sabato 24 dicembre 2016

Buone feste

Il mondo è un regalo da scartare a ogni viaggio.
Auguri a tutti i viaggiatori.


mercoledì 7 dicembre 2016

Festa!

Avete presente quei periodi nei quali tutti sembrano evitarvi, vi rimandano con una scusa, dicono di non avere tempo, e voi sperate che vi stiano organizzando una festa a sorpresa?

Non c'è nessuna festa. 

Ficcatevi la delusione nello zaino, levate l'ancora e fate della vostra vita una festa a cui valga la pena partecipare.



martedì 29 novembre 2016

Estinto è perduto


Durante i miei viaggi, ogni volta che mi trovo circondata da paesaggi e creature selvagge mi chiedo quanto durerà, se davvero siamo in grado di proteggere il poco che è rimasto di un ambiente straordinario, se non sia già troppo tardi per riparare ai danni che abbiamo inflitto per secoli a luoghi e culture che non meritano di svanire nella nebbia dell'inquinamento e dello sfruttamento. 
Ogni volta mi sento fortunata per l'opportunità di osservare e conoscere qualcosa che si trova sull'orlo dell'estinzione e, dal momento che non sta accadendo per cause naturali, si tratta evidentemente di un delitto. Che riguardi una tradizione tribale, una specie vegetale o animale, sulla terra o negli oceani, l'estinzione è irreversibile. Come un diamante, l'estinzione è per sempre.

Chiamatemi fanatica, ma io ci soffro e preferisco nel mio piccolo sostenere chi agisce per conservare le meraviglie delle quali ho goduto e quelle che non sono ancora riuscita a godermi, invece di comprarmi un'auto nuova o l'ultimo modello di cellulare. Sono scelte personali e anche se me la prendo e scrivo un post come questo, so che non si possono costringere le persone a cambiare se l'impulso non viene dalla loro coscienza

Viaggiando, acquisto souvenir dalle associazioni che si occupano di salvaguardia dell'ambiente, lotta al bracconaggio, recupero di animali da maltrattamenti e cattività; quando è possibile scelgo strutture che promuovo il turismo sostenibile, che risparmiano energia e acqua, che riciclano materiali, che limitano il proprio impatto e reinvestono nella cura dell'ambiente; evito le località del turismo di massa che stravolgono i panorami naturali e soppiantano i villaggi tradizionali; supporto le piccole attività locali, dalle guide ai guardiaparchi, ai ristoratori, agli artigiani, ai piccoli alberghi, ai mercati di quartiere che danno lavoro agli abitanti della zona perché chi vive in questi luoghi abbia un'alternativa economica allo sfruttamento indiscriminato del patrimonio naturale, alla svendita delle loro terre e alla distruzione di ecosistemi unici e fragili che un tempo erano dimora dei loro e dei nostri avi; porto via la mia spazzatura e rispetto i costumi del posto ricordando che sono soltanto ospite in casa delle persone e degli animali.

Dai luoghi che visito prendo solo foto di panorami, di animali liberi nel loro habitat, di persone gentili che sanno fare della diversità ricchezza anziché discriminazione e vorrei che di tutto questo un giorno non rimanessero solo le foto e i miei ricordi.

Poi penso che seguitiamo ad ammazzarci tra di noi, a sprecare l'acqua di due mesi di docce per produrre un solo hamburger, a coltivare più terra per sfamare gli animali da allevamento che le persone che muoiono di fame e miseria perché non potranno mai permettersi la carne di quegli animali né sarebbe sufficiente per tutti, a rubare terra alle foreste per dare foraggio alla mucca che diverrà hamburger, a sterminare gli animali selvatici che minacciano quella mucca, a depredarli del loro habitat per proteggere l'hamburger che sfamerà una sola persona per un solo pasto, a inquinare aria e acqua per uno sfizio che non ha alcuna utilità se non arricchire l'allevatore e impoverire il pianeta.


Non riesco ad avere fiducia nella nostra razza, nel più sleale e crudele dei predatori che non rispetta i propri simili, figuriamoci ogni altra creatura.
Leggo che l'Ecuador rinuncia alla propria foresta per far posto alle trivelle da petrolio perché non riusciamo a fare a meno dei combustibili fossili, leggo dell'imminente deforestazione totale della Cambogia che ho tanto amato quando ci sono stata, leggo che abbiamo raggiunto il punto di non ritorno nell'influenzare i cambiamenti climatici, leggo che si bombardano altri ospedali e che le organizzazioni nate per prendersi cura delle vittime della nostra violenza e avidità lanciano appelli alle coscienze dei potenti e delle persone comuni, ma restano inascoltati da sempre, e mi sale una rabbia che se fosse possibile trasformare in energia risolverebbe tutti questi problemi all'istante.

Io stessa sono parte del problema perché non ho uno stile di vita a impatto zero e non so nemmeno se sia possibile quando siamo miliardi a contenderci le risorse. Una foca uccisa da un pescatore in Groenlandia dove non ha altro cibo da procurarsi né può coltivare una terra ghiacciata va bene, è sopravvivenza. Tutto il resto, però, non lo è. Non si tratta più di sopravvivenza se si uccide un elefante per l'avorio, non è sopravvivenza dipendere dal petrolio al punto di scatenare una guerra dopo l'altra malgrado la tecnologia per farne a meno esista già. Tutto il male che ci facciamo non è necessario né indispensabile, lo facciamo solo per il profitto e tutti gli altri nomi che diamo alle cause di guerre e distruzione sono falsi, sono scuse e bugie. Non per bisogno, non per religione, non per nobili ideali: accade tutto i per soldi.
Allora leggo anche le newsletter delle associazioni che sostengo per consolarmi con le piccole vittorie che spianano un poco la strada alle tante battaglie ancora in corso. Gocce nell'oceano, ma gocce preziose.

Ho spesso l'impressione che l'umanità stia vivendo una lunga devastante adolescenza, quel periodo in cui invece di evolverti e maturare sembri più imbecille di quando eri bambino. Forse il nostro tempo sulla Terra non durerà abbastanza perché possiamo vedere un mondo migliore nel quale conviviamo pacificamente tra noi e con la natura, forse ci estingueremo prima dell'era della maturità e della saggezza.
E l'estinzione è per sempre, ricordate?

Sono pigra e vigliacca solo un pochino meno di quella maggioranza silenziosa che si chiama opinione pubblica, quella che si indigna e non fa una mazza per cambiare le cose, quella che si lamenta e quando c'è da votare una legge importante va in gita perché c'è il sole. Il mio contributo alla salvaguardia del pianeta che ci ospita è infinitesimale, ma non ci rinuncio e coglierò altre occasioni per fare di più. Oggi, intanto, mi andava di dirvi come la penso e non pretendo che siate d'accordo me, nemmeno che comprendiate il mio punto di vista. Mi andava di dirlo e ho la fortuna, negata a tanta gente nel mondo come alle creature che non possono parlare, di potermi esprimere liberamente. E voi siete liberi di darmi della fanatica deficiente, m'importa quanto al pinguino qui sotto, credetemi, perché non scrivo questo post per voi. 
Lo scrivo egoisticamente per me, per la mia voglia di urlare contro l'umanità addormentata su un'auto in corsa che si sveglierà solo allo schianto per morire soffrendo, per sfogare la mia frustrazione, per la mia coscienza sporca. Lo scrivo per onorare la pura gioia che ho provato quando ho scattato queste foto e per la mia smisurata paura di non avere mai più la possibilità di provare la stessa gioia.





