Dopo i luoghi peggiori in cui ho dormito, ecco un elenco delle disavventure che mi sono capitate in giro per il mondo. Alcune sono attribuibili alla sfortuna, altre me le sono più o meno cercate, altre erano disgrazie prevedibili perché viaggiando in povertà spesso la sicurezza è una scommessa.
Disavventure mediche
Un dente del giudizio ha pensato bene di fare la sua comparsa mentre ero in Thailandia nel 2010, proprio all'inizio di un viaggio di quattro mesi lontanissima da casa. Mi faceva tanto male che faticavo ad aprire la mascella per mangiare e tutti sapete quanto io ami mangiare. Era una tortura: riuscivo ad aprire la bocca di appena un centimetro per infilarci dentro il cibo a forza. Alla fine sono andata in farmacia dove mi hanno venduto degli antidolorifici in pillole sfuse che mi hanno fatto superare la settimana (ho poi tolto il dente una volta tornata a casa e, per la cronaca, non me ne sono mai spuntati altri.)
Lo stesso anno, io e il TdC stavamo salutando la splendida Bali esplorata in motorino per spostarci in Australia. Il giorno del volo Denpasar - Perth abbiamo lasciato la nostra stanza a Ubud e, carichi di bagagli, ci siamo diretti alla fermata dell'autobus per l'aeroporto. Avevo lo zaino grande sulla schiena e quello piccolo davanti, quindi non vedevo dove mettevo i piedi. I marciapiedi di Bali sono altissimi perché sotto passano i canali di scolo, indispensabili durante le abbondanti piogge, e la manutenzione non è delle migliori, ma è stata la mia imprudenza di camminare alla cieca a farmi mettere un piede in fallo e sono caduta stortandomi la caviglia destra. Me ne stavo per terra con un dolore tremendo e il TdC che mi sgridava: "Ma non hai visto il buco??" Per nulla al mondo, comunque, avrei perso l'aereo, quindi, usando l'ombrellino comprato al lago Toba come stampella, mi sono rimessa in piedi e siamo arrivati in aeroporto. Lì ho preso del ghiaccio da un bar e l'ho tenuto sulla caviglia fino alla partenza. Il TdC spingeva il carrello con i bagagli e io lo seguivo reggendomi sull'ombrellino, corto come il bastone da passeggio di Frankenstein Jr. Arrivati a Perth, visto che riuscivo ad appoggiare il piede e dunque non avevo fratture, ho tirato avanti con pomata antinfiammatoria e antidolorifici fino a guarigione completa.
Sempre in Australia, ad Adelaide per la precisione, sono stata costretta a ricorrere al pronto soccorso. Ci siamo fermati in questa graziosa cittadina dopo aver esplorato per dieci giorni la costa ovest e saremmo rimasti il tempo di fare il bucato prima di partire per Kangaroo Island. Da un po' avvertivo dolori addominali e un pomeriggio, mentre passeggiavamo per il delizioso centro città, sono diventati così forti che non potevo camminare eretta. Così il TdC mi ha portata in pronto soccorso. Immaginatemi all'accettazione: piegata in due dal dolore davanti a un'infermiera che mi faceva domande con l'accento australiano che mi era incomprensibile anche da lucida. È stata costretta a uscire dal banco e farsi capire a gesti, mimando: "Il dolore sembra più un pugno o una coltellata?" Non so bene come, le ho dato le informazioni sul mio stato e ho anche chiesto se dovessi contattare l'assicurazione prima di farmi visitare, ero preoccupata di trovarmi un conto di migliaia di Euro. Mi ha rassicurata che, grazie agli accordi internazionali, in Australia avevo diritto alle stesse cure mediche gratuite che avrei avuto in Italia. Mi ha accompagnata in reparto dove un giovane medico di origine asiatica mi ha fatto altre domande e un esame delle urine istantaneo. Intanto il TdC aspettava ansioso in sala d'attesa dopo avermi vista sparire dietro una porta da oltre un'ora. Il medico giovane, tornando con i risultati del test, mi dice che ho un'infezione, mi prescrive antibiotico per una settimana e mi dimette dopo avermi somministrato un antidolorifico. Ormai ne avevo provati in ogni nazione. La cosa bella e sbalorditiva è che una settimana dopo, mentre eravamo a Melbourne dalla cara Erin, il pronto soccorso di Adelaide mi ha telefonato per sapere se l'antibiotico avesse funzionato e se avessi bisogno di altro. Che servizio meraviglioso!
Curiosità: un mese dopo, mio fratello ha dovuto portare il Berna nello stesso pronto soccorso perché aveva la schiena bloccata.
