venerdì 21 aprile 2017

Auguri a me da me

Ho programmato questo post tempo fa perché fosse pubblicato automaticamente il giorno del mio compleanno. Per fare le cose in grande, l'ho fatto in stereo, infatti lo trovate uguale sull'altro blog
È un po'come spedire un biglietto d'auguri a me stessa, un biglietto di quelli esposti nelle cartolerie. Ne ho scelto uno con una poesia di Hemingway sul frontespizio.

Tu non sei i tuoi anni,
né la taglia che indossi,
non sei il tuo peso
o il colore dei tuoi capelli.
Non sei il tuo nome,
o le fossette sulle tue guance,
sei tutti i libri che hai letto,
e tutte le parole che dici
sei la tua voce assonnata al mattino
e i sorrisi che provi a nascondere,
sei la dolcezza della tua risata
e ogni lacrima versata,
sei le canzoni urlate così forte,
quando sapevi di esser tutta sola,
sei anche i posti in cui sei stata
e il solo che davvero chiami casa,
sei tutto ciò in cui credi,
e le persone a cui vuoi bene,
sei le fotografie nella tua camera
e il futuro che dipingi.
Sei fatta di così tanta bellezza
ma forse tutto ciò ti sfugge
da quando hai deciso di esser
tutto quello che non sei.

Quello che invece mi sono scritta all'interno del biglietto è una cosa tra me e me :)

mercoledì 19 aprile 2017

Il Signore dei Viaggi

Cari lettori,
metto in pausa il blog per due settimane. Oggi mi sposto in Sri Lanka.
Siccome ho un programma di esplorazione dell'isola molto intenso e credo sarà difficile trovare la connessione internet, non vi assicuro che riuscirò a pubblicare. Ogni tanto passate pure di qui a dare un'occhiata, ma è più probabile che vi racconti di Ceylon alla fine del viaggio, con un post corposo quanto una saga fantasy e quindici milioni di foto.
Au revoir.


«Voltato l'angolo forse si trova
Un ignoto portale o una strada nuova;
Spesso ho tirato oltre, ma chissà,
Finalmente il giorno giungerà,
E sarò condotto dalla fortuna
A est del Sole, ad ovest della Luna»

 Estratto da Il canto della strada, J.R.R. Tolkien

sabato 15 aprile 2017

Giornata storta

Certi giorni, qualunque cosa pianifichi va per il verso sbagliato e il giorno in cui ho deciso di andare al mare è stato, purtroppo, uno di quelli.
Con Atik avevo pensato di andare a White Sand Beach, vicino a Padangbai, fare un po' di snorkeling tra i pesci della barriera corallina poco lontana dalla riva, pranzare, e poi proseguire per Virgin Beach, poco fuori Candidasa, infine tornare a Ubud per cena. Avevo voglia di nuotare e mostrarvi due spiagge tropicali degne delle fantasie su questi luoghi, al contrario di Seminyak.
Il destino, però, si è messo di traverso in ogni modo.
Prima di raccontarvelo, mi concedo una parentesi di ricordi sulle due cittadine che fanno da riferimento sulla mappa di Bali. Padangbai è un grazioso paesino di pescatori sorto intorno a un porto commerciale dal quale partono i traghetti per Lombok e per le isole Gili. Ripenso alla manciata di giorni trascorsi sette anni fa sulla minuscola Gili Meno e credo di non aver mai più provato la stessa sensazione di isolamento e lontananza dal mondo. Un'intensa esperienza da eremita che un giorno mi piacerebbe rivivere. Candidasa, invece, mi fa tornare in mente una sciocchezza, il cartello esposto in un bar dove ci fermammo a bere: Men, no shirt no service. Women, no shirt free drink. (Uomini, niente maglietta niente servizio. Donne, niente maglietta drink in omaggio.)
Ma torniamo al presente.

mercoledì 12 aprile 2017

A pranzo nel vulcano

Negli anni avete letto le mie storie su Stromboli, Kelimutu, Anak Krakatau, Kilauea, Mauna Ulu, il supervulcano Toba col suo lago e altri post da appassionata di geologia, soprattutto dalle Hawaii. Oggi aggiungo alla lista un nuovo vulcano, anzi, una bella caldera del diametro di 13 chilometri, tra le più grandi al mondo. 
Signore e signori, vi presento il Monte Batur.


