venerdì 5 giugno 2015

Disavventure e belle sorprese

Ci sono molti modi di viaggiare:in auto, in treno, in aereo, a piedi, in moto, in bicicletta, con la fantasia e attraverso i racconti di altri viaggiatori. Vi ho parlato spesso dei libri di viaggio che mi sono piaciuti e mi hanno ispirato, ma ce ne sono due, nella mia personale biblioteca, che mi hanno fatto venire voglia di coinvolgere altri viaggiatori in un gioco di ricordi.


“Era meglio se stavo a casa!” e “Dove sono finito? Storie inaspettate da luoghi inaspettati” sono raccolte dei racconti di viaggio di scrittori, giornalisti e avventurieri che trattano due diversi temi: il primo è un'antologia di disavventure ed esperienze disastrose; il secondo è una collezione di momenti di “disorientamento” per la bellezza, la stranezza o la particolarità di un luogo o di una situazione incontrati durante un viaggio. Mi sono divertita molto nel leggere queste esperienze di sciagure e belle sorprese, così ho pensato a quali, tra i miei ricordi, avrebbero potuto far parte di queste due raccolte e, allo stesso tempo, mi è venuta voglia di sentire altre storie del genere.

Ho quindi pensato di raccontare i miei due momenti e invitare altri viaggiatori a raccontarmi i loro. Mandatemi i vostri ricordi per “Era meglio se stavo a casa!” e “Dove sono finito?” all'indirizzo simopassacc@gmail.com , magari corredati da una foto e, se avete un blog, aggiungete il vostro link. Pubblicherò un post (o più di uno se dovesse servire più spazio) con tutte le vostre disavventure e belle sorprese in modo da continuare il gioco di ricordi cominciato con questi libri.
In attesa delle vostre storie, ecco le mie.

“Era meglio se stavo a casa!” Devo dire che mi è capitato raramente di pensarlo perché, anche nei momenti peggiori, un viaggio è sempre un'emozione irrinunciabile. Sono quasi stata trascinata via dalla corrente di un fiume a Sumatra, mi sono slogata una caviglia cadendo da un marciapiede a Bali mentre stavo per partire per l'Australia, sono stata in pronto soccorso ad Adelaide per un'infezione, ho letteralmente nuotato nella foresta del Borneo durante un acquazzone con l'acqua alla vita e lo zaino fradicio sulle spalle, ma niente di tutto questo mi ha fatto apprezzare meno quelle mete. 
Un momento, però, in cui davvero non vedevo l'ora di andarmene è stato durante una notte a Medan nel 2010, prima del volo da Sumatra a Bali. Quella è stata una notte infernale, trascorsa in una piccola stanza d'albergo in un sottoscala senza finestre, con un caldo insopportabile, la tv del custode alla reception (al di là della parete del letto) che andava a tutto volume nonostante le nostre lamentele, la camera sudicia che puzzava di muffa, un bagno impossibile da descrivere. Pregavo che arrivasse presto l'alba per andarmene in aeroporto. Preferisco mille volte dormire nel fango della giungla che nella sporcizia di città. Per fortuna, è stato solo per una notte e non ho pensato a fotografare quel luogo da incubo per mostrarvelo: volevo solo scappare!

“Dove sono finito?” Nel 2013, atterrati in Kalimantan, la parte indonesiana dell'isola del Borneo, io e il TdC abbiamo trovato Ponco, la nostra guida locale, ad attenderci in aeroporto. Per raggiungere la nostra sistemazione in mezzo alla giungla, ci aspettava un lungo percorso sul fiume, ma la barca non era ancora pronta. Per passare il tempo, Ponco ci ha proposto di fare tappa al matrimonio di un suo amico. Immaginate noi due, in arrivo da 14 ore di volo dall'Italia, dopo una notte a Jakarta e un altro volo, in sandali e occhiaie, già sudati per il clima tropicale, imbucati a un matrimonio musulmano tra sconosciuti. La festa era aperta a tutto il villaggio e alle 11 del mattino il buffet di piatti tipici era già aperto. Siamo stati accolti con grande gentilezza e ospitalità da donne in abiti bellissimi e uomini eleganti che, però, non facevano caso al nostro abbigliamento, forse perché era già abbastanza strano trovare degli occidentali alla cerimonia. Anzi, ci hanno trattati da vip, visto che la coppia, insieme ai genitori degli sposi, ha insistito per farsi fotografare con noi sul palco. Nella foto palesemente ci stiamo domandando Dove sono finito?


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