia ci hanno domandato dei parchi nazionali, della gestione degli animali selvatici che sconfinano in città e del clima. Insomma, per fortuna abbiamo donato strumenti e non soldi, almeno siamo certi che andranno alla comunità e dell'uso che ne sarà fatto.

Dopo pranzo, ci siamo diretti al mercato locale per fare scorta di frutta da portare agli elefanti il giorno dopo, ma noi avevamo anche una lista della spesa: tè per Francesca, caffè per me (sì, me ne hanno regalato tre pacchetti, ma me ne serve di più per tirare la prossima volta a Sumatra), banane da tenere in camera come spuntino ricostituente per quando fa troppo caldo e zampironi da accendere nel portico la sera, così possiamo cenare e restare a chiacchierare senza il fastidio delle zanzare, anche se qui non sono tante e fastidiose quanto in Borneo. Il povero Dino, ci scarica e va a cercare parcheggio, intanto noi ci infiliamo tra le bancarelle con Dan e Kiki che ci guidano seguendo la lista. Tre stranieri in un piccolo mercato di paese si notano immediatamente, infatti, veniamo avvicinati da diversi clienti, passanti e mercanti, ma non per venderi qualcosa o spingerci alla bancarella dell'amico: volevano solo farsi fotografare con noi! Chi si faceva un selfie, chi ci faceva mettere inposa davanti al suo banco, chi chiamava gli amici per una foto di gruppo. Un signore in sarong che parlava un ottimo inglese ha chiacchierato un po' con Francesca ed è stato felice di sapere che ci troviamo al Way Kambas per attività di volontariato per la protezione della foresta e degli animali; una signora ci ha perfino invitati a casa sua, ma abbiamo ovviamente dovuto declinare l'invito. Dan si scusava per il disturbo, ma non serviva, anzi, dopo l'imbarazzo inziale, ci siamo sentiti delle star. Per un'iniezione di autostima questo mercato è il posto giusto.

Prima di tornare alla nostra guesthouse, abbiamo visitato il nuovo ufficio di ALeRT che è molto più grande e attrezzato di quello in cui ho lavorato nel 2017, però è più lontano dal nostro paesino e, quando Dan deve lavorare fino a tardi ha anche una stanza lì dove dormire. Ha mostrato a Francesca e Francesco una presentazione su grande schermo delle attività dell'associazione e della situazione nei vari siti di riforestazione. Sono così fiera di questi ragazzi! Spero che il nostro supporto e interesse li aiutino a non scoraggiarsi perché una battaglia immensa quella che stanno combattendo per un futuro più sostenibile e verde in un paese che subisce lo sfruttamento internazionale e soffre dei cambiamenti climatici. Gli scienziati hanno già previsto per il 2027 una lunga siccità a causa del fenomeno chiamato El Nino, riscaldamento delle acque superficiali oceaniche che porta inondazioni da un lato e siccità dall'altro, che qui significa enormi incendi. I ragazzi si stanno già preparando, creando bacini di raccolta dell'acqua piovana e creando corridoi tagliafuoco nelle aree più vulnerabili del parco.

mercoledì 22 ottobre 2025

Anguria, spaghetti e buon caffè

Dopo aver salutato i ragazzi di ALeRT la sera del nostro arrivo, una gatta in calore ci ha reso difficile addormentarci, alle 2.30 mi svegliano vampate infernali da menopausa (io, il disagio, me lo porto da casa) tanto che devo riaccendere il condizionatore, poco dopo un gallo tarato sul fuso orario sbagliato comincia a cantare nel cortile di fronte alle nostre stanze, poi alle 4.30 arriva il richiamo il muezzin e alle 6 la bambina dell'affittacamere si mette a cantare prima di andare a scuola. Malgrado tutto questo e la colazione sul tavolino basso, la prima mattina al Way Kambas ero felice e pronta a cominciare questa nuova parte del viaggio.