Queste foto provengono dai miei personali album di viaggio, siete liberi di scaricarle e condividerle.


giovedì 17 novembre 2016

Ogni guerra

In un mondo ormai così piccolo, ogni guerra ci riguarda. Che sia per gli uomini, per gli animali, per le risorse o per l'ambiente ogni guerra coinvolge il nostro presente e segna il nostro futuro.
Ogni guerra è mondiale, ma non dovrebbe esistere.

venerdì 4 novembre 2016

Buon compleanno, Feddi!

Oggi la nostra piccolina compie 28 anni e festeggiamo la più giovane delle Cavallette. 


La Niña è notoriamente molto selvatica, se la perdi di vista un istante ha già attraversato la strada per scattare una delle sue foto artistiche. 



Ogni volta che incontra un gatto ci fa amicizia, fa le fusa e sa anche soffiare. Pure con le scimmie va molto d'accordo, accarezza le balene, bacia le giraffe e ama tutti gli animali che ricambiano perché è impossibile non volerle bene.


È tenera, affettuosa, premurosa ed è un piacere averla intorno. A casa è una splendida amica sulla quale si può sempre contare, un'ottima cuoca vegan e una stravagante artista. In viaggio è una compagna perfetta, sorridente e spiritosa.



Un grande abbraccio, bellissima Feddi, ti adoriamo!


domenica 9 ottobre 2016

Il mondo visto da dietro

Quando si viaggia si cerca di catturare ricordi anche con la macchina fotografica, ma non sempre gli scatti riescono come vorremmo. Capita spesso, per esempio, che il soggetto da ritrarre ci volti le spalle, soprattutto se si tratta di un animale selvatico che non ha nessuna intenzione di mettersi in posa.
Così negli anni ho collezionato una serie di di dietro fotografati all'inizio per errore e poi ricercati, sia con le Cavallette che con il TdC e mio fratello ho esclamato più volte: "Questa foto andrà nell'album dei culi!"
Ebbene, ho cominciato a creare quel famoso album con una ventina di scatti e so già che lo arricchirò nei prossimi viaggi perché anche il mondo visto da dietro ha le sue storie da raccontare.

Ecco a voi l'album dei culi di Semm de passacc!

mercoledì 5 ottobre 2016

...and Oktoberfest for all

tramonto alla tenda dell'ottima Augustiner
Tutti pensano all'Oktoberfest di Monaco come la più grande festa per ubriaconi del mondo e per molti turisti, in effetti, lo è. In realtà si tratta di un evento con una lunga storia alle spalle che col tempo è andato un po' perdendo il suo fascino per diventare un'attrazione commerciale. È nato nell'ottobre del 1810 come una delle tante feste pubbliche e private organizzate per celebrare le nozze tra il principe Ludwig e la principessa Therese. Da allora naturalmente è cambiato parecchio, ma rimane una grande festa di paese per quanto ogni anno richiami milioni di turisti da tutto il mondo.

vista notturna sul luna park
Io l'ho conosciuto attraverso amici tedeschi, bavaresi originali, che me l'hanno fatto apprezzare come si deve. Grazie all'ospitalità di questi amici, che abitano a dieci minuti di cammino dall'area in cui si svolge la fiera, ho avuto modo di partecipare più volte e di osservarne le diverse fasi: una volta la cerimonia d'apertura con la parata, la banda musicale, le rappresentanze dei birrifici (rigorosamente di Monaco) che, dopo un suggestivo conto alla rovescia che pare Capodanno, cominciano a spillare birre speciali nelle grandi tende di legno capaci di ospitare migliaia di persone; una volta in chiusura, quando i turisti se ne sono andati, i bavaresi si riappropriano della loro festa e puntuali alle 22 le cameriere mettono le panche sui tavoli e cominciano a pulire; altre volte durante la settimana con meno confusione rispetto ai weekend, di giorno pieno di famiglie con bambini al seguito a caccia di dolciumi e giri sulle giostre, di sera tra mille luci colorate e musica. 
tavoli all'aperto
Ci sono stata con un sole che pareva luglio e sotto cieli neri, gelidi e gonfi di pioggia, come fosse novembre. A proposito, a dispetto del nome, l'Oktoberfest comincia il penultimo fine settimana di settembre e finisce la prima domenica di ottobre, tranne quest'anno che si è concluso il lunedì perché in coincidenza con una festività. Ci siamo trovati al tavolo un tizio inglese che non lo sapeva ed è rimasto malissimo scoprendo di essere entrato appena un paio d'ore prima della chiusura. Se sei così imbecille da non informarti prima di prenotare un viaggio inutile, meriti questa delusione.

Per me l'Oktoberfest è sempre bello e mi piace per tanti motivi. Mi piace la birra, ovviamente, servita soltanto in boccali da litro, mi piace condividere le tavolate con sconosciuti che parlano lingue diverse, ma brindano insieme, cantano e si abbracciano. Mi piace vedere chi tiene alla tradizione indossare gli abiti tipici e sono giovani, anziani e bambini e mi piace immaginare che quella ragazza abbia ereditato il suo abito dalla nonna o che il padre spieghi al figlioletto perché se ne va in giro in calzoni corti e bretelle.

TdC resiste sotto la pioggia
Mi piace che alcune attrazioni del luna park allestito intorno alle tende dei birrifici siano rimaste quelle storiche, semplici, apparentemente stupide, ma sempre divertenti. Per esempio, c'è il Taboga, dal 1933, un nastro trasportatore che porta in cima a una torre dalla quale poi si scende lungo uno scivolo e il bello è stare a guardare gli ubriachi che tentano di restare in piedi sul nastro, ma corre così velocemente che nemmeno da sobri è facile mantenere l'equilibrio e non finire trascinati gambe all'aria sulla torre. È saltando su quel nastro che qualche anno fa mio fratello si fratturò una caviglia.

dentro la tenda come nelle barzellette:
un messicano, un tedesco e un italiano
Poi c'è la Ruota del Diavolo, anche questo uno spettacolo che diverte tanto il pubblico quanto i partecipanti. Risale al 1910 ed è semplicemente un ampio disco di legno rotante sul quale i giocatori si sfidano a rimanere il più a lungo possibile, mentre la velocità di rotazione aumenta e si viene colpiti da una palla morbida gigante e da funi lanciate nel gruppo dai collaboratori del presentatore. È il presentatore che chiama il pubblico a giocare in gruppi: solo donne, poi solo uomini, poi i bambini, poi solo gente bionda, solo gente bassa e così via e appena nomina la categoria si scatena una corsa al centro del disco perché chi rimane sul bordo è sempre il primo a volare fuori.

Oltre alla birra e alle giostre, ci sono bancarelle di dolci tipici, panini (anche vegani per me) e gli immancabili souvenir. Tutto questo contribuisce a creare un'atmosfera unica, imitata in tante nazioni, ma mai all'altezza dell'originale. Dovreste provare, è da visitare almeno una volta e non solo perché amate la birra come me.

venerdì 30 settembre 2016

Videoriassunto Kenya 2016

Vacanza finita, ma ho ancora addosso l'eccitazione e la tensione di questi giorni africani. Anche questa volta il Kenya mi ha sorpreso per panorami, avvistamenti di animali e scene da documentario naturalistico. Dagli altipiani verdi di Aberdare all'affascinante Nakuru sotto il temporale, dallo stagno di Nyahururu al lago Naivasha, dalla fantastica cicatrice geologica chiamata Rift Valley al Parco Nazionale di Nairobi con i grattacieli sullo sfondo, ogni luogo è stato una scoperta emozionante.
Lo staff di Khweza, con Peris e Fred in testa, è stato sempre gentile, disponibile e affettuoso. Imprevisti e difficoltà sono naturali in ogni viaggio, ma si superano con un po' di spirito d'adattamento. Per quanto si possa pianificare in anticipo, in una vacanza come questa bisogna lasciarsi trascinare dagli eventi perché l'avventura richiede libertà, pazienza, fiducia e la capacità di intonarsi agli imprevedibili disegni del destino che a volte ci sorride, altre volte ride di noi.
Essere in sei è stata un'esperienza nuova per le Cavallette, ci ha costrette a separarci in due stanze e stringerci sul pulmino con i bagagli, rendendo meno confortevoli gli spostamenti già complicati dallo stato delle strade e diluendo un poco la coesione del gruppo. Tutto sommato, però, è andata bene e ancora una volta abbiamo riportato a casa la Niña sana e salva!