Come vi mostra bene il satellite di Google, il cono a due bocche del Batur è la punta di un iceberg fatto di magma anziché di ghiaccio. L'omonimo lago a forma di mezzaluna riempie una parte di caldera fino a un altro cono, il Monte Abang. A sud ovest della caldera c'è la montagna più alta, e più sacra, di Bali: il Monte Agung. Tutti questi vulcani sono ancora attivi, la più recente eruzione del Batur è stata nel 2000 e la verniciata nera sul suo fianco che vedrete nelle foto non è un'ombra, ma l'ultima colata di lava. 


Ieri, dopo colazione, sono partita in motorino con Atik che conosce la zona perché una sua ex compagna di università, Ayu, abita lì vicino. Ottima scusa per una gita che non mi andava di fare da sola. Lungo la strada tra Penelokan e Kintamani si trovano molti punti dai quali scattare foto del panorama e ne abbiamo approfittato mentre aspettavamo Ayu. Quando è arrivata col suo sorriso simpatico e tutta chiusa nel suo giubbotto - e va bene che l'aria del mattino a 1700 metri è fresca, ma non così tanto - ci ha guidato giù per la strada che scende al lago. Ci siamo inoltrate in un paesaggio di blocchi di lava solidificata e rocce scagliate in aria dalle eruzioni del Batur, le più vecchie sepolte dalla vegetazione, ma molte ben visibili a ricordarmi dove mi trovavo.

Intorno al lago sorgono quindici villaggi, alcuni raggiungibili solo in barca, e ci siamo fermate a pranzare in un ristorante galleggiante, cioè con i tavoli su piattaforme di legno tenute a galla da bidoni vuoti, come le zattere dei naufraghi, ma saldamente ancorate l'una all'altra così non ho sofferto il mal di lago. La vista dall'interno della caldera è impressionante e le creste che le fanno da corona si moltiplicano nello specchio del lago. Vorrei essere una fotografa migliore, ma, come dico sempre, nulla sostituisce una visita di persona. Quando il vento ha cominciato a radunare qualche nube troppo scura sopra le nostre teste, ci siamo dirette a casa di Ayu.
L'attività vulcanica ha reso molto fertili i terreni circostanti e la zona è famosa per gli alberi da frutto, infatti, lungo le vie secondarie si trovano molte bancarelle di contadini che vendono i loro prodotti appena raccolti. Di nuovo, la mia fortuna di essere stata adottata da balinesi mi ha portata dove i turisti non pensano nemmeno di andare. La famiglia di Ayu ha giusto un frutteto che lei non vedeva l'ora di mostrarci. Camminando e chiacchierando tra mandarini, banane, guava e caffè, Ayu riempiva di frutta un grosso sacco giallo che, alla fine della passeggiata, abbiamo scoperto essere un regalo per Atik e me. Saranno stati dieci chili di mandarini, ma non contenta ha mandato un suo parente su un albero per raccoglierci anche qualche frutto di guava. Ed ecco come eravamo cariche lasciando Kintamani.

Una delle strade che tornano verso Ubud, passa per Tegalalang, un paesino celebre per la vista sulle risaie a terrazza più ripide dell'isola. Erano le due e mezza del pomeriggio, l'orario più indicato dai dermatologi per stare sotto il sole equatoriale senza protezione, e malgrado questo la strada e i sentieri che attraversavano i terrazzamenti traboccavano di turisti. Ci siamo fermate appena il tempo di scattare qualche foto e siamo fuggite a casa. Conviene andarci la mattina presto, segnatevelo.

