venerdì 7 aprile 2017

Vivere alla balinese

Quando ho cominciato a viaggiare ho scoperto la reale dimensione delle cose. Viste da casa, alcune sembrano più grandi, altre più piccole, poi le vedi, le incontri, le conosci e ti sorprendi di quanto fosse distorta la tua precedente visione. Perché si realizzi una scoperta, però, è necessario aprirsi a un luogo sconosciuto. E un luogo non è soltanto un dove, ma anche un come, un chi e un perché. È fatto di suoni, odori, colori, voci, sapori, panorami, persone, architetture, situazioni, animali, temperature, usanze, parole, piante, armonie e discrepanze. Tutto questo, e molto ancora, ci fa amare o detestare un luogo. 
Secondo la mia idea di viaggio, non hai viaggiato se non torni con un po' di quel luogo addosso e dentro, se non ti sei lasciato un po' cambiare e non per forza in positivo perché puoi tornare arricchito, ma anche sentirti derubato di tempo e denaro. Non sto mitizzando il viaggiare, è un'esperienza e come ogni esperienza può farci bene o male, ma se non ci fa nulla, allora non l'abbiamo vissuta.
Vi racconto tante cose belle, ma Bali non è il paradiso, è piena di problemi come ogni altro luogo al mondo. Io, però, cerco quello che ogni luogo ha da offrire di bello e spesso lo trovo.

stop ai cattivi
In questi giorni ho preso una stanza in affitto presso una famiglia balinese appena fuori dal centro di Ubud e quello che sto vivendo insieme a genitori e figlia è qualcosa che nessun albergo a cinque stelle potrebbe darmi. 

Aggiungo qualche foto in fondo all'album di Ubud per mostrarvi la casa e gli eventi di questi giorni, ma sapete che ritrovate tutti gli album nella pagina foto de passacc, vero? 
L'abitazione è di quelle tradizionali. Si accede attraverso un vialetto strettissimo e ci si trova davanti una statua con la mano alzata nel gesto di impedire l'accesso agli spiriti maligni che, secondo il mito, sanno camminare solo diritto e, trovandosi la via bloccata, sono costretti a retrocedere. Quelli benigni, invece, girano intorno alla statua ed entrano. All'interno, sembra di trovarsi in un villaggio di casette minuscole, a un solo piano, con i tetti di tegole alti e spioventi, ognuna rialzata di uno o due gradini, ognuna con una veranda e i pavimenti di piastrelle colorate. In realtà, le singole “casette” sono le stanze che compongono la casa e sono collegate da vialetti scoperti, lastricati e decorati. Se piove, insomma, si corre sotto l'acqua dalla cucina al salotto, dal bagno alla camera da letto. Un'area del cortile è destinata al tempio di famiglia dove si celebrano i rituali quotidiani, mentre per le preghiere comuni nei giorni di festa si va in quello di Monkey Forest.

scorcio di casa
La famiglia mi ha accolta con un calore e una gentilezza che vanno oltre il normale rapporto inquilino/padrone di casa. La figlia, Atik, parla un buon inglese e abbiamo chiacchierato, anche mentre mi accompagnava in motorino a Denpasar a ritirare il mio passaporto (evviva! Nel fine settimana pubblicherò un post con tutto l'iter) e, tra le altre cose, si è detta dispiaciuta perché alcuni clienti su internet hanno lasciato cattive recensioni perché la stanza è piccola e non offre i servizi di un hotel. Allora io mi chiedo perché non abbiano prenotato un hotel. Certo, è una sistemazione un po' spartana, ma l'ho scelta proprio per vivere "alla balinese", svantaggi compresi. In cambio, però, pago poco e guadagno in esperienza e affetto.

il nostro penjor
Mercoledì era la festa di Galungan, una delle tante ricorrenze religiose dell'isola, e nei giorni precedenti ho assistito ai preparativi  in casa e dai vicini. Ogni famiglia costruisce un lungo palo ricurvo di bambù chiamato penjor al quale si appendono decorazioni fatte a mano con foglie fresche e secche intrecciate e piegate in forme geometriche, noci di cocco, spighe, riso, tutti prodotti della terra perché il penjor simboleggia la benedizione di Madre Natura. Se ne innalza uno davanti a ogni casa e così le strade si trasformano in gallerie d'arte dove ammirare creazioni tutte diverse. I turisti non sono ammessi all'interno dei templi se non vestiti adeguatamente con gli abiti tradizionali, così Atik mi ha prestato una sua camicia e un sarong - gonna tipo pareo però di tessuto più pesante - di sua madre che è un po' più alta, ma in compenso ho dovuto avvolgermelo intorno diverse volte perché troppo abbondante, sembravo un pacco regalo. Il padre mi ha detto di raccogliere i capelli così da poterci infilare dei fiori, ed eccomi pronta per uscire con loro. In quale albergo ti trattano così? 