Come di consueto, al termine di ogni viaggio monto alcune delle nostre foto e spezzoni dei nostri filmati per ripercorrere i giorni vissuti lontano da casa. Il primo video è dedicato a noi protagoniste, Cavallette e ospiti; il secondo è fatto dei paesaggi e degli animali che Madre Natura ci ha concesso di contemplare. Non è tutto, come ho già detto, non è possibile raccontare tutto né a parole né attraverso le immagini e comunque ognuno osserva il mondo da un punto di vista personale. 
Questo è un po' del mio.






martedì 27 settembre 2016

Gli album dal Kenya

Finalmente sono riuscita a riordinare un po' le foto mie, dalla Fra, di Rosalba e di Feddi e ho creato gli album per la vostra curiosità e i per i nostri ricordi. Questa è ovviamente solo una selezione e ne aggiungerò altre, ma per il momento potete cominciare a ripercorrere la nostra avventura attraverso le immagini che forse la raccontano meglio dei miei articoli. Ogni link vi aprirà l'album di un mondo diverso.
Buona visione!

Sole e pioggia, avvistamenti straordinari e ottimo cibo

L'alloggio da ricchi, la discesa alle cascate e la passeggiata allo stagno degli ippopotami

Foto di strada del nostro viaggio tra le varie tappe, i passaggi all'Equatore, la donazione dei pasti al villaggio, il traffico visto dal finestrino, piantagioni di caffè e tè, vista sulla caldera

Il fascino di un parco all'arrivo del temporale, il leone sull'albero

Il paradiso del birdwatching con giro in barca

Una riserva naturale alle porte di una metropoli


Dalla terrazza del Khweza alla serata alcolica, dal parco cittadino con le scimmiette all'orfanotrofio degli elefantini al Giraffe Center.

Ma non è finita, nei prossimi giorni ho ancora qualcosa da raccontarvi tirando le somme del viaggio e qualcosa da mostrarvi.

lunedì 26 settembre 2016

Cuccioli da salvare e malinconia

I viaggi brevi hanno il difetto di finire proprio quando cominci a sentirti a casa, ad adattarti al ritmo del luogo, orientarti e prendere nuove abitudini. Per noi tre Cavallette è stato un ritorno e abbiamo ritrovato un'atmosfera già familiare senza bisogno di tempo per ambientarci; alle nostre ospiti sarebbe servito di più, ma questa settimana abbondante è ciò che siamo riuscite a organizzare incastrando gli impegni di tutte.
Il nostro ultimo giorno a Nairobi è stato molto lungo visto che il volo di ritorno era a mezzanotte, ma è una buona cosa accumulare stanchezza per poter dormire in aereo in classe economica, credetemi.

Abbiamo dedicato la mattinata a visite e acquisti all'insegna della beneficenza per la protezione degli animali che abbiamo ammirato nei parchi. Fred ci ha portate nel quartiere chiamato Karen in onore della scrittrice Karen Blixen sorto dove un tempo si trovava la sua piantagione di caffè.
Come l'anno scorso, siamo state prima al centro David Sheldrick dove finiscono gli elefantini rimasti orfani per colpa dei bracconieri che sterminano i loro genitori trafficando l'avorio delle loro zanne. Qui vengono svezzati e accuditi finché sono pronti a essere inseriti in un nuovo branco nel parco nazionale Tsavo. Ogni giorno alle 11 si può assistere, pagando 500 scellini di ingresso (meno di 5 euro), all'allattamento degli orfani con biberon giganti. È uno spettacolo divertente e commovente osservare questi cuccioli simpaticissimi che corrono con le proboscidi penzolanti incontro alla colazione, mentre un operatore racconta l'istituzione del fondo e i progetti che sostiene, tra i quali una clinica veterinaria mobile e la costante lotta al bracconaggio. Per sostenere il fondo si possono acquistare magliette, oggetti in legno, cappellini, borse e altri souvenir prima di uscire.



A poca distanza, c'è il Giraffe Center. Qui l'ingresso costa 1000 scellini che insieme ai proventi del negozio di souvenir vanno all'African Fund for Endangered Wildlife, un'associazione che si occupa delle specie in via d'estinzione tentando di aumentarne la popolazione. Le giraffe che si trovano al centro, infatti, appartengono alla sottospecie Rothschild che vive in Kenya e Uganda e conta solo 1500 esemplari in libertà. Si tratta delle giraffe nane che abbiamo incontrato nel parco di Nakuru. Il centro attira le donazioni dei turisti grazie alla possibilità di offrire stuzzichini a questi animali stranissimi (complimenti alla fantasia di Madre Natura) perché si avvicinino e si facciano fotografare. 
Visitare questi centri è solo uno dei modi per sostenere i progetti di protezione degli animali e conservazione dell'ambiente africano. Dopo aver goduto delle bellezze di questa terra è naturale desiderare di fare qualcosa, anche un minimo, per poterle ritrovare in futuro. Le sensazioni che si provano contemplando gli incredibili panorami, l'emozione di osservare splendide creature in libertà nel loro ambiente, i pensieri che passano nella testa quando ci si immerge in un paesaggio di forme, colori e profumi così lontani dalla nostra quotidianità da sembrare opere di fantasia, sono impagabili e a ogni viaggio mi sento sempre più fortunata per ciò che mi rimane dentro. Non mi importa se piove o fa troppo caldo, se lo sciacquone impiega venti minuti a ricaricarsi, se ho le scarpe infangate e gli abiti impolverati, se saltello sul sedile perché la strada è così impervia che pare di viaggiare nella centrifuga di una lavatrice, se l'acqua della doccia si regola solo su ghiacciata o bollente, se non ho scattato una foto perché distratta da ciò che stavo vivendo, se ho i capelli di stoppa, il viso bruciato e le gambe piene di lividi. Da ogni viaggio torno più ricca e sono felice.

