lunedì 10 giugno 2019

Decompressione fallita


La mattina in cui abbiamo salutato il Kalimantan siamo atterrate a Jakarta dove, due ore dopo, avremmo preso un altro volo per Denpasar sull'isola di Bali per trascorrere un periodo intermedio tra la natura sfolgorante del Borneo e il grigiore delle città che ci aspettava a casa. Ci serviva qualche giorno spensierato per attutire l'impatto, un po' come la lenta risalita dei sub dagli abissi che si fermano per tappe di decompressione. 
Il brutto degli aeroporti internazionali, come quello di Jakarta, è che sono enormi e ci vuole tempo per spostarsi da un gate all'altro. Mentre aspettiamo i bagagli, chiediamo informazioni e scopriamo di dover cambiare terminal, ma c'è lo Skytrain, navetta gratuita su rotaia che collega i tre terminal con la stazione dei treni che vanno in città. Ci ha salvato la vita, evitandoci corse a perdifiato, anzi, ci è avanzato il tempo di pranzare. È vero, parlo sempre di cibo, ma guardate cos'ha ordinato Feddi: una montagna di sorbetto al melone con pezzi di mango!


Nel primo pomeriggio, atterriamo a Bali e ci sembra di essere arrivate su un altro pianeta. La personalità dell'isola, se le isole hanno una personalità, si avverte immediatamente perché l'aeroporto è decorato con fregi tipici dell'induismo locale e, cosa che ha molto colpito le mie compagne, perfino il parcheggio multipiano è abbellito da piante e fiori.
A parte la bella accoglienza, però, la decompressione comincia male, confermando la nostra sfortuna con i taxi: il tassista più lento del mondo sommato al traffico dei dintorni di Denpasar ci porta a destinazione nel doppio del tempo preventivato. Se non altro, è onesto sul prezzo e ci scarica nel posto giusto: all'ingresso di un vicolo di Ubud in fondo al quale si trova il nostro albergo. 
Avevo scelto un bed & breakfast con piscina per le giornate più calde, vicino al centro, ma abbastanza defilato da non risentire del traffico e della gente. Per essere tranquillo, il Suarsena Bungalows, è tranquillo e la posizione è ottima per girare Ubud a piedi, ma per il resto è un disastro. Tanto per cominciare, ci assegnano due stanze lontane tra loro, non solo su piani diversi, ma proprio in due edifici diversi. Chiedo subito al ragazzo in reception se è possibile avvicinarci, inventando mi che abbiamo i bagagli condivisi e dovremmo fare su e giù per le scale in continuazione. Mi assicura che il giorno dopo provvederà e, per il momento, ci accontentiamo.
Fra & Feddi, vista dalla piccionaia
Feddi e la Fra finiscono "in piccionaia", cioè una stanza nel sottotetto bollente che però ha una vista panoramica magnifica; Sonia e io, due piani più giù nella palazzina accanto, abbiamo una camera più fresca, ma manca l'acqua calda. Entrambe le stanze sono sporche, il letto di Sonia non è stato rifatto, la piscina non sarebbe male se non fosse a ridosso delle stanze e della reception in un cortiletto minuscolo, gli asciugamani sono ingrigiti (per fortuna avevamo i nostri), il personale è composto soprattutto da ragazzini ipnotizzati dagli smartphone che parlano a malapena inglese e sono quindi incapaci di rispondere alle nostre richieste (fargli capire che vogliamo lenzuola pulite è stato così faticoso che ero tentata di andarle a comprare), gli addetti alla reception sono sempre diversi e pare non si passino le informazioni così bisogna ricominciare da capo a spiegare cosa non va, infine, scopriremo il mattino dopo, la colazione è così scadente che la faremo fuori tutti i giorni. Non so proprio da dove vengano le recensioni positive che avevo letto su questo posto quando ho prenotato, credo sia stato lasciato andare col tempo perché la struttura in sé sarebbe anche bella, tipica balinese, basterebbe un po' di cura, manutenzione, pulizia per farne un buon albergo e magari formare un pochino lo staff in modo da dare un servizio decente, anziché sfruttare ragazzini che ti guardano perplessi quando chiedi un rotolo di carta igienica. 
Dunque, alloggio bocciato, tuttavia ci diciamo che dobbiamo soltanto dormirci e usciamo a passeggio per il centro. Sono impaziente di mostrare alle ragazze le vie che ho percorso tante volte e lo stile di vita che mi ha conquistata tra templi e risaie. Nei miei ricordi, Ubud era una cittadina affascinante e tranquilla, lontana dalle spiagge e dal turismo di massa, famosa per l'arte e l'artigianato, che conservava lo spirito tradizionale di Bali con le sue cerimonie indù e il mercato che convivevano in un'atmosfera serena. Era così la prima volta che ci sono stata nel 2010 ed era ancora così due anni fa l'ultima volta che l'ho lasciata, ma non lo è più e non mi aspettavo che Ubud avesse subito una tale trasformazione in poco tempo. Veniamo inghiottite da marciapiedi affollati e vie talmente trafficate che è un'impresa attraversarle perché, scopriamo, maggio è già periodo di alta stagione e i fatica a incontrare un balinese tra i turisti. Australiani, inglesi, francesi, americani, giovani, anziani, famiglie con bambini... Eccheè 'sto casino?
Cerco di portare le ragazze verso i luoghi che ricordavo belli, ma il caos rende irriconoscibili anche gli angoli più tipici. Non riesco a trovare un locale dove servano il caffè indonesiano perché ormai hanno installato tutti la macchina per l'espresso, dopotutto è quello che chiedono i turisti; i ristorantini che frequentavo sono stati sostituiti da cocktail bar alla moda e nei menù si trova pizza ovunque. Le usanze, le tradizioni, lo stile di vita rilassato che rendevano Ubud unica e interessante sono stati sacrificati in nome del turismo di massa. Se vuoi un espresso, te lo bevi al tuo paese: qui il caffè si fa in un altro modo! Altro che decompressione...
Sono delusa e mi intristisco pensando che non era questo che desideravo mostrare alle mie amiche e che non valeva per nulla la pena di lasciare il Kalimantan per quello che mi sembra un centro commerciale all'aperto. Che fine ha fatto la Bali autentica?
La risposta nei prossimi post e anche le foto, per non spoilerare.

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