Dan, Eddie, Sarpin e quello che abbiamo finito per chiamare il povero Dino (ne scoprirete il motivo nei prossimi post) sono venuti a prenderci alle otto. Dan ci ha presentato una nuova collega, la giovane Kiki, e io esulto: finalmente una donna in squadra! Era dai tempi di Eka ed Eni che ero sempre l'unica nel gruppo. Kiki parla un discreto inglese, è minuta e graziosa come una bambolina e indossa il cappellino di ALeRT con il logo della campagna per la salvaguardia dell'anatra alibianche (asacornis scutulata) sopra l'hijab.

Il programma della giornata prevede visita al sito di Susukan Baru per mostrare e raccontare a Fra e Fra le attività dell'associazione; installazione di una camera-trap nella foresta; incontro con due capi villaggio nell'ufficio dei ranger per discutere del conflitto uomo-elefante.

Mi porto dietro gli spaghetti, li cucineremo per pranzo.

Mi è piaciuto tanto ripercorrere in jeep gli sterrati attraverso villaggi, piantagioni di ananas e cassava e poi le piste dentro il Way Kambas fino al rifugio di Susukan Baru. Questi panorami appartengono a tanti miei ricordi e ritrovarli mi fa sentire a casa, serena, appagata e sono felicissima di condividerli con Francesca e Francesco dopo avergliene parlato tanto. Lui mi prendeva in giro, dicendo che avevo inventato tutto, che i miei amici erano immaginari e che avevo ingaggiato delle comparse cinesi travestite da indonesiani per rendere verosimile la messinscena. In realtà, si sono trovati entrambi benissimo con il gruppo fin da subito.

La Fra adora le mappe e si è fatta spiegare da Dan quelle appese nel rifugio, poi visitano la nursery delle piantine e ne scegliamo alcune da trapiantare nelle buche che i ragazzi stanno già scavando per noi poco lontano. Compio la missione per papà, poi Francesca e Francesco piantano i loro alberi per Sumatra, mentre si scattano le foto di rito che sono utili ad ALeRT per promuoversi nelle scuole, nelle comunità, tra i turisti e nel presentarsi a possibili nuovi finanziatori, soprattutto quando ritraggono noi stranieri. Non per darsi un tono da associazione internazionale, ma per dimostrare che anche un piccola realtà può ottenre grandi risultati, che tanti piccoli gesti messi insieme possono fare la differenza anche per qualcuno che abita a un oceano di distanza,

Tornati all'ombra del rifugio, mi gusto il primo caffè nella foresta, quel momento di riposo, fuga dalla calura e chiacchierate che amo tanto. Arriva anche la frutta tagliata a colpi di machete: succosa anguria per me, dolcissima ananas che piace tanto a Francesca e un'uva verde dagli acini grossi come palline da ping pong che diventa il nuovo frutto preferito di Francesco. L'abbiamo chiamata uvaprugna perché il sapore ricorda entrambi i frutti.

Prima di pranzo, riprendiamo la jeep e il pickup con le panche sul cassone per andare a installare una videotrappola. Siamo arrivati in jeep, ma vogliamo provare a viaggiare all'aperto sulle panche, meno comodo, ma più avventuroso. Giunti sul luogo scelto per monitorare la fauna di passaggio, tutti saltano giù dal pickup senza problemi, Quando tocca a me, atterro a piedi uniti e cado all'indietro come le zie ubriache ai matrimoni e facendo questo pensiero comincio a ridere così tanto che quasi non riesco a rialzarmi. Sono proprio scema. Comunque facciamo una breve camminata nell'erba alta e ci addentriamo nella foresta fino a un ruscello dove la terra è smossa dalle impronte degli animali che vengono ad abbeverarsi, perfetto per incatenare la camera trap a un albero. La cifra che abbiamo pagato per questi giorni a Sumatra comprende anche le donazioni a supporto di vari progetti, incluso questo, per cui Dan ci promette che condividerà con noi i filmati recuperati mensilmene dalla scheda di memoria.