Vi lascio al nuovo album e vado mangiarmi un mandarino perché bisogna pur smaltire 'sta frutta prima che il caldo la rovini, no?



domenica 9 aprile 2017

Come estendere il visto turistico indonesiano

Il post di oggi è un po' tecnico, mi perdoneranno i lettori in cerca d'avventura, ma sperando che sia utile ad altri viaggiatori, vi spiego in dettaglio cosa fare per rimanere in Indonesia sessanta giorni da turisti. Chiaramente, parlo della mia esperienza e le informazioni che troverete di seguito sono valide nel momento in cui scrivo, ma potrebbero subire variazioni nei prossimi mesi o anni, perciò cercate sempre conferme e aggiornamenti sui siti ufficiali. Seguite le indicazioni degli impiegati dell'ufficio immigrazione e non avrete problemi, a parte le lunghe attese, ma da italiani dovreste esserci abituati.

Leggendo in rete della procedura per estendere il visto turistico indonesiano, mi ero preparata a incontrare il demone della burocrazia, armandomi di infinita pazienza. In realtà, forse ancora complice la bassa stagione, è stato meno complicato di quanto pensassi. Le agenzie che offrono il servizio di rinnovo del visto, a pagamento ovviamente, sono abbastanza inutili secondo me: non sbrigano le pratiche al vostro posto, si limitano a farvi accompagnare e assistere da un loro impiegato, ma dovete comunque recarvi di persona all'ufficio immigrazione tutte le volte.

Cominciamo, però, dal principio.

venerdì 7 aprile 2017

Vivere alla balinese

Quando ho cominciato a viaggiare ho scoperto la reale dimensione delle cose. Viste da casa, alcune sembrano più grandi, altre più piccole, poi le vedi, le incontri, le conosci e ti sorprendi di quanto fosse distorta la tua precedente visione. Perché si realizzi una scoperta, però, è necessario aprirsi a un luogo sconosciuto. E un luogo non è soltanto un dove, ma anche un come, un chi e un perché. È fatto di suoni, odori, colori, voci, sapori, panorami, persone, architetture, situazioni, animali, temperature, usanze, parole, piante, armonie e discrepanze. Tutto questo, e molto ancora, ci fa amare o detestare un luogo. 
Secondo la mia idea di viaggio, non hai viaggiato se non torni con un po' di quel luogo addosso e dentro, se non ti sei lasciato un po' cambiare e non per forza in positivo perché puoi tornare arricchito, ma anche sentirti derubato di tempo e denaro. Non sto mitizzando il viaggiare, è un'esperienza e come ogni esperienza può farci bene o male, ma se non ci fa nulla, allora non l'abbiamo vissuta.
Vi racconto tante cose belle, ma Bali non è il paradiso, è piena di problemi come ogni altro luogo al mondo. Io, però, cerco quello che ogni luogo ha da offrire di bello e spesso lo trovo.

stop ai cattivi
In questi giorni ho preso una stanza in affitto presso una famiglia balinese appena fuori dal centro di Ubud e quello che sto vivendo insieme a genitori e figlia è qualcosa che nessun albergo a cinque stelle potrebbe darmi. 

Aggiungo qualche foto in fondo all'album di Ubud per mostrarvi la casa e gli eventi di questi giorni, ma sapete che ritrovate tutti gli album nella pagina foto de passacc, vero? 
L'abitazione è di quelle tradizionali. Si accede attraverso un vialetto strettissimo e ci si trova davanti una statua con la mano alzata nel gesto di impedire l'accesso agli spiriti maligni che, secondo il mito, sanno camminare solo diritto e, trovandosi la via bloccata, sono costretti a retrocedere. Quelli benigni, invece, girano intorno alla statua ed entrano. All'interno, sembra di trovarsi in un villaggio di casette minuscole, a un solo piano, con i tetti di tegole alti e spioventi, ognuna rialzata di uno o due gradini, ognuna con una veranda e i pavimenti di piastrelle colorate. In realtà, le singole “casette” sono le stanze che compongono la casa e sono collegate da vialetti scoperti, lastricati e decorati. Se piove, insomma, si corre sotto l'acqua dalla cucina al salotto, dal bagno alla camera da letto. Un'area del cortile è destinata al tempio di famiglia dove si celebrano i rituali quotidiani, mentre per le preghiere comuni nei giorni di festa si va in quello di Monkey Forest.

