Sto leggendo un libro meraviglioso: Nel Paese delle Sabbie di Isabelle Eberhardt.
"Un diritto che ben pochi intellettuali si curano di rivendicare è quello di partire all'avventura, è il diritto al vagabondaggio.
Eppure vagabondare rende liberi e la vita sulle strade rappresenta la libertà.
Un giorno, spazzar via risolutamente tutti gli impedimenti che la vita moderna e la nostra intima debolezza, col pretesto della libertà, fanno pesare sulle nostre azioni, armarsi del bastone e della bisaccia del pellegrino e andarsene!"
Nei primi anni del Novecento, Isabelle parte giovanissima alla scoperta dei Paesi nordafricani, travestita da uomo per viaggiare indisturbata nelle terre dell'Islam che osserva con malinconia trasformarsi e perdersi nell'incontro con l'Occidente colonialista. Lungo la strada scrive appunti, diari, articoli per riviste, racconti, romanzi e lo fa col tono sognante di chi viaggia per abbandonarsi alla meraviglia della scoperta. La sua scrittura è evocativa, poetica nelle descrizioni che mi incantano e mi rapiscono mentre leggo. Forse sono i miei ricordi del deserto in Marocco e in Egitto a favorire l'immersione nell'atmosfera dei suoi diari, forse è la mia passione per i racconti di viaggi d'altri tempi a rendere ancor più affascinanti le sue avventure ai miei occhi, forse l'aver viaggiato da sola io stessa mi fa sentire così vicina ai suoi pensieri, ma di fatto Isabelle Eberhardt sapeva usare le parole e lo faceva in maniera suggestiva e dolce, stimolando con eleganza l'immaginazione del lettore.
"Vestita come si conviene ad una ragazza europea, non avrei mai visto niente, non avrei avuto accesso al mondo, poiché la vita esterna sembra essere stata fatta per l'uomo e non per la donna."
Sotto la falsa identità maschile, Isabelle lavora e viaggia in Tunisia, Algeria e Marocco affidando i suoi pensieri segreti a ogni pezzo di carta disponibile. Provo una grande ammirazione per questa ragazza innamorata dei tramonti e dei silenzi che è partita da sola, a ventidue anni, sfidando le convenzioni sociali, le paure e i pregiudizi per vivere la sua favola vagabonda, con il solo obiettivo di soddisfare liberamente la propria curiosità, abbandonandosi al fascino della vita che scorre attraverso paesaggi sconosciuti e incontri casuali. Lontanissima dall'arroganza del turista moderno che compra e passa con indifferenza, e pure dalla spavalderia adolescenziale dei backpackers in cerca di sballo esotico e avventure da letto che ho trovato in altri libri di viaggio, Isabelle viaggiava emozionandosi e sognando, osservando ogni dettaglio, riflettendo e interrogandosi, in altalena tra eccitazione e malinconia, con la mente sempre aperta e il cuore in empatia con la natura e le persone.
"Andavo là, dove non conoscevo nessuno, senza scopo e senza fretta, soprattutto senza aver fissato un itinerario... Il mio spirito era calmo e aperto a tutte le dolci sensazioni che si provano arrivando in un paese nuovo."
Isabelle Eberhardt ha perso la vita appena ventisettenne durante un'inondazione in Algeria e si dice che non abbia nemmeno tentato di fuggire, che abbia accettato il suo destino come aveva sempre fatto, in pace con se stessa e col viaggiare. Mi domando quante altre avventure avrebbe potuto raccontarmi se fosse vissuta più a lungo e, chiudendo il suo diario, provo gratitudine e nostalgia.
"Ogni proprietà ha dei confini. Ogni autorità è limitata da leggi. Ora, il vagabondo possiede tutta la vasta terra il cui limite è l'orizzonte irreale, e il suo impero è inviolabile, poiché egli lo governa e ne trae gioia nel proprio intimo."
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