Rientriamo a Susukan Baru per pranzo. La sera precedente, abbiamo chiesto di comprarci cipolle e pomodori perché volevamo cucinare gli spaghetti per loro, la difficoltà stava nel farlo utilizzando l'unico fornello del rifugio e le pentole disponibili. In quelle più grandi avevano fatto bollire l'acqua da bere per riempire le borarcce e si stava ancora raffreddando, quindi avevamo una specie di grossa wok per cuocere la pasta e una pentola annerita dal fuoco per il sugo. Ce le siamo fatte andar bene. Dato che la preparazione richiedeva un po' di tempo, abbiamo detto ai ragazzi di cominciare a mangiare i pranzi al sacco cucinati per tutti dalla moglie di Eddie (quella di Hari era impegnata questa settimana). Pollo, riso e verdure per i normali, burger di verdure con contorni vari per me. La parte difficile è stata scolare gli spaghetti usando un colino troppo piccolo, ma alla fine abbiamo messo in tavola la grande wok con un chilo di spaghetti al pomodoro e ognuno ne ha assaggiato un piatto. Per i loro gusti, mancava un po' di piccantezza, ma hanno apprezzato lo stesso, qualcuno aggiungendo la salsa di peperoncino. In effetti, avremmo potuto fare un sugo all'arabbiata. Abbiamo escluso aglio, olio e peperoncino perché farla con l'olio di palma al posto di quello d'oliva sarebbe stato un crimine.

Francesca e Francesco cominciano a conoscere i ragazzi e prendere confidenza con questa nuova atomosfera. Non avevo dubbi che si sarebbero piaciuti reciprocamente: ho portato belle persone da altre belle persone.

La cifra che abbiamo pagato per il soggiorno a Sumatra con ALeRT comprendeva anche donazioni per il progetto sulla gestione del conflitto uomo-elefante e Dan vuole mostrarci cosa abbiamo pagato in concreto, quindi nel pomeriggio ci ha organizzato un incontro con i leader di due villaggi che beneficiano del programma. L'appuntamento è sotto il portico di uno dei posti di guardia dei ranger che presidiano gli ingressi del Way Kambas. Ci sono il signor Ansori del villaggio Rju e il signor Sukiman del vilalggio Muara Jaya, ci accomodiamo con loro e i ranger ci chiedono quale bevanda calda gradiremmo bere, come si usa con ogni ospite che siede in ogni portico dell'Indonesia, c'è sempre dell'acqua che bolle e, che ci crediate o no, bere qualcosa di caldo funziona, si smette di sudare in pochi minuti e ci si idrata. Rispondo in lingua bahasa un caffè per me e due tè per Fra e Fra: satu kopi, dua teh. Poi guardo Dan e gli dico: “Vedi, non posso portare con me troppi amici perché non so i numeri dopo il tre per ordinare da bere.” Scoppia a ridere, sia lui che i Franceschi mi sfottono perché vengo in Indonesia da 15 anni e so contare solo fino a tre. E va bene, oggi imparo il quattro: empat.

Discutiamo del problema. Gli elefanti sconfinano nei campi coltivati sia per la riduzione dell'habitat naturale, sia perché sono golosi delle piante di riso, mais e cassava. La posizione dei gruppi di elefanti è rilevata con segnalatori GPS messi addosso ad alcuni esemplari e monitorata tramite un'applicazione che però si aggiorna ogni sei ore. Se un branco si avvicina a un villaggio, i ranger si coordinano con gli abitanti per disporsi lungo il confine e rimandarli indietro, fino a oggi agitando delle torce o sparando. Il problema è che comunicano tramite gruppi whatsapp e qualcuno potrebbe condividere le informazioni con i bracconieri. Con le nostre donazioni ALeRT ha acquistato uno scatolone di fuochi artificiali da sparare in aria per indurre gli elefanti ad allontanarsi, più efficace delle luci, soprattutto quando piove e la visibilità è ridotta. Insieme allo scatolone, consegnamo un certificato di donazione ufficiale con i nostri nomi, cosa che ci rende molto orgogliosi. Scattiamo le foto di rito con i capi villaggio e i ranger che sono sempre buona pubblicità per l'associazione, in particolare quando ci sono stranieri di mezzo. È bello vedere come vengono spesi i soldi donati e perfino conoscere di persona chi ne beneficia perché sa che abbiamo a cuore il problema.