vestita a festa
Siamo arrivati al tempio grande di Monkey Forest tra alberi, macachi e turisti curiosi per il grande afflusso di fedeli, sorpresi di notare una donna occidentale che entrava assieme ai balinesi. Per rispetto, all'interno del tempio non ho scattato fotografie e mi sarei anche fermata fuori dal cortile più interno dove si tiene la preghiera comune, ma Atik ha insistito per farmi entrare: "Ci mettiamo in fondo e se vuoi ti spiego come pregare con noi." Che emozione! Il cortile traboccava di gente inginocchiata ognuno con il proprio cestino per il rituale, Atik e suo padre hanno condiviso il loro con me. All'inizio si accendono bastoncini d'incenso che si incastrano tra le pietre del selciato e ci si "lava le mani" nel fumo profumato che si leva lento nell'aria umida. Purificate le mani, si congiungono all'altezza della fronte, tenendo i gomiti larghi, e si mantiene questa posizione per qualche secondo, finché la campanella del mastro di cerimonia smette di suonare. Si ripete il gesto con un fiore tra le dita preso dal cestino. Poi ancora una volta tenendo una foglia di palma ripiegata a cono che contiene una moneta, fiori e foglie. Di nuovo con un altro fiore, e infine a mani vuote come all'inizio. Allora tutti si alzano e cominciano a defluire fuori dal tempio. La cerimonia in sé è abbastanza breve, meno di quindici minuti, considerato tutto il lavoro di preparazione dei giorni precedenti e la quantità di offerte portate al tempio per ingraziarsi gli dei, chili di frutta, riso e fiori da ogni famiglia.

mangia che sei sciupata!
In occasione del Galungan, lo zio ha ammazzato il maiale, un po' come da noi al sud, e ovviamente la mamma di Atik - perdonatemi, ma non ho ancora capito il suo nome - me ne ha offerto un po'. Le ho spiegato che non mangio carne, pesce, eccetera, e ho visto nei suoi occhi quel panico materno oddio, ma mangi abbastanza? Da allora, ogni volta che passa davanti alla mia camera, mi lascia un cesto di frutta e un thermos di acqua calda per farmi il caffè. Per non offenderla, mangio sempre tutto, ma ormai sono così piena di vitamine e caffeina che posso fare il Campuhan di corsa mattina e sera. Pian piano, poi, le sono venute in mente altre cose che posso mangiare: cracker, noccioline, gallette di riso, crostini e li aggiunge alla mia razione. Oggi mi ha portato una vaschetta di riso cotto in una specie di grappa, ora sono anche ubriaca! Tenete presente che nel prezzo della stanza sarebbe compresa soltanto la colazione, mentre ricevo almeno tre di questi "spuntini" al giorno.

Ripeto: in quale hotel ti trattano così?

10 commenti:

  1. Grandissima Simona
    grazie perchè ci fai viaggiare con te provando nuove emozioni

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  2. Sei tra nobili, quando leggo i tuoi racconti mi domando in cosa consista la superiorità presunta degli occidentali. Mi sembrano così vicini all'Assoluto mentre noi cerchiamo il collegamento wi-fi.

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    1. Nel mio mondo ideale non saremmo tutti uguali, ma tutti alla pari. La diversità è interessante, se la rispetti ti accoglie. Ogni scambio dovrebbe arricchire entrambe le parti. La presunzione di superiorità, al contrario, crea sempre conflitto.

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  3. Sei veramente brava a scrivere e raccontare...mi sembrava di vederlo.il rituale mentre lo descrivevi. Hai avuto l'onore e la fortuna di partecipare alla manifestazione..chissà che emozione!!! Continua così

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    1. Sì, è stato bello partecipare da balinese adottiva anziché rimanere fuori con i turisti, mi sono sentita fortunata, privilegiata. Quando posso, anche se solo a parole, mi piace portarvi con me :)

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