martedì 5 gennaio 2016

Vite per la natura: gli angeli di Leakey

Se avete seguito i miei viaggi in Indonesia, sapete che i miei ricordi migliori sono legati all'incontro con gli orangutan a Sumatra nella parte indonesiana del Borneo. Questi bellissimi animali mi hanno conquistata e, per quanto posso, continuo a sostenere le associazioni che li proteggono e preservano il loro habitat.

Durante uno di questi viaggi ho visitato il parco nazionale Tanjung Puting dove si trova Camp Leakey, uno dei centri che si occupano di riportare alla vita nella foresta gli orangutan salvati dalla cattività, dal bracconaggio e dal traffico di specie protette. Il sito prende il nome da Louis Leakey, paleontologo britannico, che promosse e sostenne le ricerche di tre donne straordinarie: Dian Fossey in Ruanda con i gorilla di montagna, Jane Goodall in Tanzania con gli scimpanzé e Birutè Galdikas in Borneo con gli orangutan. Proprio quest'ultima ha fondato Camp Leakey, intitolandolo al suo mentore. I volontari e i ricercatori che ci lavorano la chiamano solo la professoressa e, da come ne ho sentito parlare dai locali, è un personaggio molto amato e rispettato anche dagli abitanti dei villaggi della zona perché si è sempre battuta per proteggere la loro foresta.
Galdikas, Goodall, Fossey
Fossey, Goodall e Galdikas sono note come i tre angeli di Leakey perché, reclutate giovanissime dal ricercatore, hanno dedicato le loro vite a conoscere con rispetto e difendere con passione i favolosi primati oggetto dei loro studi. Queste donne forti e appassionate hanno dato un grande contributo non solo alla scienza, ma anche nell'attirare l'attenzione sull'importanza di preservare ambienti naturali e specie minacciate, ispirando e fondando loro stesse associazioni per la difesa di animali e habitat a rischio.
A supportare il loro impegno negli anni, tra gli altri, c'è anche la National Geographic Society che le ha ritratte in più di una copertina e ne ha parlato in diversi reportage e documentari sulle loro straordinarie scoperte e avventure.


Oggi Jane Goodall continua a promuovere una vita in armonia con la natura attraverso i tanti progetti del suo Jane Goodall Institute; Birutè Galdikas è sempre attiva con l'Orangutan Foundation per la protezione degli animali e la riforestazione. Riguardo Dian Fossey, è tristemente noto, anche grazie al film romanzato sulla sua vita Gorilla nella nebbia, che fu assassinata nel dicembre del 1985 e, anche se la sua morte resta avvolta nel mistero, è evidente che fosse diventata un personaggio scomodo per la sua decisa lotta al bracconaggio e perché intralciava le attività illegali dei trafficanti di animali.


La storia di queste tre eroine è raccontata anche in una recente graphic novel che ha lo scopo presentare le loro vite avventurose ai più giovani: Primati. Le amicizie avventurose di Jane Goodall, Dian Fossey e Biruté Galdikas di Jim Ottaviani e Maris Wicks, con traduzione di Giovanna Pecoraro. Ovviamente sarà il mio prossimo acquisto.


Per il momento, tra i protetti dei tre angeli, ho incontrato solo gli orangutan e me ne sono innamorata a prima vista, ma mi piacerebbe, in qualche viaggio futuro, conoscere anche i gorilla e gli scimpanzé. 
Sempre che riusciamo a salvarli dall'uomo, il più crudele predatore al mondo. Noi dovremmo essere il primate più evoluto, eppure sono convinta che da questi parenti selvatici abbiamo solo da imparare.