Mentre ci congediamo, Dan mi chiede se ricordo di essere già stata in questo ufficio del parco e, in effetti, mi torna in mente che proprio qui nel 2017 eravamo approdati dopo un estenuante giro di pattuglia a rimuovere trappole e ponti piazzati dai bracconieri. All'improvviso il caldo di oggi mi sembra nulla a confronto di come eravamo ridotti quella sera.

Torniamo al nostro alloggio soddisfatti della prima giornata a Sumatra e io sono particolarmente felice che Francesca e Francesco si siano sentiti a proprio agio fin da subito. Benvenuti nella famiglia di ALeRT!

martedì 21 ottobre 2025

L'albero Alberto

 La prima cosa che ho fatto a Sumatra è stata piantare con le mie mani l'alberello per il mio papà. 




Crescerà bello e forte, proteggerà altre piantine da troppo sole o troppa pioggia, sarà un posto sicuro e accogliente dove fare il nido, porterà allegria nella foresta e, siccome non ne ho capito il nome indonesiano, diciamo che la specie è coso. Papà, è proprio il tuo albero!


L'Alber(t)o Colombo si trova nel sito di riforestazione ALeRT di Susukan Baru nel parco nazionale Way Kambas. 

lunedì 20 ottobre 2025

Arrivederci, Kalimantan e benvenuti a Sumatra

L'ultima sera, abbiamo cenato in klotok per sentirci ancora immersi nella giungla. Partendo poco prima del tramonto ce lo siamo goduto in navigazione. Sembrava una cartolina vivente, con la splendida luce dorata del sole calante che illuminava le punte degli alberi e rimbalzava sull'acqua.

Mentre la cuoca ci preparava i suoi deliziosi manicaretti, contemplavamo il panorama e abbiamo incontrato un gruppo di piccoli macachi che giocava sulla riva. Più avanti, su un albero che svettava sopra gli altri, abbiamo avvistato una scimmia che finora ci era sfuggita: il Presbite Argentato. All'inizio ce n'era solo uno, poi due, tre, e altri ne sbucavano dal fogliame, arrampicandosi su per il tronco. Si sono accomodati ognuno su un ramo come decorazioni natalizie. Grazie, Kalimantan, per quest'altra sorpresa.

Il capitano con l'immancabile canottiera bianca ha spento il motore e legato il klotok sulla sponda del parco nazionale, sotto un gruppo di alberi che allungavano i rami verso il fiume e che un branco di Nasica aveva scelto come rifugio per la notte. C'erano femmine e cuccioli proprio sopra di noi e un grosso maschio più all'interno che a un tratto ha cominciato a innervosirsi, probabilmente per l'avvicinarsi di un altro branco. Infatti, mentre lui faceva versi minacciosi, tutte le altre scimmiette si sono agitate, saltando tra i rami verso un altro albero dove è cominciata una lite con urla e foglie che volavano dappertutto. Pareva di assitere al classico alterco per il parcheggio e il bisticcio si è smorzato gradualmente insieme alla luce del sole che sfumava dietro le sagome scure di piante stupende.

Le piogge di questi giorni, torrenziali a tratti, hanno dissetato e ripulito la foresta, rami spezzati e foglie si incontrano nel fiume formando isolotti galleggianti che si arenano sulle riva o viaggiano verso il mare trascinati dalla corrente. Alcuni trasportano semi che fioriscono durante il tragitto in alti cespugli d'erba. Osservando il klotok dal ponte posteriore, nella scarsa luce del crepuscolo, ho avuto l'impressione che si muovesse. Guardando meglio, ho notato che era fermo rispetto alla riva dove eravamo ancorati, mentre era qualcos'altro a muoversi sul fianco opposto: una grossa isola galleggiante si è appoggiata alla nostra barca, scivolando lentamente contro il legno per poi superarci e proseguire il suo viaggio verso il mare.

Si era fatto ormai troppo buio per vedere qualcosa, tantomeno fotografare, quindi l'equipaggio ci ha servito la cena, con uno zampirone acceso sotto il tavolo.

