Sono arrivata a Nairobi sana, salva e, non era scontato, con valigia.
Scusate il ritardo di questo primo post, ma sono stata occupata con cose migliori del computer come potete immaginare.
Prima di parlarvi del Kenya, però, devo raccontarvi del viaggio perché quando parti con qualcuno puoi passare il tempo in compagnia e condividere il peso dei disagi, invece Sonia mi ha mandato da sola e mi sono goduta tutto la sofferenza che ora riverserò gratuitamente su di voi.
Innanzitutto devo ricordarmi di non prenotare mai più voli con scalo a Parigi.
Già l'ultima volta ero stata assalita dal mostro delle code e con due ore a disposizione non ero nemmeno riuscita a fare pipì, ma ero con le mie amiche ed è stato sopportabile. Questa volta, con oltre quattro ore di tempo, è stato lo stesso un incubo, anche se differente.
Lasciamo pure da parte l'irritante giochino per cui a domande in inglese le risposte sono sempre in francese - e meno male che un po' lo capisco - ma quell'aria scocciata dei vari dipendenti dell'aeroporto e delle compagnie aeree nel darmi assistenza e informazioni, cosa che dovrebbe essere il loro lavoro, proprio non mi va giù.
Due ore prima dell'imbarco, i passeggeri del mio volo per Nairobi vengono chiamati al gate per il controllo dei documenti perché dal 2021 bisogna avere il visto in anticipo, non è più possibile ottenerlo all'arrivo. Mi presento al banco e mostro alla signorina il mio visto elettronico sul cellulare. “Ma non l'ha stampato?” mi chiede. No, scusa, si chiama visto elettronico per un motivo perché lo vuoi di carta? Con un sospiro come se mi stesse facendo un favore malgrado il mio dispetto di non sprecare carta, mi dice che va bene lo stesso.
Gironzolo per il terminal, notando dalla segnaletica che in Francia sono gli uomini a cambiare i pannolini (foto qui accanto), bevo un caffè schifoso per 3,50 Euro, trovo da mangiare cracker e pistacchi, rubo tutta l'elettricità possibile ricaricando telefono, computer, e-reader e batteria della macchina fotografica svaccata su un poltrona vista piste e arriva l'ora dell'imbarco.
Anche in aereo mi trovo di fianco una coppia di francesi, per di più anziani e quindi rognosi per definizione. Un vantaggio del veganesimo in aereo è che se prenoti un pasto speciale sarai servito prima degli altri, ma la mia vicina di posto allungava le mani ogni volta che gli assistenti di volo mi porgevano qualcosa. Non esistevo per lei o comunque venivo dopo. Passano con le bevande e chiedono a me, perché partono dal fondo della fila, “Coffee or tea?” e la vecchia, poiché non vuole niente, gesticola per mandare via l'assistente. Allora ho alzato la voce “Tea, please” e lei si è voltata a guardarmi come se mi vedesse per la prima volta. L'assistente sorride mi passa il mio tè. Beccati questa!
Penserete che una che è abituata a dormire con i gatti dovrebbe saper trovare una posizione anche per addormentarsi in aereo, invece avrò riposato due ore, non consecutive, sulle sette e mezzo di volo, con il vecchio che russava e la vecchia che continuava a perdere gli occhiali. Mettiteli in tasca, maledizione!
Così al mio arrivo ero distrutta e incazzata, ma non appena l'auto che è venuta a prendermi ha svoltato nella via del Khweza e ho visto l'insegna che ormai mi è tanto familiare, mi sono lasciata tutto alle spalle ed ero pronta a cominciare la mia vacanza, ma di questo vi parlerò nel prossimo post.
Insomma, esistono anche francesi deliziosi, credetemi, come il mio ex-capo Thibaut e la mia collega Axelle, però continuo a non capire perché quando la hostess che serviva i pasti ha chiesto con un bel sorriso: “Fish, chicken or vegetarian?” la risposta della vecchia è stata: “Poulet.”
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