scorcio di casa
La famiglia mi ha accolta con un calore e una gentilezza che vanno oltre il normale rapporto inquilino/padrone di casa. La figlia, Atik, parla un buon inglese e abbiamo chiacchierato, anche mentre mi accompagnava in motorino a Denpasar a ritirare il mio passaporto (evviva! Nel fine settimana pubblicherò un post con tutto l'iter) e, tra le altre cose, si è detta dispiaciuta perché alcuni clienti su internet hanno lasciato cattive recensioni perché la stanza è piccola e non offre i servizi di un hotel. Allora io mi chiedo perché non abbiano prenotato un hotel. Certo, è una sistemazione un po' spartana, ma l'ho scelta proprio per vivere "alla balinese", svantaggi compresi. In cambio, però, pago poco e guadagno in esperienza e affetto.

il nostro penjor
Mercoledì era la festa di Galungan, una delle tante ricorrenze religiose dell'isola, e nei giorni precedenti ho assistito ai preparativi  in casa e dai vicini. Ogni famiglia costruisce un lungo palo ricurvo di bambù chiamato penjor al quale si appendono decorazioni fatte a mano con foglie fresche e secche intrecciate e piegate in forme geometriche, noci di cocco, spighe, riso, tutti prodotti della terra perché il penjor simboleggia la benedizione di Madre Natura. Se ne innalza uno davanti a ogni casa e così le strade si trasformano in gallerie d'arte dove ammirare creazioni tutte diverse. I turisti non sono ammessi all'interno dei templi se non vestiti adeguatamente con gli abiti tradizionali, così Atik mi ha prestato una sua camicia e un sarong - gonna tipo pareo però di tessuto più pesante - di sua madre che è un po' più alta, ma in compenso ho dovuto avvolgermelo intorno diverse volte perché troppo abbondante, sembravo un pacco regalo. Il padre mi ha detto di raccogliere i capelli così da poterci infilare dei fiori, ed eccomi pronta per uscire con loro. In quale albergo ti trattano così? 

vestita a festa
Siamo arrivati al tempio grande di Monkey Forest tra alberi, macachi e turisti curiosi per il grande afflusso di fedeli, sorpresi di notare una donna occidentale che entrava assieme ai balinesi. Per rispetto, all'interno del tempio non ho scattato fotografie e mi sarei anche fermata fuori dal cortile più interno dove si tiene la preghiera comune, ma Atik ha insistito per farmi entrare: "Ci mettiamo in fondo e se vuoi ti spiego come pregare con noi." Che emozione! Il cortile traboccava di gente inginocchiata ognuno con il proprio cestino per il rituale, Atik e suo padre hanno condiviso il loro con me. All'inizio si accendono bastoncini d'incenso che si incastrano tra le pietre del selciato e ci si "lava le mani" nel fumo profumato che si leva lento nell'aria umida. Purificate le mani, si congiungono all'altezza della fronte, tenendo i gomiti larghi, e si mantiene questa posizione per qualche secondo, finché la campanella del mastro di cerimonia smette di suonare. Si ripete il gesto con un fiore tra le dita preso dal cestino. Poi ancora una volta tenendo una foglia di palma ripiegata a cono che contiene una moneta, fiori e foglie. Di nuovo con un altro fiore, e infine a mani vuote come all'inizio. Allora tutti si alzano e cominciano a defluire fuori dal tempio. La cerimonia in sé è abbastanza breve, meno di quindici minuti, considerato tutto il lavoro di preparazione dei giorni precedenti e la quantità di offerte portate al tempio per ingraziarsi gli dei, chili di frutta, riso e fiori da ogni famiglia.