Io e Peris
Nel pomeriggio ognuna di noi ci è presa il proprio tempo. Chi preparava i bagagli, chi usciva per gli ultimi acquisti, chi si rilassava leggendo. Io sono salita sul tetto del Khweza a scrivere e sono stata raggiunta da Peris che voleva salutarmi e ha chiesto alla piccola Grace, la cameriera ugandese che si presenta ogni volta (e quando non l'ha fatto Feddi voleva chiederle il nome), di farci qualche foto insieme. Dopo due chiacchiere in privato delle quali vi parlerò in un altro articolo, Peris voleva salutare le altre ragazze che si trovavano in un negozio di spezie vicino all'ostello a comprare polveri colorate e odorose per portarsi a casa il sapore dell'Africa. Baci, abbracci, foto di gruppo, firme sul bigliettino che accompagnava la nostra mancia al caro Fred e scambio di numeri di telefono, si è fatta l'ora di cena e dell'ultima birra Tusker.  Sorrido perché la ricevuta degli extra della camera è intestata "Simona Barbi" perché qui mi conoscono con il mio soprannome.
È sempre triste andare via e ancor di più la sera, con due auto separate perché, per non farci mancar nulla, l'ultimo giorno abbiamo scassato il semiasse posteriore del nostro coraggioso pulmino. Lasciamo il Khweza colorato e illuminato per prendere scorciatoie buie verso l'aeroporto dove troviamo poca gente vista l'ora e nemmeno il mostro delle code si fa vivo più di tanto.
Vorrei restare, vedere il volo cancellato sui monitor. Mi consola il fatto che qui ormai abbiamo degli amici sui quali contare e un addio si trasforma in un più digeribile arrivederci. Per quello che non siamo riuscite a fare e vedere c'è sempre la prossima volta. Ciao, Kenya!

In piedi da sinistra: Simo Barbi, Sonia, La Fra, Rosalba
In basso: La Feddi e Claudia

domenica 25 settembre 2016

Friday nightlife in Nairobi

Il venerdì sera a Nairobi è festa sfrenata per tutti e Fred voleva portare fuori le sue ragazze, ma per tenerci d'occhio più facilmente ha portato con sé Victor, un altro dipendente del Khweza. Sonia è rimasta in camera perché la notte prima aveva dormito poco e io, che non sono una nottambula, speravo di non fare troppo tardi, ma ero anche curiosa di vedere come ci si diverte da queste parti.
Andare "in vita" con il pulmino dei tour ci faceva già ridere, ma era solo l'inizio. I ragazzi ci hanno portati in un quartiere pieno di locali con terrazze illuminate, tavolini all'aperto, luci, colori e musica, la chiamano electric road e i bar si susseguono lungo tutta la via.
Prima di tutto, Fred ci ha offerto un bicchierino per scaldarci. Siamo entrati in un locale salendo una scalinata tutta dipinta di rosso e sul pianerottolo c'era un tavolo pieno di bottiglie di superalcolici dove una bella ragazza preparava sorsi di fuoco per tutti. Io ho scelto un ottimo liquore al sapore di mela, poi abbiamo brindato: tutti insieme e tutto d'un fiato! Subito dopo il brindisi siamo usciti scendendo per un'altra scala perché il club dove volevano portarci era dall'altra parte della strada. 
Il locale era carino, con una pista da ballo, una terrazza per bere all'aperto e grandi schermi sui quali passavano video di rapper e popstar americane. Un giro di birra, quattro salti sulla pista, due risate al tavolo osservando la varietà di gente intorno a noi, tirate le somme e otterrete una serata molto divertente. 
Fred e Victor sono stati molto attenti a non far avvicinare nessuno e non ci hanno mai lasciate sole anche quando ci dividevamo. "Se qualcuno vi importuna o vi dà fastidio anche solo come vi guarda, ditemelo subito" ci ha ordinato il nostro fedele accompagnatore.


Lo spettacolo migliore è stato osservare uomini e donne ballare perché non c'è storia, sono di una razza diversa e si muovono in un modo che noi bianchi non possiamo imitare. Bellissimo.
Finite le birre tra chiacchiere più o meno serie, come cinque cenerentole, siamo salite sulla carrozza che ci ha portate in giro per il Kenya per una settimana e all'una e mezza eravamo a nanna.
Insomma, il venerdì sera non è molto diverso dai nostri in città, ma per 7 birre abbiamo pagato l'equivalente di 20 euro, c'è da ubriacarsi a poco!





sabato 24 settembre 2016

Natura e spazzatura

Nairobi, ve l'ho detto, non è una bella città e i giardini pubblici, che potrebbero essere stupendi con tutti quegli alberi enormi e i fiori colorati, sono pieni di immondizia, perfino bottiglie di plastica nel laghetto insieme alle ninfee. Ci siamo andate per riempire la mattinata in attesa del safari pomeridiano, giocando con le scimmiette che rincorrono i visitatori in cerca di noccioline.
Tornando verso il Khweza, Fred ci ha mostrato la Karura Forest, una grande area boschiva inglobata nella metropoli, ma diventata simbolo della conservazione ambientale perché negli anni Novanta l'attivista Wangari Maathai, più tardi vincitrice di un Premio Nobel per la pace, si è battuta per salvarla da un progetto di speculazione edilizia. La cosa interessante è che Wangari è stata sepolta, secondo sue stesse disposizioni, in una bara fatta d'erba perché la sua salma nutrisse la foresta.
Dopo pranzo siamo andati al Nairobi National Park, particolare perché comincia appena fuori dall'aera urbana e fa impressione osservare giraffe e gazzelle con il profilo dei grattacieli sullo sfondo. Anche in questa occasione Madre Natura è stata generosa con noi: avvistato un baby coccodrillo appena entrate e subito dopo ben tre giovani leoni appisolati tra i cespugli; poi un rinoceronte nero (con gran soddisfazione di Fred che voleva mostrarcelo visto a Nakuru avevamo incontrato solo quelli bianchi), giraffe, grandi gazzelle, zebre e una gran quantità di struzzi. Proprio uno struzzo all'improvviso ci ha sbarrato la strada aprendo le ali minaccioso. Il motivo di tanta aggressività verso il nostro pulmino è stato chiaro non appena ci siamo accorti che alle sue spalle c'erano la sua compagna e tre piccolini. Lentamente abbiamo seguita la buffa famigliola a passeggio finché ha abbandonato il sentiero insultandoci in struzzese.


Tra avvistamenti, l'insabbiamento del pulmino risolto dalle abili manovre dell'ormai leggendario Fred e un tramonto africano oscurato dalle solite nubi di questa stagione, abbiamo sforato l'orario di chiusura del parco. Correndo su e giù per la pista sterrata e sollevando una coda di polveri che nemmeno la cometa di Halley, abbiamo preso un'uscita secondaria perché troppo lontani dalla principale e ci siamo presentati al cancello con mezz'ora di ritardo. Forse anche per farsi perdonare l'attesa, Fred ha offerto un passaggio alla cassiera.
Accompagnata lei, ci siamo trovati in piena ora di punta nel traffico strepitoso di Nairobi e per evitare le vie più intasate ci siamo inoltrati in vicoli che mi hanno ricordato i reportage di National Geographic sul degrado nelle metropoli del terzo mondo. Non siamo il genere di turiste bianche che scattano foto alla miseria raccontando poveretti una volta tornate a casa, questa volta scattare solo foto mentali è stata una scelta, questa volta ciò che non vedete forse non è nemmeno immaginabile. Dopo aver trascorso giorni tra le braccia di mamma natura, attraversare al buio quei quartieri mi ha fatto pensare molto. Distese di catapecchie tenute insieme dal fil di ferro, palizzate di lamiere arrugginite e canali di scolo pieni di fango racchiudevano le storie degli uomini seduti a bere sotto una lampadina appesa a un filo, della donna che camminava con un neonato legato al petto da un foulard colorato, dei ragazzi che ciondolavano tra polvere e bidoni in cui bruciare la spazzatura. E questo è solo ciò che si vede dalla strada, poi c'è l'oscurità alle spalle delle prime baracche dove i fari del nostro pulmino non riescono a illuminare. Osservavo quelle vite raccolte intorno a chioschi che vendevano ogni sorta di merce scadente e mi chiedevo se si prova paura a nascere e crescere in un luogo simile, se noi nati fuori possiamo comprendere. Fred ci ha detto che lo slum, la baraccopoli di Nairobi, conta un milione e duecentomila abitanti. Questo è l'uomo, quindi smettete di chiedermi perché desidero vivere con gli orangutan.
Tornate al sicuro all'ostello, la nostra oasi protetta, sembra che sia tutto finito come svegliarsi da certi sogni che ti lasciano addosso un'ombra di malinconia e poi evaporano. Fred sorride, ci invita a uscire dopo cena perché è venerdì sera e bisogna divertirsi.

