Ho tanto da raccontare di questa anomala vacanza in Kenya senza safari, ma non ho trovato connessione Internet fino al rientro a Nairobi, quindi questi post sono tutti in differita e caricherò gli album fotografici una volta a casa.
L'auto di Peris è un macchinone bianco che cigola in ogni sua parte come il furgoncino di Precious Ramotswe, ma fa il suo dovere con dignità e lunedì mattina era pronto a portarci fino alla destinazione segreta che si è rivelata essere la foresta pluviale del monte Kenya.
Abbiamo preso l'autostrada che esce da Nairobi con un bel venticello a mitigare il sole equatoriale e le corsie completamente sgombre, mentre nella direzione opposta il traffico era immobilizzato in una coda terrificante di cui non si vedeva la fine per chilometri. A metà del tragitto di tre ore, ci siamo fermate per un caffè in un piccolo bar. Ne ho approfittato per usare il bagno e mi sorprende sempre trovare la carta igienica e i sanitari perfettamente puliti lungo una strada africana, mentre negli autogrill in Italia i bagni sembrano appena usati da una banda di orchi con la dissenteria.
Lasciata l'autostrada, si proseguiva attraverso i villaggi e le cittadine che hanno sempre fatto da contorno alle escursioni dei miei viaggi passati. Mi sono ormai familiari i banchetti della frutta disposti in fila a ridosso dell'unica strada asfaltata, i negozi con le insegne dipinte direttamente sul muro, i mercati affollati, le centinaia di chiese dai nomi altisonanti che fanno ridere anche Peris e i bambini in divisa che si tengono per mano andando a scuola. Poi, in prossimità della nostra destinazione, abbiamo imboccato una pista sterrata piena di pietre che si snodava tra alberi giganti. Il macchinone cigolante sollevava nubi di polvere, ma procedeva e Peris si è dimostrata un'ottima guidatrice.
Infine, siamo approdate al Castle Forest Lodge dove avremmo trascorso due notti. Il lodge è composto da un ufficio nell'area parcheggio, un edificio con reception e ristorante vista foresta, e una serie di bungalow che sembrano baite di montagna sparse su una collina erbosa che domina la vallata traboccante di alberi e la cresta frastagliata del monte Kenya alle spalle. Bellissimo!
Il nostro bungalow era una casetta in pietra e legno con un sole dipinto sull'imposta della finestrella del bagno. Entrando si trova un salottino con tanto di caminetto per le notti gelide: di giorno ci sono 32 gradi, la sera si precipita a 14, quindi eravamo ben felici di averlo. Ai due lati opposti del salotto c'erano le porte delle nostre due camere e un bagno tutto in pietra. Nota: l'acqua della doccia era finalmente bollente, credo sia la prima volta che mi capita di trovarla in Kenya.
Sistemati i bagagli, abbiamo pranzato e poi siamo andate un po' in giro nei dintorni a sgranchirci le gambe ed esplorare. Per entrare nella foresta è obbligatoria la guida, che abbiamo prenotato per il giorno dopo, ma accanto al parcheggio del lodge c'è un sentiero facile che conduce a una piccola cascata e si può percorrere in autonomia. Si sentivano solo i suoni della natura: lo scrosciare dell'acqua sulle rocce, il canto degli uccelli, i richiami delle scimmie che scuotevano i rami di alberi stupendi.
Peris è appassionata di birdwatching, così il signor Joseph, un uomo di mezza età dal portamento elegante e il viso allegro che ci avrebbe fatto da guida il giorno dopo, ci ha accompagnate per una passeggiata al tramonto su per la collina dietro il nostro bungalow. Anche il ragazzo che ci aveva fatto da guida a Naivasha si chiamava Joseph. Deve essere il nome tipico degli esperti di uccelli, ci siamo dette io e Peris, ridendo come due sceme. Questo Joseph, però, aveva un dono: parlava l'uccellese!