mangia che sei sciupata!
In occasione del Galungan, lo zio ha ammazzato il maiale, un po' come da noi al sud, e ovviamente la mamma di Atik - perdonatemi, ma non ho ancora capito il suo nome - me ne ha offerto un po'. Le ho spiegato che non mangio carne, pesce, eccetera, e ho visto nei suoi occhi quel panico materno oddio, ma mangi abbastanza? Da allora, ogni volta che passa davanti alla mia camera, mi lascia un cesto di frutta e un thermos di acqua calda per farmi il caffè. Per non offenderla, mangio sempre tutto, ma ormai sono così piena di vitamine e caffeina che posso fare il Campuhan di corsa mattina e sera. Pian piano, poi, le sono venute in mente altre cose che posso mangiare: cracker, noccioline, gallette di riso, crostini e li aggiunge alla mia razione. Oggi mi ha portato una vaschetta di riso cotto in una specie di grappa, ora sono anche ubriaca! Tenete presente che nel prezzo della stanza sarebbe compresa soltanto la colazione, mentre ricevo almeno tre di questi "spuntini" al giorno.

Ripeto: in quale hotel ti trattano così?

mercoledì 5 aprile 2017

Campuhan Ridge Walk

Da Ubud è facile fare belle passeggiate partendo a piedi dal proprio alloggio. I vicoli periferici sfumano tutti in sentieri tra colline e risaie, bisogna solo ricordarsi cappello e ombrello perché la maggior parte sono esposti a sole e pioggia e potrebbe passare qualche chilometro prima di trovare un riparo.

Uno dei più famosi percorsi panoramici è il Campuhan che dai punti più alti offre una vista spettacolare sui dintorni verdissimi.

Prendendo Jalan Raya Ubud, il viale sul quale si affaccia Ubud Palace, prima del ponte sulla destra, c'è una strada secondaria che porta a Warwik Ibah Villas. Poco dopo averla imboccata, ci si trova un bivio con un altro cartello Ibah e in basso quello che indica a sinistra il sentiero per le colline. Più avanti, c'è una scalinata in pietra da scendere,anche lì troverete indicata la direzione da prendere.
Si costeggiano le mura del tempio Pura Gunung Lebah, tra l'altro molto bello, finché la strada comincia a salire. 

Da lì in poi è tutto solo da godere. 



Alla fine del sentiero vi troverete in quella che da noi chiameremmo una frazione di Ubud. È una stradina sulla quale si affacciano botteghe di pittori e scultori insieme a una manciata di piccoli locali dove bere un succo rinfrescante e mangiare qualcosa. Il più famoso è il Karsa Kafè, lo trovate spesso sui cartelli lungo la camminata. Bellissimo, per carità, ma si paga anche la vista perciò è meglio sedersi in un altro e poi godersi il paesaggio passeggiando.

Il resto del panorama è costituito da qualche casa bassa tra le risaie e in ogni campo c'è il consueto mini tempio per le offerte agli dei.



Il Campuhan non è un percorso impegnativo se affrontato la mattina presto o nel tardo pomeriggio per evitare le ore con sole a picco sulla testa. Ancora più comodo,per voi, è seguirlo attraverso le foto nel nuovo album.

domenica 2 aprile 2017

Alberi e macachi

Venerdì mattina mi sono alzata presto e sono andata a fare una passeggiata al Sacred Monkey Forest Sanctuary e presentandomi all'apertura della biglietteria (ingresso circa 3,50€) mi sono assicurata almeno un'ora di pace prima dell'arrivo dei bus con i turisti. Ho lasciato la mia borsa alla cassiera per stare più comoda e mi sono incamminata con macchina fotografica e cellulare per i video. 