Della serata keniota vi racconterò in un altro post perché mentre scrivo questo è scoppiato un temporale, i leoni saranno sotto un albero, gli struzzi proteggeranno i loro piccolini e la pioggia farà un gran baccano sui tetti di lamiera negli slum.

venerdì 23 settembre 2016

Ippopotami e scarpe

Mi fingo uno di loro per avvicinarmi
Lasciato il lago magico di Nakuru, ci siamo messi in viaggio per tornare a Nairobi, ma la mattina avevamo abbastanza tempo per una sosta a un altro lago interessante anche se, a mio parere, non altrettanto spettacolare, il Naivasha. È qui che ho cominciato a temere gli ippopotami, per questo motivo ho evitato il giro in barca, rimanendo nei dintorni del lago a fare foto ignoranti con Feddi mentre Claudia prendeva il sole. La Fra, invece, ha ripetuto l'esperienza con Sonia e Rosalba, anzi, a loro è andata molto meglio grazie a un accompagnatore che questa volta ha saputo mostrare e raccontare le bellezze del luogo che, oltre alla nutrita popolazione di ippopotami, includono una gran varietà di splendidi uccelli come aquile, pellicani e cormorani.
Partiamo per Nairobi all'ora di pranzo e lo ordiniamo al Khweza con il telefono di Fred in modo da trovare pronto in tavola al nostro arrivo un'ora e mezza dopo perché i tempi lenti africani non sono una leggenda.
La strada che percorriamo lungo la Rift Valley è molto trafficata e si formano colonne di camion interminabili. Fred ci spiega che quella è la via principale da e per l'Uganda che, non avendo sbocchi sul mare, commercia attraverso il porto keniota di Mombasa. Una sola corsia per senso, un tratto ancor più rallentato a causa di lavori, vecchi tir che sbuffano nuvole color catrame e procedono lenti perché caricati oltre un limite ragionevole, e l'ingorgo è servito, con tanto di venditori di pannocchie arrostite che approcciano i camionisti in coda.
Alla fine però arriviamo all'ostello che ormai le Cavallette chiamano casa e ad accoglierci c'è una Peris splendida come la ricordavamo che ci abbraccia, ci bacia e mi chiede se siamo soddisfatte del tour, ovviamente sì. “Nessun problema?” domanda premurosa e io rispondo: “Nessuno e comunque Fred risolve sempre.” L'efficienza e la cortesia di tutto lo staff sono il motivo per il quale siamo tornate, dai cuochi che salutano quando passi davanti alla porta della cucina, alla cameriera Grace che si presenta tutte le volte che la incroci, agli addetti alla reception aperta 24 ore, al ragazzo che ci porta i bagagli in camera dicendo: “Sentitevi a casa e chiamateci per qualsiasi cosa abbiate bisogno” e sto parlando di un ostello da 20 euro a notte.

Dopo pranzo, Sonia, Rosalba e Claudia decidono di uscire a visitare Nairobi. Io preferisco rimanere a scrivere sul terrazzo perché non amo particolarmente le città e la capitale del Kenya è tante cose, ma bella da visitare proprio no. Anche la Fra e Feddi rimangono a godersi un pomeriggio di relax, leggendo e arrostendo al sole. Ci siamo ritrovate noi tre, le Cavallette ufficiali, sole per la prima volta in questa vacanza, una di quelle situazioni che ti fanno pensare come ai vecchi tempi, dolce e bizzarro. 
Cavallette time
Non sapevamo a che ora cominciare a preoccuparci per le tre turiste bianche disperse (sono arrivate sane e salve per cena) intanto Fred ci ha presentato il suo amico Freddy (gran fantasia di nomi qui), un ragazzo gentilissimo e discreto che confeziona scarpe e abiti su misura con tessuti coloratissimi. Aveva con sé un piccolo campionario delle sue creazioni che ci ha mostrato quasi con timidezza, ma siamo rimaste stupite dall'originalità e dalla qualità dei suoi lavori.  Così abbiamo ordinato un paio di scarpe ciascuna per il giorno della partenza.
Insomma, oggi giornata tranquilla, ma il programma prosegue con il Nairobi National Park, i giardini pubblici con le scimmiette amichevoli, il Giraffe Center, l'orfanotrofio degli elefantini e... chi lo sa? Siamo nelle mani della creatività di Peris e Fred.

giovedì 22 settembre 2016

Il fascino di Nakuru

Scusatemi, ma ieri sera non sono riuscita a pubblicare il secondo post perché è stata una giornata così piena che sono svenuta dal sonno poco dopo cena. Adesso però sono pronta a raccontarvi un pomeriggio strepitoso.

Secondo il programma un po' richiesto e un po' a sorpresa, il parco del lago Nakuru ci aspettava per un safari. L'anno scorso ci era piaciuto tantissimo e noi Cavallette eravamo ben felici di tornare e mostrarlo alle nostre amiche.
Mentre aspettavamo che Fred facesse i biglietti d'ingresso, Rosalba è scesa dal pulmino per fotografare i babbuini che giravano curiosi tra i pochi turisti nel parcheggio. Una grossa femmina si stava avvicinando con il cucciolo appeso al ventre e la Fra ha urlato a Ros dal finestrino: “Stai pronta a scattare, ora ti passa davanti” pensando come noi che la babbuina avrebbe girato intorno al furgone. Ciò che, invece, è accaduto in una frazione di secondo ci ha colte tutte di sorpresa: la mamma, sempre con piccolo appeso, è saltata dentro dal finestrino di Fred, ha agguantato il suo pacchetto di biscotti ed è schizzata fuori dal portellone lasciato aperto da Rosalba. Tutto questo in metà del tempo che ho impiegato a urlare un'imprecazione perché il mio posto è proprio alle spalle del guidatore e avevo la babbuina praticamente in faccia. In un lampo ho avuto un infarto, mi son preoccupata che la bestia non rubasse il cellulare di Fred, ho temuto che non riuscendo a uscire s'incazzasse e mi attaccasse. Aaaaaaahhhh!
È stato stupendo rivedere Nakuru, ma in una stagione diversa, con una nuova luce, nuovi colori, un nuovo cielo. Il sole era bollente quando Fred si è inoltrato per il sentiero che scende verso il lago, uno dei pochi punti del parco dove è consentito scendere dai veicoli per scattare foto dalla riva, ma il livello dell'acqua, con le piogge degli ultimi giorni, si è alzato tanto che a un certo punto abbiamo trovato la strada chiusa e dal finestrino abbiamo visto la spiaggia dove ci eravamo fermate l'anno scorso quasi completamente sommersa. Che impressione!
Il cielo ha cominciato a rannuvolarsi mentre procedevamo lentamente con il tetto aperto per avvistare qualche animale interessante. Il primo incontro è stato con un bellissimo branco di giraffe nane che prima si sono avvicinate a ricambiare i nostri sguardi, poi si sono messe a correre verso una radura che si allargava in una valle e credete che Fred si sia scoraggiato perché era fuori dalla pista? Tsè!
Per me è stato un bellissimo momento in mezzo a quella vallata verde chiusa su un lato da un altopiano e circondata dalla foresta che scendeva al lago. Giraffe e gazzelle sotto un cielo scuro con pennellate di sole e d'un tratto il rombo del primo tuono che rotolava sopra le nostre teste. Una scena meravigliosa che mi sono goduta con calma per ricordarla sempre.


