Ho impiegato un sacco di tempo a terminare il libro di Isabelle Eberhardt, l'ho fatto di proposito perché non volevo che finisse, non volevo abbandonare quel mondo di pensieri solitari, panorami selvaggi, tramonti meravigliosi e albe fredde nel deserto. Avevo voglia di ascoltarla ancora raccontare le storie delle persone che sedevano accanto a lei intorno al fuoco, che cavalcavano tra le dune, che pregavano e soffrivano; storie di schiavi, ladri, prostitute, soldati e autorità religiose che condividevano il deserto con le sue leggi spietate e la sua immensa bellezza.
Isabelle - la chiamo per nome perché ormai la sento un'amica - amava isolarsi e lasciar andare i pensieri e poi sapeva trovare le parole perfette per scriverli così che arrivassero fine a me. Mi sono sorpresa nel riconoscermi tanto nelle sue sensazioni e nel suo modo di percepire la natura e le persone, nelle sue osservazioni sui piccoli dettagli di certe scene di vita, nella sua malinconia serale e negli arabeschi dei suoi ragionamenti sul mondo così appassionati, maturi e moderni. Mi ha porta via con sé in ogni pagina e non ero pronta a tornare a casa da quel viaggio poetico, perciò ho prolungato la magia il più a lungo possibile leggendo poche pagine alla volta, chiudendo gli occhi per ascoltare la sua voce.
Alla fine, però, ho dovuto salutarla con un abbraccio immaginario a questa giovane donna sensibile e coraggiosa che mi ha fatto ricordare quanto sia bello muoversi per il mondo e fermarsi a contemplarlo perché ci entri dentro e ci arricchisca. Mi ha fatto tornare la voglia di viaggiare da sola come raccontavo in questo post, senza il filtro dei compagni di viaggio a smorzare l'impatto con l'avventura, nel bene e nel male. Quei mesi di vagabondaggio solitario mi hanno cambiata tanto, un po' perché quando sei solo non fai altro che pensare e parlare con te stesso - cosa buona in piccole dosi, ma pensare troppo può far impazzire - e un po' perché ho vissuto più intensamente il tempo, la natura e gli incontri, con più emozione e più paura e anche con gioia più profonda non dovendo spartirle con nessun altro. E, come Isabelle, ho sempre avuto bisogno di scriverne per trattenere in qualche modo quei momenti proteggendoli dal trascorrere del tempo, ma anche per buttarli fuori perché troppo grandi per tenerseli dentro.
Allora mi rimetto a progettare partenze e destinazioni e ad esprimere desideri fingendo che le luci degli aerei nella notte siano stelle cadenti, come diceva una canzone del rapper B.o.B del 2010 (tra l'altro l'anno del Viaggione di tre mesi col TdC e un mese con Stè e il Berna, il battesimo che mi ha trasformata da turista in viaggiatrice)
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