Premessa: questo è il
primo post di una serie sul viaggio delle Cavallette in Indonesia che
si è appena concluso. Pubblico in differita a causa di connessioni
deboli e mancanza di tempo, ma racconto in diretta così come ho
scritto ogni sera a matita – in viaggio le penne tendono a non
funzionare, mentre le matite non tradiscono mai – sul quaderno che
ho sempre con me.
Buona lettura.
Il giorno della partenza,
il cielo scuro e il sempre affidabile bollettino del Centro Meteo Lombardo
preannunciavano forte maltempo. Ci siamo divise in due auto: Sonia e
Feddi con mio fratello; io e la Fra con il suo fidanzato Francesco.
Come previsto, sulla via per Malpensa, siamo stati investiti da una
tremenda grandinata. All'improvviso, l'autostrada si è trasformata
in un fiume carico di ghiaccio e il traffico è impazzito: molti
mezzi si fermavano sotto i cavalcavia e le gallerie, creando
pericolosi ingorghi. Nei pressi dell'aeroporto, lo strato di ghiaccio
a terra era spesso diversi centimetri e pareva di guidare su un
tappeto di biglie di vetro. Con abilità e cautela, però, i nostri
autisti ci hanno scaricate al terminal sane e salve.
Le piste sono rimaste
chiuse per un'ora e, come tutti gli altri, il volo Turkish Airlines
che doveva portarci a Istanbul per la coincidenza con Jakarta ha
accumulato un ritardo preoccupante. Il tempo a disposizione per
cambiare aereo continuava a ridursi e ci aspettava una corsa tra i
gate dell'enorme scalo turco. Infatti, saltate giù dal primo volo a
spintoni tra tutti i passeggeri che come noi temevano di perdere le
coincidenze, ci siamo lanciate al galoppo come quattro disperate con
gli zaini in spalla su e giù per le scale e lungo i corridoi per
arrivare sudate fradicie all'imbarco. Per fortuna, non ci sono stati
controlli e code come ci era capitato tre anni fa a Parigi, così
abbiamo avuto anche il tempo di far tappa in bagno e darci una
sistemata. In ogni caso, dato che i nostri accompagnatori erano
incappati in un grosso ingorgo per incidente sulla via del ritorno,
credo che siamo arrivate prima noi a Istanbul che loro a Monza.
Una volta sull'aereo per
Jakarta, abbiamo finalmente abbandonato l'ansia. Le undici ore di
volo sono trascorse tra turbolenze – puntualmente quando servivano
i pasti, tra l'altro quelli vegani per Feddi e me più buoni di
quelli trovati a certi matrimoni – film e dormite da classe
economica, cioè alla continua, e vana, ricerca di una posizione che
non richiedesse l'intervento di un fisioterapista al risveglio.
All'atterraggio, abbiamo
sbrigato le formalità per l'ingresso in Indonesia e prelevato un po'
di contante, poi ci siamo messe in coda per il taxi che ci avrebbe
condotte all'hotel prenotato per riposare prima del volo per il
Borneo l'indomani e, soprattutto, per una doccia che ci togliesse di
dosso la puzza di oltre quindici ore passate tra aeroporti e aerei.
Abbiamo dato l'indirizzo agli addetti che procurano i taxi all'uscita
e pagato in anticipo un prezzo che mi è parso un po' eccessivo, ma
ho pensato che a Jakarta la vita costasse più che nel resto
dell'Indonesia. Avevo scelto un albergo vicino al terminal in modo da
non perdere tempo nel traffico della gigantesca capitale, ma dopo un
po' che stavamo pigiate in un taxi con l'aria condizionata troppo
alta, ho cominciato a dubitare della posizione. Eppure avevo
controllato la mappa, cosa che invece non sembrava aver fatto il
tassista che vagava sperduto, allontanandosi e riavvicinandosi
all'aeroporto per poi, dopo un'ora e mezza, fermarsi a chiedere
indicazioni. Ho provato a chiedergli di usare il navigatore del suo
cellulare e quanto mancasse ancora, ma non capiva una parola
d'inglese e rispondeva solo indicando avanti. Avanti dove? Gira e
rigira, si è fermato di fronte a un hotel dal nome simile a quello
che avevo prenotato, ma prima di far scendere le ragazze ho preferito
controllare e, infatti, era il posto sbagliato! Per fortuna, il
ragazzo della reception parlava inglese e ha spiegato per noi
all'incompetente tassista dove avrebbe dovuto andare in realtà.
Infine, dopo due ore, abbiamo scaricato le valigie nel posto giusto –
che stava ad appena venti minuti dall'aeroporto – e ho dovuto anche
discutere con l'incompetente: voleva più soldi per il tempo perso e,
ovviamente, mi sono rifiutata così la guardia all'ingresso mi ha
aiutata a mandarlo via. L'accoglienza in albergo ci ha fatto tornare
il sorriso: personale gentile, camere pulite, set da bagno in omaggio
e ristorante aperto 24 ore che ci ha fornito la cena alle nove
passate prima del risposo in un letto vero e confortevole.
La mattina dopo, eravamo
come nuove e pronte per l'ennesimo volo – solo un'ora e mezza, una
passeggiata – che ci ha portate a Pangkalan Bun, nel Borneo
indonesiano.
Insomma, il viaggio di
andata è stato una lunga Odissea, ma siamo riuscite a raggiungere la
nostra meta, il Kalimantan, dove stava per cominciare una
meravigliosa avventura.
E noi la cominciamo con voi quest’avventura!
RispondiEliminaRicordi quando ti dissi della mia avversione per i viaggi? Ecco, questo vostro “inizio” non troppo perfetto mi avrebbe già messo k.o. 😅
Concordo con Marina, sarei già al tappeto al primo round. E da lì vi seguo in questa telecronaca.
RispondiEliminaHelgaldo
Il blog serve proprio a questo: portarvi in viaggio con me mentre state comodamente seduti a casa vostra ;)
RispondiEliminaQuando i tempi delle coincidenze si assottigliano, c'è solo una cosa di cui star sicuri: tu puoi correre come un dannato ma i bagagli non faranno mai in tempo a essere scaricati da una parte per poi essere imbarcati al lato opposto del terminal. A quanto pare, a voi è andata di lusso :D
RispondiEliminaGuarda, abbiamo preso otto aerei in dieci giorni e non è mai mancata una valigia. Siamo state molto più che fortunate! :)
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