Siamo ripartiti in cerca di rinoceronti e lungo la strada abbiamo interrotto l'attraversamento di una mandria di bufali. Ci hanno lanciato le stesse occhiate incazzose dei pedoni ai quali le auto tagliano la strada senza rallentare. Cominciava a piovere quando abbiamo avvistato dei rinoceronti bianchi nello stesso punto in cui li avevamo trovati l'anno scorso. Non si sono mossi o ci aspettavano? Mentre facevamo le foto, però, Fred ci ha chiesto di sbrigarci perché aveva ricevuto una chiamata che lo avvisava della presenza di un leone poco lontano. Il nostro spericolato conducente si lancia giù per la pista sterrata bloccando di nuovo l'attraversamento bufali, ma Fred è più incazzato di loro perché il leone è stato visto proprio sulla strada dalla quale eravamo arrivati. Immaginate come si sentisse il maschio alfa ad esserselo perso, non faceva altro che ripetere “Non l'ho visto! Ci siamo appena passati accanto e non l'ho visto!” si dannava accelerando.
Il leone era su un albero, ma non su un ramo, proprio appollaiato sulla chioma di un piccolo albero! Bello e tranquillo come un gattone si è fatto fotografare, poi si è messo a dormire.



Noi soddisfatte e Fred ancora ferito nell'orgoglio, siamo tornati dai rinoceronti col pensiero di disturbare ancora i poveri bufali a abbiamo immaginato che, non riuscendo ad attraversare, avrebbero fatto stendere una zebra sulla pista perché facesse da strisce pedonali.


Pioveva e io amo il profumo di terreno bagnato, è uno dei miei preferiti. Il parco diventava sempre più buio e il lago luccicava con i profili neri degli alberi che spuntano dall'acqua alta. Ho salutato un Nakuru molto diverso dai miei ricordi e anche per questo sempre affascinante.

A causa dell'acquazzone, in paese il traffico era impazzito, Fred ha dato il meglio di sé con manovre evasive e sfioramenti millimetrici con altri veicoli per riportarci in hotel. A cena si lamentava ancora per non aver avvistato il leone per primo. Per noi è stata una giornata fantastica, per lui meno, ma ha ancora qualche giorno per rifarsi.

Ps In camera, io e Feddi proviamo i faretti per trovare il modo di leggere a letto senza tenere accesa la luce principale e lasciamo al buio l'intero quartiere. Sentiamo dei passi in corridoio e immaginiamo la receptionist che ci rimprovera: “Ci risulta che la causa del blackout sia nella vostra stanza.” torna la luce, poi salta di nuovo “Allora siete proprio voi”

Ps2 Mentre ieri scrivevo per voi Sonia è riuscita a trovarmi dei bellissimi pantaloni di cotone per sostituire quelli che ho rotto e contrattando me li ha fatti avere a 10 dollari. Grazie!


Ps3 Fred ormai identifica la nostra piccola con il suo lavoro al canile, così ogni volta: “Feddi, guarda! Un cane!” oppure “Oh Feddi è laggiù con un gatto, sta lavorando” e ride come un matto.

mercoledì 21 settembre 2016

La mattinata della scienza

Può darsi che oggi abbiate la fortuna di leggere ben due post, dipende da quanto sarò stanca stasera. Mi trovo nella caffetteria del Waterbuck Hotel di Nakuru, mentre le ragazze sono uscite a far commissioni (cambiare i soldi, comprarmi un paio di pantaloni perché li ho strappati irrimediabilmente) e mi hanno lasciato a raccontarvi la prima metà di questa giornata cominciata finalmente con il sole e il bel tepore africano che ci mancava. Questo pomeriggio e fino al tramonto saremo in safari sul lago, ma la mattinata è stata densa di avvenimenti che non vogliamo passino in secondo piano.
Siamo partite alle 8 da Thomson's Falls con il mio secondo, e al momento unico, paio di pantaloni lunghi appeso ad asciugare dentro il pulmino e abbiamo attraversato l'Equatore per l'ultima volta in questa vacanza, scendendo e risalendo sul versante opposto della Rift Valley. 
Mamma, bimbo e Sonia
Accanto al consueto cartello che indica il parallelo zero, c'è un piccolo villaggio scassato ed è lì che Fred ci ha fatto scaricare i pasti al sacco che non abbiamo consumato, consegnandoli direttamente nelle mani dei bambini che si sono prima avvicinati timidamente e poi sono spuntati da tutte le parti con le mamme in abiti colorati. Sono rimasti tutti così contenti che il tizio addetto ad adescare i turisti sotto il segnale dell'Equatore si è proposto di darci una dimostrazione della faccenda che l'acqua versata in una ciotola bucata ruota in senso inverso nei due emisferi, cosa che normalmente i turisti pagano. In sostanza, usando un filo d'erba come indicatore della direzione in cui girava il liquido, ci ha mostrato che nel punto in cui passa il parallelo zero il filo d'erba galleggia fermo, mentre venti metri a nord e a sud della linea ruota in senso orario e antiorario. Non credevamo che l'esperimento riuscisse in così poca distanza, d'altra parte in natura è tutto ribaltato, compreso il verso in cui crescono fiori, piante e perfino i capelli. Stiamo salutando per andarcene, quando il tizio vuole essere pagato per darci i certificati di passaggio dell'Equatore, cioè fotocopie di un foglio sulle quali si scrive il nome a penna. Abbiamo discusso perché se ce l'avesse detto prima avremmo anche pagato, ma dirci che la dimostrazione, peraltro non richiesta, era gratis e poi metterci in mano i “certificati” chiedendo soldi non era corretto. Siamo salite sul pulmino con il tizio che ancora insisteva e Fred è partito d'accordo con noi che avesse cercato di fare il furbo c non era bello dopo che avevamo regalato pasti e merende ai bambini del suo villaggio. Ma poi, quello pensava di spillare soldi a cinque brianzole e una ligure? Illuso.
piantagione di tè con raccoglitori
Prendiamo la strada per Nakuru attraversando piantagioni di caffè e Fred inchioda, come al solito, per mostrarci le piante da vicino e rubare qualche frutto per mostrarci il chicco all'interno. Scorrono poi campi di mais, grano e verdissime piantagioni di tè con i raccoglitori al lavoro che abbiamo voluto fotografare. Neanche il tempo di tornare sul pulmino e un ometto con un cesto di buste di caffè e tè ci raggiunge per vendercele. Ne abbiamo presa una per tipo e compresa nel prezzo abbiamo avuto una lezione sulla raccolta del tè attraverso il finestrino.
Riprendiamo di nuovo la marcia e all'improvviso la brusca frenata di Fred ci catapulta tutte in avanti. Si scusa e per discolparsi ci indica la strada: il cartello che segnala la presenza di un alto dosso si trova venti metri dopo il dosso!
Mentre risaliamo l'altro versante della Rift Valley, la nostra guida ci racconta di colline che sprofondano, crateri che si aprono e nero suolo lavico tipico di questa lunga spaccatura nella crosta terrestre che è ancora geologicamente molto attiva, infatti si vedono alcune centrali elettriche geotermiche sparse sul fertile paesaggio coltivato.
Fred in sorpasso
Arrivati a Nakuru, invece di portarci in albergo dove riposare prima del safari pomeridiano, Fred imbocca uno degli sterrati che gli piacciono tanto e per continuare la mattinata della scienza, ci dimostra che può sorpassare ben due autobus pieni di studenti in divisa su una stradina sterrata in salita. Non sappiamo dove ci stia conducendo, ma visto che le sue sorprese non ci hanno mai deluse pensiamo, una volta tornate in Italia, di farci stampare le magliette con la scritta I believe in Fred.
La sorpresa che chiude la mattinata è una spettacolare vista da un promontorio su un'antica caldera del diametro di 12 km. Ci racconta di come l'intera area sia sprofondata di oltre quattrocento metri, uccidendo antiche tribù Masai e per questo ancora oggi i Masai vengono qui a onorare gli spiriti dei loro antenati.  Insomma, io e uno dei vulcani preistorici della Rift Valley? Yeeeeeee!
la Barbuna e la caldera


Ora vado a prepararmi per il safari.  