sabato 2 gennaio 2016

Capodanno in montagna

Il casotto per noi
Per festeggiare un nuovo giro del pianeta intorno al Sole, questa volta io e il TdC abbiamo scelto un rifugio di montagna. Dopo anni di cenoni con gli amici a Monza e un'avventura nella storia e nei colori di Napoli, abbiamo deciso di trascorrere l'ultima notte del 2015 lontano dalle città, in cerca di aria pulita e di una festa in stile montanaro al rifugio Griera, a poco più di 1700 metri sul versante sud del Monte Legnone. 
In realtà, i posti letto erano già tutti prenotati, così Serena, proprietaria di questo bell'angolino panoramico, ci ha sistemati in un bivacco poco lontano. Il casotto non ha né bagno né riscaldamento, ma con i sacchi a pelo invernali e abbastanza vino in corpo non sarebbe stato un problema.
Lasciata l'auto poco sopra Pagnona, ci siamo incamminati sulla mulattiera che in due ore e una ventina di tornanti conduce al rifugio, attraversando un bosco di faggi. Ora, sapete bene che io e lo sport siamo nemici da sempre, così questa camminata, semplice per chiunque sia abituato a un po' di movimento, è stata per me una sfida infernale. Non è una salita ripida e l'insolito clima mite di questi mesi l'ha tenuta libera da neve e ghiaccio, eppure è stata devastante per i miei muscoli dimenticati, per i miei polmoni di città e per le spalle disabituate al peso di uno zaino inadatto al trekking.
Sì, mi avete vista attraversare a piedi giungle tropicali per giorni interi di cammino senza lamentarmi, ma la montagna non è la stessa cosa. Nebbia e nuvole basse non mi hanno nemmeno concesso la distrazione del panorama, aumentando disagio e fatica per gran parte del percorso. 
Avvicinandosi al tramonto
A pochi tornanti dal rifugio, però, il bosco si è aperto su un cielo limpido al di sopra delle nubi, giusto in tempo per regalarci lo spettacolo dell'ultimo tramonto dell'anno. Le cime intorno a noi sembravano prendere fuoco e galleggiare come isole su un mare di nebbia. Ci siamo fermati a fotografare quel paesaggio che cambiava forma rapidamente come il cielo cambiava colore. Contemplare un panorama fiabesco mi ha fatto riprendere fiato. Rimaneva da affrontare l'ultimo tratto che è il peggiore perché, quando vedi le finestre illuminate del rifugio sopra di te e pensi che ormai manchi poco, i tuoi sforzi diventano inutili. Come in quegli incubi in cui corri per raggiungere qualcosa o fuggire da qualcosa e resti fermo, così mi sembrava di camminare all'infinito senza avvicinarmi all'obiettivo. Farà sorridere i veri camminatori, ma io ero davvero stremata quando ci siamo fermati a dare uno sguardo al casotto dove avremmo passato la notte e il rifugio distava ancora un paio di tornanti. Il TdC mi ha vista talmente in debito d'energia che ha portato il mio zaino per quegli ultimi terribili metri. Quando finalmente siamo giunti alla porta del Griera, mi sentivo come se avessi scalato l'Everest. Sono ufficialmente una sfigata.
Salutata Serena, un maschiaccio dal forte accento bergamasco che era al lavoro in cucina, ci siamo dati una ripulita e ci siamo cambiati, prima di raggiungere gli altri ospiti nella sala. I nostri compagni di festeggiamento erano un gruppo di ventiquattro membri di un'associazione di nordic walking, un trio di coraggiosi arrivati in mountain bike e tre ragazzi che avrebbero condiviso il casotto con noi. 
Il rifugio era piccolo e caldo e ci siamo concessi una merenda a base di tè e torte fatte in casa, mentre un gattino grigio girava tra le sedie facendosi coccolare da tutti. Scaldati e rifocillati, abbiamo iniziato a fare la conoscenza dei nostri compagni. Pronti a trascorrere con noi la notte nel bivacco c'erano Angela, Clara e Riccardo, amici appassionati di montagna e, per nostra fortuna, simpaticissimi. Angela è la più esuberante e, come il TdC, attacca bottone con chiunque senza problemi entrando subito in confidenza con l'intera brigata. 
La tavolata del Cucù
In attesa del cenone, alcuni dei ventiquattro ci hanno invitati a giocare a Cucù. Ora ve lo spiego così potete giocare anche voi. 