Siamo rientrati presto al lodge, ma alle otto e mezza qui sembra mezzanotte, e fatto il check in online per tornare a Jakarta e da lì subito a Sumatra, siamo andati a nanna visto che ci aspettava una levataccia. Per la gioia di Francesco, quando il maggio scorso, prenotando Rimba, ci avevano chiesto di scegliere tra partire dal lodge alle 4 del mattino o trascorrere l'ultima notte a Kumai per essere comodamente in aeroporto in tempo per prendere il volo dell 8.10, io e sua moglie abbiamo scelto la prima opzione. E così, sveglia alle 3.30 con lui che ha lo sguardo che bestemmia gli dei di tutte le religioni, mentre io e la Fra salutiamo ogni scimmietta, uccello, albero e il molo di Rimba.

A bordo, Krisna ci fa compagnia per il caffè, ma chiediamo di aspettare un'oretta prima di servire cose da mangiare, tanto ne servono due per arrivare a Kumai. Restiamo in silenzio o parliamo sottovoce anche se il motore del klotok sveglia tutti i turisti che dormono sulle barche lungo il fiume. Il cielo è scuro e coperto, ma le aperture tra le nuvole ci lasciano vedere tante stelle, la Via Lattea e riconosco la Cintura di Orione che vedo anche da casa in posizione diversa.

Quando lasciamo il fiume Sekonyer e ci immettiamo nel Kumai, salutiamo la giungla. Alla vista dell'insegna del parco nazionale Tanjung Putin con la statua dell'orangutan che saluta che si allontana alle nostre spalle quasi mi commuovo. Com'è possibile che proprio io, nata dall'altra parte del mondo, in città, in un ambiente dove tutto è facile e confortevole, incapace di praticare qualsiasi sport, sfiancata da una rampa di scale, mi senta a casa nella foresta pluviale? È un mistero, ma è quello che sento.

Al molo dell'ufficio di Ecolodges nel porto di Kumai, scattiamo una foto di gruppo con Krisna, Capitan Canotta, la cuoca e il mozzo-cameriere-tuttofare che in questi giorni si sono presi tanta cura di noi. Purtroppo il capitano si è messo la maglietta.


 Ringraziamo e salutiamo l'equipaggio, mentre Krisna ci porta in aeroporto a Pangkalanbuun. È stato un piacere conoscerlo, ci ha dato tante informazioni e ci ha fatto ridere con il suo humor nero e le sue indistruttibili Crocs blu tutte infangate. Terima kasih!

Due brevissimi voli dopo, usciamo dall'aeroporto di Bandar Lampung, sull'isola di Sumatra che è sempre Indonesia, ma è un altro mondo. Nessuna di queste diciassettemila isole si somiglia ed è il motivo per cui adoro questo arcipelago: in mezz'ora di volo si cambiano panorama, animali, piante, usanze, costo della vita, dialetto, condizioni delle strade, abbigliamento, cibo... 

Il mio fratello indonesiano Dan mi avvisa che c'è un taxi per noi all'uscita che ci porterà alla guesthouse, dove lui e gli altri ci raggiungeranno dopo cena. Infatti, troviamo un signore molto cordiale con il cartello “Simo & friends” in mano. Ci dice di aspettare sul marciapiede mentre va a prendere la macchina. C'è abbastanza traffico per un aeroporto così piccolo e poiché tutte le auto hanno i vetri oscurati non possiamo riconoscere il nostro autista. In coda c'è un macchinone nero con led colorati sul muso. Vuoi vedere che il nostro taxi è quello tamarro? Ma certo!

Le due ore di tragitto fino al parco nazionale Way Kambas scorrono lente, non vedo l'ora di arrivare. Sono anche curiosa di scoprire dove si trovi e come sia la guesthouse che ci ha trovato Hari. Io sono felicissima di supportare la sua nuova attività e orgogliosa di lui per aver avuto il coraggio di lasciare un posto di lavoro sicuro all'Ecolodge Satwa per un progetto di turismo sostenibile che coinvolga la comunità, con una sua rete di affittacamere, di giovani formati da lui per fare da guide ai turisti, di autisti, di lavanderie e tutto quello che può servire per incrementare l'offerta turistica locale. In fondo, per molto tempo il Satwa è stato l'unica opzione per chi volesse visitare il Way Kambas, chi non trovava posto o non se lo poteva permettere doveva rinunciare. Ora, grazie a Hari, esistono alternative e siamo qui anche per valutare il servizio e dargli la nostra opinione.