Non sottovalutate gli stagni

Signore whiskey & soda
Prima di cominciare la lettura, sappiate che scrivo questo post dopo una lunga giornata e dopo aver bevuto il whiskey locale fatto con la canna da zucchero e profumato di cocco che Fred ci ha comprato perché “dovete assolutamente assaggiarlo con la soda allo zenzero, vi riscalda e fa saltare i piercing” e, sempre mentre scrivo da una stanza gelida, sto morendo dal ridere con Feddi e Sonia (ma perché siamo simpatiche, mica ubriache).
Sì, la stanza è gelida perché sulle montagne del Kenya ci sono 40 gradi appena spunta il sole, ma siccome è sera e piove ce ne sono 13. Vediamo, però, se tra una crisi di risate e l'altra riesco a raccontarvi questa giornata.
Stamattina abbiamo attraversato di nuovo l'Equatore, tornando nell'emisfero sud per andare a vedere le Thomson's Falls, cascate alte 74 metri formate da un fiume che nasce nel parco Aberdare. Siamo partite sorprese dal freddo con addosso tutto ciò che avevamo in valigia e avvolte da una nebbia così fitta che pareva di stare in Brianza a novembre.
Durante il viaggio, tra uno e l'altro dei sorpassi di Fred che ormai non ci impressionano più, la nebbia si è sollevata rivelando il panorama e un sole così caldo che, togliendo uno strato di vestiti dopo l'altro, sono rimasta in canotta. Finalmente il caldo africano.
Il nostro pulmino scassato, ma duro a morire, ci porta a destinazione e Fred si ferma davanti alla reception del Thomson's Falls Lodge, un hotel ristorante di alto livello con un bellissimo giardino. Pensando che fosse il luogo dove parcheggiare per proseguire a piedi verso le cascate, io commento: “Questo è il posto dove dormono i ricchi” e osserviamo ammirate l'elegante struttura. Immaginate le nostre facce quando scopriamo di dover scaricare i bagagli perché proprio lì passeremo la notte. Abbigliate come sei straccione veniamo accompagnate da addetti in divisa a due bellissime camere triple con caminetto. L'albergo risale agli anni Trenta e il legno, i colori, i fiori dei giardini creano un'atmosfera da romanzo di Agatha Christie, l'ho adorato subito. In realtà, essendo la struttura così datata ha qualche difettuccio, tipo la porta del bagno che si incastra e se vai a far pipì le compagne di stanza devono venire a liberarti, oppure l'inquietante cameretta comunicante con un letto singolo e una culla per neonati. All'inizio Feddi aveva pensato di dormire lì, mentre nella stanza principale Sonia avrebbe occupato il letto matrimoniale e io quello singolo. Poi, pensando al freddo della notte, abbiamo deciso che io e Feddi avremmo dormito nel matrimoniale sfrattando Sonia nel singolo e tenendo chiusa la cameretta, anche perché ci siamo messe paura da sole fantasticando sulla culla vuota che dondolava all'improvviso o il pianto di un neonato nel buio. Tutto questo diverse ore prima del whiskey.

Sonia sul lettone quando ancora credeva che ci avrebbe dormito

Una volta sistemate e tornate in reception, scopriamo che le cascate si trovano appena fuori dal giardino e Fred ci affida a un omino della sicurezza del lodge perché ci accompagni a vederle insieme a un collega. 
Prima ammiriamo le Thomson's Falls dalla terrazza panoramica, poi cominciamo a scendere per una lunga scalinata di pietra che conduce ai piedi delle cascate. I gradini si alternano sul sentiero con tratti fangosi e rocce rendendo la discesa poco agevole, ma alla fine arriviamo tutte fino in fondo. Ci godiamo lo spettacolo di uno scorcio d'Africa davvero caratteristico perché quella cascata abbracciata dalla giungla sembra uscita dal libro di Tarzan. Un po' di foto poetiche, ma ovviamente anche un po' ignoranti e ci tocca la risalita. Arriviamo alla terrazza affannate, sudate e infangate in tempo per vedere una coppia ben vestita che cominciava la discesa, lei in cappotto di lana e ballerine: auguri!

Noi andiamo a lavarci e poi a mangiare.
Quando stamattina abbiamo lasciato l'albergo di Nyeri, alla reception ci hanno consegnato la borsa con i pranzi al sacco come il giorno del safari, ma siccome qui al lodge abbiamo i pasti inclusi, Fred ha donato il cibo in più ai bambini dei villaggi vicini. Ride, fa lo scemo, ci prende in giro, broccola con ogni bella ragazza che incontra (e le donne qui sono davvero molto belle), guida come un matto, ma ha anche questi pensieri carini. 
Mentre pranziamo scoppia un bel temporale tropicale e la temperatura crolla di nuovo e il freddo umido resiste anche quando smette di piovere perché il cielo rimane coperto. Nel bar dell'albergo accendono il caminetto e sembra di stare in una baita perché effettivamente siamo a 2300 metri di quota.
giusto due gocce

Alle quattro, lo stesso omino della mattina dice che ci porta a vedere gli ippopotami. Dovete sapere che quando ho organizzato questo viaggio ho scritto a Peris che ci interessava vedere Aberdare, Thomson's Falls, Nakuru e Nairobi National Park, poi ha pensato lei a riempirci le giornate con escursioni a sorpresa comprese nel prezzo. Questa è una delle sue sorprese, ma mentre Sonia, Claudia e Rosalba sono curiose, noi tre Cavallette siamo un po' diffidenti e nervose vista la poco felice esperienza con gli ippopotami dello scorso anno. L'omino non parla bene inglese, ma si fa capire e capiamo che si va a piedi dal lodge, tanto son quindici minuti di cammino. Il percorso è pianeggiante, su sterrati rossi che tagliano la campagna, tra pozzanghere e piccole paludi, ma per quanto sembri accidentato è quello che fanno ogni giorno i bambini che incrociamo mentre tornano da scuola. È strano andare a piedi a vedere gli ippopotami, considerato quanto siano pericolosi, così ci assale il dubbio che li vedremo in gabbia o in un recinto e l'idea non piace a nessuna, ma non riesco a comunicare con l'omino che risponde soltanto “sì”. Non ci resta che seguirlo e lui ci porta sulla riva di uno grosso stagno dove vediamo anatre e altri uccelli, ma nient'altro di interessante e tra l'altro sulla sponda opposta c'è la scuola dalla quale continuano a uscire bambini. Possibile che gli ippopotami siano davvero qui? Per un po' non vediamo nulla, l'omino dice che stanno dormendo tra le canne e i cespugli. Ma figurati! D'un tratto ci indica un punto vicino a un canneto e, non si sa come, in pochi minuti spuntano una decina di ippopotami in tutto lo stagno, a destar a sinistra e davanti a noi. Sbuffano, si immergono, spalancano le enormi bocche, c'è anche un cucciolo! È uno spettacolo bellissimo eppure io non me lo godo del tutto perché sono tesa al pensiero che uno di loro emerga all'improvviso troppo vicino a noi per darci il tempo di fuggire. Malgrado la mia inquietudine, è stata un'esperienza sorprendente. 