Risalendo la collina nella splendida luce del sole calante, procedevamo lentamente seguendo i passi della guida che coglieva ogni fruscio e indicava un ramo nell'infinità di rami della foresta, poi produceva un suono fischiando e l'uccello rispondeva, cominciando una vera e propria conversazione fatta di suoni diversi. Non usava richiami registrati o fischietti vari, non imitava i versi degli uccelli: parlava proprio la loro lingua. E noi stavamo ad ascoltare estasiate gli uccellini che riferivano a Joseph notizie dalla foresta. Immaginavo pettegolezzi su chi avesse fatto il nido con chi, novità sulla schiusa delle uova di qualche parente, recensioni degli alberi migliori, lamentele sul cambiamento climatico e indicazioni su dove trovare tracce di elefanti, felini e scimmie.
Mentre lui li teneva occupati a chiacchierare, ho scattato alcune foto davvero belle che condividerò con Hari, il mio amico indonesiano che faceva la guida di birdwatching per l'ecolodge di Sumatra e membro di Alert.
Digressione a proposito di Hari: ha lasciato da poco Ecolodges Indonesia per mettersi in proprio come guida e fotografo, ha un suo team di ragazzi del posto. Mi ha scritto che, adesso che ha un'esperienza decennale e un nome nell'ambiente, ha deciso di dedicarsi allo sviluppo del turismo sostenibile coinvolgendo maggiormente le comunità intorno al Way Kambas. Gli auguro un grande successo e di sicuro, per il mio ritorno di ottobre in Indonesia, io e miei compagni di viaggio approfitteremo dei suoi servizi per sostenere la sua nuova attività.
Ma torniamo in Kenya. Le nuvole che il vento aveva radunato nel pomeriggio, sono svanite al tramonto e i picchi del monte scintillavano in tutto il loro splendore. Io, però, durante quella passeggiata serale continuavo a pensare all'escursione del giorno dopo perché non vedevo l'ora di inoltrarmi nella foresta che stavamo solo sfiorando. Tra l'altro, non avevo con me le scarpe da trekking: va bene la sorpresa, ma Peris avrebbe almeno potuto avvisarmi di portarle. Secondo Joseph, comunque, i miei sandali sportivi sarebbero andati bene perché il sentiero era in piano, sempre meglio delle scarpe da tennis che indossavo in aereo, non adatte allo scivoloso tappeto di foglie umide.
Appena sparito il sole, la temperatura è crollata. Per raggiungere il ristorante, facendoci luce sul sentiero con una torcia perché il buio era totale, ho indossato camicia a maniche lunghe, felpa di pile, sciarpa di lana e stavo appena bene. Il cielo era un tripudio di stelle e la costellazione di Orione, di cui a casa vedo la cintura bassa sull'orizzonte, luccicava tutta intera al centro della volta celeste, attraversata da una nitida Via Lattea che adoro ritrovare quando mi allontano dalla civiltà, per me è un segno che sono nel posto giusto: in mezzo alla natura.
A cena, io e Peris chiacchieravamo di qualunque cosa: da argomenti alti, come l'ecologia e i diritti delle donne, a pettegolezzi sulle guide dei miei tour precedenti e ricette tipiche dei nostri paesi. Ho scoperto così che in Kenya detestano la polenta gialla di mais perché anni fa, durante una carestia, gli Stati Uniti avevano inviato aiuti umanitari che includevano sacchi di mais per nutrire la popolazione, però sui sacchi c'era scritto che era cibo per animali e si sono offesi tantissimo. Ma che ne sanno gli americani di cucina! Viva la polenta!
Intanto, un ragazzo dello staff raccoglieva le chiavi dei bungalow per andare ad accendere il fuoco nei caminetti. Infatti, quando siamo tornate, c'erano un bel calduccio fin nelle camere e profumo di legna. Ho dormito splendidamente e all'alba ero pronta per la foresta. Ma questa è storia per il prossimo post.
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