mercoledì 22 maggio 2019

Ulisse, scansati


Premessa: questo è il primo post di una serie sul viaggio delle Cavallette in Indonesia che si è appena concluso. Pubblico in differita a causa di connessioni deboli e mancanza di tempo, ma racconto in diretta così come ho scritto ogni sera a matita – in viaggio le penne tendono a non funzionare, mentre le matite non tradiscono mai – sul quaderno che ho sempre con me.
Buona lettura.

Il giorno della partenza, il cielo scuro e il sempre affidabile bollettino del Centro Meteo Lombardo preannunciavano forte maltempo. Ci siamo divise in due auto: Sonia e Feddi con mio fratello; io e la Fra con il suo fidanzato Francesco. Come previsto, sulla via per Malpensa, siamo stati investiti da una tremenda grandinata. All'improvviso, l'autostrada si è trasformata in un fiume carico di ghiaccio e il traffico è impazzito: molti mezzi si fermavano sotto i cavalcavia e le gallerie, creando pericolosi ingorghi. Nei pressi dell'aeroporto, lo strato di ghiaccio a terra era spesso diversi centimetri e pareva di guidare su un tappeto di biglie di vetro. Con abilità e cautela, però, i nostri autisti ci hanno scaricate al terminal sane e salve.


Le piste sono rimaste chiuse per un'ora e, come tutti gli altri, il volo Turkish Airlines che doveva portarci a Istanbul per la coincidenza con Jakarta ha accumulato un ritardo preoccupante. Il tempo a disposizione per cambiare aereo continuava a ridursi e ci aspettava una corsa tra i gate dell'enorme scalo turco. Infatti, saltate giù dal primo volo a spintoni tra tutti i passeggeri che come noi temevano di perdere le coincidenze, ci siamo lanciate al galoppo come quattro disperate con gli zaini in spalla su e giù per le scale e lungo i corridoi per arrivare sudate fradicie all'imbarco. Per fortuna, non ci sono stati controlli e code come ci era capitato tre anni fa a Parigi, così abbiamo avuto anche il tempo di far tappa in bagno e darci una sistemata. In ogni caso, dato che i nostri accompagnatori erano incappati in un grosso ingorgo per incidente sulla via del ritorno, credo che siamo arrivate prima noi a Istanbul che loro a Monza.

Una volta sull'aereo per Jakarta, abbiamo finalmente abbandonato l'ansia. Le undici ore di volo sono trascorse tra turbolenze – puntualmente quando servivano i pasti, tra l'altro quelli vegani per Feddi e me più buoni di quelli trovati a certi matrimoni – film e dormite da classe economica, cioè alla continua, e vana, ricerca di una posizione che non richiedesse l'intervento di un fisioterapista al risveglio.
All'atterraggio, abbiamo sbrigato le formalità per l'ingresso in Indonesia e prelevato un po' di contante, poi ci siamo messe in coda per il taxi che ci avrebbe condotte all'hotel prenotato per riposare prima del volo per il Borneo l'indomani e, soprattutto, per una doccia che ci togliesse di dosso la puzza di oltre quindici ore passate tra aeroporti e aerei. Abbiamo dato l'indirizzo agli addetti che procurano i taxi all'uscita e pagato in anticipo un prezzo che mi è parso un po' eccessivo, ma ho pensato che a Jakarta la vita costasse più che nel resto dell'Indonesia. Avevo scelto un albergo vicino al terminal in modo da non perdere tempo nel traffico della gigantesca capitale, ma dopo un po' che stavamo pigiate in un taxi con l'aria condizionata troppo alta, ho cominciato a dubitare della posizione. Eppure avevo controllato la mappa, cosa che invece non sembrava aver fatto il tassista che vagava sperduto, allontanandosi e riavvicinandosi all'aeroporto per poi, dopo un'ora e mezza, fermarsi a chiedere indicazioni. Ho provato a chiedergli di usare il navigatore del suo cellulare e quanto mancasse ancora, ma non capiva una parola d'inglese e rispondeva solo indicando avanti. Avanti dove? Gira e rigira, si è fermato di fronte a un hotel dal nome simile a quello che avevo prenotato, ma prima di far scendere le ragazze ho preferito controllare e, infatti, era il posto sbagliato! Per fortuna, il ragazzo della reception parlava inglese e ha spiegato per noi all'incompetente tassista dove avrebbe dovuto andare in realtà. Infine, dopo due ore, abbiamo scaricato le valigie nel posto giusto – che stava ad appena venti minuti dall'aeroporto – e ho dovuto anche discutere con l'incompetente: voleva più soldi per il tempo perso e, ovviamente, mi sono rifiutata così la guardia all'ingresso mi ha aiutata a mandarlo via. L'accoglienza in albergo ci ha fatto tornare il sorriso: personale gentile, camere pulite, set da bagno in omaggio e ristorante aperto 24 ore che ci ha fornito la cena alle nove passate prima del risposo in un letto vero e confortevole.
La mattina dopo, eravamo come nuove e pronte per l'ennesimo volo – solo un'ora e mezza, una passeggiata – che ci ha portate a Pangkalan Bun, nel Borneo indonesiano.
Insomma, il viaggio di andata è stato una lunga Odissea, ma siamo riuscite a raggiungere la nostra meta, il Kalimantan, dove stava per cominciare una meravigliosa avventura.

5 commenti:

  1. E noi la cominciamo con voi quest’avventura!
    Ricordi quando ti dissi della mia avversione per i viaggi? Ecco, questo vostro “inizio” non troppo perfetto mi avrebbe già messo k.o. 😅

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  2. Concordo con Marina, sarei già al tappeto al primo round. E da lì vi seguo in questa telecronaca.

    Helgaldo

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  3. Il blog serve proprio a questo: portarvi in viaggio con me mentre state comodamente seduti a casa vostra ;)

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  4. Quando i tempi delle coincidenze si assottigliano, c'è solo una cosa di cui star sicuri: tu puoi correre come un dannato ma i bagagli non faranno mai in tempo a essere scaricati da una parte per poi essere imbarcati al lato opposto del terminal. A quanto pare, a voi è andata di lusso :D

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    1. Guarda, abbiamo preso otto aerei in dieci giorni e non è mai mancata una valigia. Siamo state molto più che fortunate! :)

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