E malgrado il freddo, la pioggia, la mancanza di chi abbiamo lasciato a casa, i pantaloni che mi sono strappati, il wifi sempre troppo debole per regalarvi un album di foto, il frutto che ho mangiato perché mi hanno detto che fa benissimo e sapeva di calzini usati... Malgrado tutto sono davvero felice di essere qui!
Ora è tardi e la sveglia è per 6.45, quindi scusatemi se chiudo. Buonanotte.

lunedì 19 settembre 2016

Piselli giganti e banane sbucciate

Intera giornata di safari fotografico al Parco Nazionale Aberdare.
Sveglia alle 6 sotto un cielo nuvoloso e profumato di pioggia perché siamo sì all'equatore, ma bisogna considerare anche l'altitudine e, cari lettori, noi siamo in montagna! Bardate come una compagnia di terroriste, saltiamo sul pulmino sicure che l'amica Madre Natura ci ripagherà del freddo e della scomodità e, come dico sempre, se non è dura non è avventura.

Il parco Aberdare è uno spettacolo di vallate e colline ricoperte di giungla che si estendono tra i 1800 e i 4000 metri per settecentoqualcosa chilometri quadrati, è la riserva naturale più piccola del Kenya eppure pare di immergersi nella preistoria perché abbiamo la sensazione che da un momento all'altro dall'oscurità tra le piante possa spuntare il muso di un tirannosauro... invece è solo un grosso facocero.
Le piste di terra rossa sembrano cicatrici sui fianchi ripidi delle alture e il paesaggio da solo vale già il viaggio. Fred però tiene moltissimo a farci avvistare tutta la fauna possibile ed è un po' nervoso perché non conosce bene questa zona, da maschio alfa non concepisce di deludere sei donne in un colpo solo. Malgrado la fitta e alta vegetazione, incontriamo un sacco di animali: facoceri, babbuini (ai quali abbiamo lanciato le banane avanzate dal pranzo, accorgendoci in seguito e ridendo della nostra inutile premura di sbucciarle per loro), gazzelle, waterbuck, bufali, scimmie colomba (nelle foto sono quelle con la lunga e vaporosa coda bianca che sembra un piumino), altri tipi di scimmie di cui non ho capito il nome, un paio di cani della prateria (tipo pantegane che nuotavano in un ruscello), impala.
A furia di salire di quota su ripidi sterrati, il motore si surriscalda costringendoci a una sosta. Subito operative, Cavallette & friends cominciano a stappare bottigliette d'acqua da passare a Fred che le versa nel radiatore in ebollizione. 
Consumiamo un terzo delle scorte che trasportiamo per l'intero tour, ma non abbiamo scelta perché siamo gli unici turisti nel parco e bene bene non sappiamo dove ci troviamo. Il vecchio pulmino si rianima e la gita prosegue mentre il cielo si apre e spunta un po' di sole a scaldarci.
Divagazione: quando scrivo i post la sera, li faccio leggere alle mie compagne prima di pubblicarli ed è sempre un bello, ma non hai detto questo, non hai raccontato quell'altro. Per non tralasciare nessun dettaglio dovrei scrivere per tutta la notte e non basterebbe. Considerate anche che non è facile concentrare tanti momenti e sensazioni in un articolo di blog e forse non basta nemmeno un libro. Neppure le foto sono sufficienti a raccontarvi lo stupore, l'emozione, il turbamento, i pensieri di certi attimi. Qui siamo nel regno della meraviglia e fossi anche la miglior poetessa di tutti i tempi, la natura sarebbe comunque dieci passi avanti e sopra. Avete quindi due sole alternative: venire qui o accontentarvi di immaginare, se avete abbastanza immaginazione.
Tornando alla nostra giornata, a proposito dell'Aberdare avevamo poche informazioni recuperate sul web prima di partire e l'elenco della fauna locale non includeva gli elefanti. Così, quando Fred ci ha detto che stava cercando di avvistarne qualcuno per noi, abbiamo pensato che si sbagliasse. Lezione sul Kenya numero uno: Fred ne sa una più di Google, se dice che ci sono gli elefanti, li troverà. Infatti poco dopo inchioda e indica il fianco di una collina, ci alziamo tutte in piedi per guardare meglio dal tetto e, indovinate un po', un branco di elefanti stava salendo verso una radura. Andiamo in quella direzione e li intercettiamo mentre ci attraversano la strada. Stiamo scattando mille foto, quando Fred si allontana in retromarcia per una trentina di metri, fa inversione e torna in retromarcia verso il branco. Si tratta di una manovra intelligente perché, notando che un grosso esemplare aveva sollevato le zanne innervosito dalla nostra presenza, la giuda più affidabile del mondo ha pensato bene di avvicinarsi di culo perché in caso di carica sarebbe stato più facile e rapido fuggire verso valle che in salita.

Dopo aver ammirato gli elefanti a sorpresa, abbiamo ripreso la marcia riflettendo, tra le altre cose, sulla sfiga di nascere gazzella in Africa che potrebbe essere una reincarnazione punitiva per chi si comporta male. Sole e nubi si alternano nel grande cielo sopra di noi, la pioggia non mi preoccupa perché è proprio grazie all'acqua di quel cielo che il panorama è così stupendamente verde e rigoglioso. Rosalba è la nostra esperta di piante e fiori, o perlomeno l'unica di noi che non ha ancora ucciso una piantina di basilico del supermercato, e ci fa notare che lungo la strada ci sono piante di pisello in fiore giganti. Le abbiamo fotografate pur sapendo che tornare dall'Africa dicendo di aver visto piselli giganti scatenerà le peggiori battute possibili, ma noi amiamo queste cose ignoranti e il titolo di questo post ne è la prova.
Un ultimo sorprendente incontro ci aspetta dietro una curva: una iena! Non ci era mai capitato di avvistarne una così da vicino e questa stava sul ciglio della strada a fissarci, poi ha pensato che fossimo una bestia gigante e ha cominciato a scappare. L'abbiamo seguita finché è sparita tra gli alberi dopo averci lanciato un'occhiata curiosa. Siamo rimaste talmente affascinate da quello sguardo che nessuna di noi l'ha fotografato, se non con il cuore. Indimenticabile.

Avrei molto altro da raccontare, tante piccole cose, come l'etichetta “vegetarian” sul pranzo al sacco per Sonia e quella “strictly vegetarian” sul mio e di Feddi, oppure il caffè che ci ha scaldate a fine giornata, oppure le battute e le risate tra amiche, ma non è possibile dirvi tutto. Ancora più difficile sarebbe raccontarvi le grandi cose come sentirsi minuscoli di fronte alla maestosità di queste terre selvagge.

Io non posso dirvi tutto, venite qui a provarlo.

P.s. Appena troverò una connessione internet più potente, prometto di caricare un primo album di foto per aiutarvi a immaginare. Intanto sapete che cliccando sulle foto del post le vedete ingrandite, vero?