Solo una parte della foresta è aperta al pubblico e bisogna rimanere sui percorsi indicati, sia per la sicurezza dei visitatori che per proteggere questo ambiente delicato dall'invadenza umana. Come vi ho detto, in questo splendido scorcio di giungla primitiva crescono centoquindici specie diverse di alberi, alcune delle quali molto rare, e piante particolari usate per i rituali religiosi. Innamorata come sono degli alberi, mi incanto a ogni passo anche se, tra un viaggio e l'altro, è già la terza volta che torno qui. Sarebbe bello che ogni foresta fosse considerata sacra e perciò protetta, al di là di ogni fede, sacra per l'umanità. Le foto possono darvi una minima idea della bellezza di questo luogo, ma non possono trasmettervi il profumo degli alberi e la sensazione che respirino e si nutrano dell'aria umida che abbraccia anche me mentre cammino. Il verde mi avvolge completamente, è dolce per gli occhi, rilassa i pensieri. 


Tra alberi stupendi si srotolano sentieri, passerelle di legno, ponti di pietra e, più o meno nascoste dalla vegetazione, decine di statue coperte di muschio osservano il mio passaggio. Raffigurano animali, divinità, creature mitologiche e sembrano trovarsi lì da quando è nata la foresta. Mi guidano tra i tre templi, uno più grande e due minori, ma l'accesso è consentito soltanto ai fedeli durante le cerimonie.

Se guardate attentamente alcuni scatti, vedrete libellule rosse tra le foglie e riuscirete a scovare i macachi balinesi mimetizzati tra le ombre dei rami. I macachi di Monkey Forest non sono aggressivi con le persone, se non si cerca di toccarli o sottrargli il cibo, ma in quei casi divento aggressiva pure io. Bisogna evitare di guardarli direttamente negli occhi perché per loro è un gesto di sfida, come pure sorridere perché mostrare i denti significa minacciare. Insomma, siamo a casa loro e giustamente dobbiamo stare alle loro regole.
Il personale del parco è attento alla loro dieta perché, in quanto abitanti sacri dei templi, devono mantenersi in salute ed è vietatissimo dar loro noccioline o altre porcherie, solo frutta, patate, pannocchie. Ormai i branchi di scimmiette sono talmente abituati ai turisti che non sono nemmeno incuriositi dalla loro presenza, a meno che non si sventoli una banana diventando improvvisamente interessanti. Sanno in quali orari radunarsi intorno alla fontana per trovare uno spuntino nelle mani dei guardiani o dei visitatori, in cambio si lasciano fotografare.
Come raccontavo in un commento, una scimmietta mi si è aggrappata alla gamba mentre ne fotografavo un'altra - forse gelosa - e non sapevo come liberarmene senza irritarla. In tutta calma ho proseguito sul sentiero, passeggiando con un macaco abbracciato alla coscia finché ho incrociato un guardiano e gli ho chiesto come comportarmi. «Niente, continua a camminare, poi si stufa e scende da sola.»

A volte, escono dal parco per un giro in paese e li si vede attraversare la strada di corsa oppure fare i funamboli sui cavi elettrici, ma non si allontanano mai troppo. Tornano tra gli alberi e spariscono nel folto della foresta dove nessuno può seguirli. D'altra parte, con una foresta bellissima a disposizione, chi glielo fa fare di venire in città?

Che noia la città!
Due nuovi album per voi. Benvenuti al Sacred Monkey Forest Sanctuary.


sabato 1 aprile 2017

Il mio libro per gli orangutan

Interrompo per un attimo le cronache del mio viaggio per annunciarvi un'iniziativa che mi vede collaborare con The Orangutan Project. Da oggi, per sei mesi, il 10% del ricavato dalle vendite di Di passaggio in Indonesia andrà a questa associazione per la protezione degli orangutan e del loro habitat.
Siccome la promozione coinvolge il mio alter ego di scrittrice, trovate maggiori informazioni nel post che ho pubblicato su Scritti a penna.

Intanto vi mostro una delle locandine che farò girare in rete (grazie a Gloria e alle sue colleghe per il supporto grafico) e vi raccomando di spargere la voce!




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A domani per altre avventure e altre scimmie!