Non sapendo cosa aspettarmi da questa inedita sistemazione, ero un po' preoccupata per Francesco che aveva trovato poco confortevole il lodge di Rimba e stava probabilmente per finire in una casa sgangherata di Sumatra con il bagno senza doccia (tinozza e pentolino sono tipici indonesiani) e senza acqua calda, con un ventilatore a piantana al posto del condizionatore e scarsa o inesistente connessione a Internet. La Fra ha il superpotere di infondere serenità e allegria ed è uno dei motivi per cui la adoro, inoltre, per professione, è abituata a incoraggiare e tranquillizzare donne in travaglio, quindi sapevo di poter contare su di lei per far digerire a suo marito un nuovo livello di disagio.

Le cose, invece, sono andate in maniera totalmente inaspettata.

L'autista del taxi tamarro ci fa scendere nel cortiletto sterrato di una casa tutta bianca esattamente di fronte al Satwa, cioè a trecento metri dall'ingresso del Way Kambas. Ci accoglie una ragazza carinissima che ci consegna le chiavi di due stanze affacciate sul portico piastrellato perché resti fresco durante le calde giornate tropicali. Mi aspettavo di condividere la casa con una famiglia, come ero stata ospite dalla signora Titin anni fa, di fare colazione nella loro cucina, cose del genere. Alla casa, invece, è stata aggiunta un'ala con ingresso indipendente a tre camere dotate di bagni privati. Non dico di essere delusa, ma avevo immaginato un'esperienza diversa. Francesco, d'altro canto, l'ha presa benissimo, meglio che in Kalimantan. Anzi, era sollevato e contento della sistemazione, non si è nemmeno scomposto quando abbiamo scoperto che i bagni sono (almeno quelli) di tipo tradizionale: niente doccia né lavandino, solo water e rubinetto sopra la tinozza con il pentolino di plastica appeso all'attaccapanni. Ci sono perfino l'aria condizionata e connessione Internet con la fibra. È meglio di casa mia!

La cena ci viene servita alle sette nel portico, su un tavolino pieghevole troppo basso per gli sgabelli di legno in dotazione, quindi dobbiamo mangiare chinati sul tavolo o tenere i piatti in mano. Oh, almeno un po' di disagio come piace a me!

Verso le otto, un'auto parcheggia davanti alle nostre porte e ne scendono Yahya, Eddi e il mio caro Dan. Li abbraccio tutti, soprattutto Dan, con cui sono in contatto e in confidenza tutto l'anno. Fra e Fra escono dalla loro stanza e si presentano. I ragazzi ci consegnano un sacchetti di carta colorati che contengono le nostre magliette da volontari con la scritta Guardian of the wild e cappellini. Nel mio sacchetto ci sono anche tre etti del mio caffè preferito. Noi ricambiamo con i doni dell'Italia: la Fra ha portato scorte di disinfettante, garze sterili e bende varie che servono sempre, sia nella foresta che nei villaggi; io un chilo di spaghetti.

Ci sediamo sul pavimento del portico, come si usa qui, a chiacchierare e ripassare il programma dei prossimi giorni, mentre il padrone di casa offre bicchieri di caffè. Sapendo che ci eravamo svegliati alle 3.30, Dan ci invita ad andare a dormire, loro avrebbero finito di bere e sarebbero tornati a casa per venire a riprenderci il mattino dopo alle otto. La Fra e il Fra si congedano, è vero che i voli sono stati brevi, ma ci siamo alzati che era ancora notte e, avendo viaggiato con due compagnie diverse, a Jakarta abbiamo dovuto ritare i bagagli e andare a imbarcarli di nuovo in un altro terminal. Era stata una lunga giornata, in effetti. Io, però, dico che resto ancora un po' con loro. “Ma non sei stanchissima?” “Lo sono, ma adesso sono troppo eccitata per essere tornata da voi e non riuscirei a dormire.”

Ridono tutti, la banda è riunita, come i Blues Brothers, e al mattino comincerà una nuova strepitosa parte di questo viaggio che non vedo l'ora di condividere con Francesca e Francesco.