lunedì 19 gennaio 2015

One man caravan di Robert Fulton

Adoro leggere avventure d'altri tempi, quando ogni viaggio era un'impresa e c'era ancora tanto da scoprire.
Questo libro, come altri di cui vi ho parlato, rientra proprio nella categoria dei viaggi pionieristici, raccontando forse il primo giro del mondo in motocicletta. Dico “forse” perché nemmeno il protagonista è sicuro di essere il primo, ma nel 1932, quando parte, non si aveva notizia di altri che avessero intrapreso un'avventura simile.
Il bello di One man caravan, come di ogni cronaca di viaggi passati, sta nel gettare uno sguardo sul mondo com'era allora. A quel tempo, Africa e Asia erano frammentate in colonie europee e i confini disegnati a tavolino non corrispondevano a quelli riconosciuti da etnie, tribù, usi e costumi molto più antichi. È interessante vedere, attraverso gli occhi dell'autore, il mondo di ottanta anni fa, quando la Thailandia si chiamava Siam e l'Indonesia era le Indie Orientali Olandesi.
Fulton, ventitreenne americano, parte in moto da Londra e si dirige a Oriente come un moderno Marco Polo con l'obiettivo di raggiungere New York. Parte quasi per caso: per far colpo su una ragazza londinese durante una cena, annuncia di voler fare il giro del mondo in motocicletta e, alla fine, gli tocca mantenere la parola. Parte quindi all'avventura, con in testa le immagini di luoghi descritti nei libri, con gli occhi di un giovane curioso e con una certa predisposizione a cacciarsi nei guai. Finisce in galera innumerevoli volte e se gli dicono di evitare una zona, state certi che farà rotta proprio là.


Descrive un Medio Oriente selvaggio e dalla tradizioni bizzarre, ma assolutamente affascinante:
Nella corte, rischiarata dalle lanterne, ferveva una grande attività. Sulle mura si rincorrevano, in una danza indiavolata, le ombre di uomini e animali. I vecchi patriarchi dai capelli grigi come i bimbetti di pochi anni non concepivano altro tetto che le stelle. Erano gli arabi erranti […] Poco più che nomadi, nutrono un profondo disprezzo per chi dimora in paesi e città, e ancora oggi il loro motto è “solo il somaro vive al riparo”.
Incosciente, ottimista, coraggioso e salvato dall'ironia e dallo spirito di adattamento, l'intrepido americano affronta il suo viaggio con grande rispetto per le culture che incontra. Non parla solo di sé, ma racconta la storia del luogo come l'ha letta o come l'ha sentita dagli abitanti, leggende comprese. È affascinato da paesaggi e tradizioni tanto lontane dal suo quotidiano, riconosce la sua ignoranza e impara da ogni disavventura. Non è sempre sorridente perché non tutto fila liscio, ovviamente, così parla delle sue paure e in qualche occasione s'incazza pure.
Come Agatha Christie, al seguito del marito archeologo in Siria, accettava di dormire tra i topi, Fulton non si fa problemi a rinunciare alle comodità, si adatta senza protestare perché sa di essere ospite “in casa altrui” e nelle mani di un destino imprevedibile. 
Come ho avuto modo di constatare durante le mie escursioni in altri continenti, quasi sempre l'idea che si ha della propria meta si rivela molto diversa dalla realtà: nel nostro immaginario, certi luoghi prendono forma da ciò che sentiamo e leggiamo in proposito, caricandoci di pregiudizi e stereotipi, accade a tutti. Alla frontiera tra India e Afghanistan, Fulton conversa con un pashtun che gli dice:
Anch'io voglio andare in America, voglio andare a New York e Hollywood.”
Hollywood? Ma ci sono posti molto più interessanti di New York e Hollywood. Per esempio...”
Ah no, no!” mi interruppe lui. “A Chicago non ci vado di sicuro. Ci tengo a rivedere l'India prima di morire!”
Mi è piaciuto tanto leggere le sue descrizioni di mete che ho visitato anch'io e scoprire come, ad esempio, le usanze dei Batak sul lago Toba a Sumatra non siano cambiate poi molto, mentre sono rimasta impressionata dal suo passaggio nei pressi del Krakatoa quando naviga verso Giava:
Quella notte attraversammo lo stretto della Sonda e la nave passò vicino al famoso Krakatoa. Fino al 1883 il Krakatoa era un vulcano che sorgeva dal mare. Ma in quell'anno una violenta eruzione lo ridusse in cenere e il vulcano continuò la sua attività sotto la superficie marina. Oggi i gas risalgono per decine di metri e, quando raggiungono la superficie, esplodono in potenti fiammate. È uno spettacolo davvero singolare quell'incendio notturno che scaturisce dalle profondità dell'oceano.
Appena ottanta anni prima che io ci mettessi piede, il Krakatoa era sommerso e lanciava fiammate tra le onde. Io, nel 2013, ci sono sbarcata e l'ho scalato fino a metà dei suoi oltre 800 metri! L'isola è cresciuta, e continua a crescere, a una velocità spaventosa.
Il nostro pianeta è vivo e in continua trasformazione, che sia opera della natura o dell'uomo, i paesaggi mutano, i confini si spostano, le usanze si mescolano e si evolvono, si dimenticano, si perdono e vengono ritrovate.

Viaggiare ci rivela la vera natura del nostro mondo e per questo, anche oggi che tutto sembra a portata di mano e di mouse, vale la pena di partire per scoprire come stanno davvero le cose dall'altra parte dell'oceano. Non vedo l'ora di prendere il prossimo aereo!

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