Per partecipare, ogni giocatore versa un euro che va a formare il montepremi finale e riceve in cambio cinque fiches. Da un normale mazzo da quaranta carte, il mazziere distribuisce una carta ciascuno da tenere coperta. Lo scopo di ogni mano è non rimanere con la carta più bassa del tavolo, così il primo giocatore guarda la propria e, se ha un numero basso, la scambia con il giocatore successivo, senza mostrarla. Chi riceve la carta sa quale ha ceduto in cambio, di conseguenza può decidere se passarla nuovamente al compagno successivo o tenersela, se più alta della precedente. Il ricevente non può rifiutare lo scambio, a meno che non abbia un re. In quel caso, dice cucù ed è salvo. Il turno passa al giocatore successivo e il giro di scambi termina al mazziere che può selgiere di scambiare la propria con altra pescata dal mazzo. A quel punto si scoprono le carte, chi ha la più bassa paga con una fiche e si ricomincia con nuove carte. Chi esaurisce le fiche esce dal gioco e così via, finché l'ultimo rimasto vince il malloppo versato all'inizio. Dopo i primi giri, la competizione cominciava a farsi sentire e, tra strategie, sguardi di fuoco, imprecazioni e risate, siamo arrivati alla sfida a due: Angela contro il TdC che, alla fine, ha intascato gli undici euro di montepremi con la fortuna del principiante.
Alle otto, divisi in tre grandi tavolate, ci siamo dedicati a un cenone così ricco che eravamo già sazi dopo antipasti e primi. Il vino scorreva tra chiacchiere e racconti. Mi ha ricordato un po' l'Oktoberfest, dove si condividono i tavoli con sconosciuti che in breve diventano amiconi. 
Il tempo è volato tra cali di tensione che lasciavano la sala al buio, applausi a Serena e ai suoi collaboratori, foto di gruppo, scherzi; è volato tra i cappellini piumati e luminosi delle signore del nordic walking, le cravatte di lustrini dei loro mariti e battute sulla nostra notte al bivacco senza luce né riscaldamento. L'alternativa era rimanere a dormire nel salone dopo la festa, ma non volevamo doverci alzare presto per far spazio alla colazione.
La tradizione del rifugio vuole che alle 23,30 tutti gli ospiti firmino la nuova bandiera italiana che viene issata sull'asta il primo mattino di ogni anno. Per un anno intero, i nostri nomi sventoleranno sotto il Legnone, celebrando anche la mia impresa di salire lassù.
Verso mezzanotte, Serena ha acceso la radio per sentire il conto alla rovescia. Tre... due... uno... brindisi! Grida di auguri, baci e strette di mano si rincorrevano intorno a fette di panettone e biscotti fatti in casa. Siamo usciti a guardare i fuochi artificiali che si levavano in lontananza dal Lago di Como e le stelle che riempivano il cielo terso.
La festa è continuata con balli e grappe, ma a un certo punto io e Clara ci siamo arrese e siamo scese per prime al casotto, illuminando il sentiero con le torce. Per mia fortuna, Sabina, collega del TdC che ha fatto trekking dall'Himalaya alla Lapponia, mi ha prestato un sacco a pelo fantastico. Sono stata l'unica a non aver bisogno dell'aggiunta di coperte. Grazie! 
I nostri letti al mattino
Credo di essermi addormentata di colpo, ubriaca e stremata. Intorno alle due, però, sono arrivati gli altri e, a sorpresa, con loro c'erano i tre ciclisti. Inizialmente, avrebbero dovuto alloggiare all'altro bivacco, più piccolo, ma dotato di caminetto. Il problema è che, accesso il fuoco, la trave sopra il camino ha cominciato a bruciare riempiendo la stanza di fumo. Così, Serena li ha dirottati da noi, visto che c'era qualche posto libero lasciato da rinunciatari dell'ultimo momento. Le lamentele dei tre mi hanno tenuta sveglia per un po', ma il resto della notte è trascorso abbastanza tranquillamente, a parte le ventate gelide che arrivavano dalla porta quando qualcuno usciva per fare pipì. Nel dormiveglia mi sono accorta della luce dell'alba che entrava dall'unica finestrella ed ero tentata di uscire a fare un paio di foto, ma mi sono girata e riaddormentata in un attimo. 
I ciclisti se ne sono andati per primi, senza nemmeno salutare. Noi cinque, invece, ci siamo alzati ben oltre le dieci, perdendoci il rito della nuova bandiera messa all'asta. Riordinato il bivacco e preparati gli zaini, siamo saliti di nuovo al rifugio per la colazione con le ottime marmellate preparate da Serena. 
Il gruppo dei camminatori era già pronto alla discesa, mentre Angela, Clara e Riccardo stavano pensando di salire in cresta al Legnone, per me assolutamente fuori discussione. Ci siamo scambiati indirizzi mail e numeri di telefono, abbracci, auguri e saluti, ed era ormai mezzogiorno quando il TdC e io abbiamo ripreso il sentiero. Scendere mi è pesato molto meno anche se continuavo a maledire il mio zaino. Dal cielo azzurro sopra il Griera, siamo tornati alla foschia delle valli e, infine, in città. Malgrado l'incubo della salita, ma l'avevo messo in conto, sono contenta di aver passato il Capodanno in questo modo, diverso dalle solite feste cittadine. Anche se siamo stati fuori solo una notte, è stato bello allontanarsi, partire, come quando andiamo in viaggio. In fondo, io e il TdC insieme stiamo bene dappertutto.

Felice 2016!

P.s. L'album delle foto è nella lista delle Foto de passacc con il contributo degli scatti di Riccardo!