Disavventure con l'acqua
Sudata, infangata, accaldata, sfinita da una giornata di trekking durissimo nella giungla del Gunung Leuser National Park nel nord di Sumatra, ho raggiunto la riva del fiume al tramonto. Con me c'erano il TdC, la guida Mbra con un assistente, l'irlandese Paul e il californiano John. Avevamo lottato con sentieri impervi, alberi crollati, scivolate nel fango e arrampicate sulla roccia tutto il giorno in una foresta fitta e meravigliosa che valeva ogni fatica. Sull'altra sponda del fiume, ci aspettava uno scoppiettante falò con la cena e un riparo per la notte, ma restava da attraversare il fiume. Mbra ha caricato i nostri zaini e scarponi su una grande camera d'aria legata a una fune, ci è salito e si è fatto trainare fino alla spiaggia. Mi aveva chiesto se volessi andare con lui, ma stupidamente ho preferito optare per la nuotata pensando di ripulirmi da fango e sudore. Col senno di poi, avrei potuto comodamente lavarmi una volta arrivata a destinazione, ma sul momento, sragionavo per la stanchezza e volevo attraversare a nuoto come tutti gli altri. L'assistente di Mbra ci aveva avvisati che, seppure in quel punto l'acqua non era profonda, la corrente era molto forte, quindi bisognava tuffarsi il più possibile a monte della spiaggia. Il TdC, Paul e John ce l'hanno fatta senza problemi, io ero rimasta per ultima. Maledico ancora la mia imprudenza, non sono mai stata una sportiva e ne ero consapevole, ma a guardare gli altri non mi era sembrata una prova troppo impegnativa. Invece, un attimo dopo il tuffo, ho visto la spiaggia schizzare via davanti ai miei occhi. La corrente era tremendamente potente! Sul momento, però, non mi sono spaventata, ho solo pensato di aver fallito il tuffo. Mentre la corrente mi trascinava a valle, mi sono guardata intorno e ho visto un gruppo di rocce al centro del fiume, così mi sono girata con i piedi in avanti, ci sono andata contro e mi ci sono arrampicata facilmente. Il TdC era nel panico e tutti mi seguivano con sguardi preoccupati gridando istruzioni che non potevo sentire a quella distanza. Sulle rocce, ero stranamente tranquilla perché creavano una sorta di ponte fino alla riva e sapevo di poter saltare da una all'altra senza difficoltà. Ed è proprio ciò che ho fatto. Solo una volta atterrata sulla ghiaia della spiaggia mi sono resa conto del pericolo che avevo appena corso: oltre le rocce, il fiume correva impetuoso verso rapide e vortici. Quell'episodio mi ha insegnato a riconoscere i miei limiti, a dire di no se non mi sento all'altezza della prova e a non prendere decisioni affrettate quando sono stanca.
L'acqua è protagonista di un'altra peripezia, ma questa volta veniva dal cielo sotto forma di abbondantissima pioggia. Era il 2013 e, con il TdC, mi trovavo nel Borneo indonesiano. La stagione delle piogge non era ancora terminata, ma abbiamo sempre preferito viaggiare nei periodi meno turistici per evitare la folla e risparmiare un po'. Avevamo deciso di trascorrere due notti a campeggiare in tenda nella giungla con la guida Poncho, un ranger e un giovane assistente/cuoco. Ci siamo incamminati tra piante e animali bellissimi, però faceva molto caldo e l'umidità sotto la volta degli alberi era soffocante, così, quando ha cominciato a piovere, ne siamo stati felici perché ci avrebbe dato un po' di sollievo. Peccato che abbiamo ringraziato il cielo troppo presto: in pochi minuti, la pioggia leggera si è tramutata in un violento acquazzone e il sentiero si è subito allagato. Dal camminare siamo passati al nuotare in un metro e mezzo d'acqua ed eravamo così impegnati a raggiungere un luogo asciutto che non pensavamo a cosa ci fosse sotto la superficie del lago che aveva improvvisamente inondato il panorama in ogni direzione. Gli alberi spuntavano come isole e la pioggia riduceva la visibilità a pochi metri. Il TdC aiutava Poncho che era un ottimo conoscitore di flora e fauna, ma decisamente poco agile. Io, intanto, cercavo di star dietro al ranger e all'assistente che ci precedevano per portare le tende e il resto dell'attrezzatura da campeggio all'asciutto. Confesso che, malgrado il disagio e la fatica, trovavo la foresta allagata davvero affascinante, un paesaggio da film. Dopo un tempo che ci è parso infinito, finalmente abbiamo raggiunto la piattaforma dove montare la tenda per la notte e il buio è calato rapidamente. Per gran parte della notte ha continuato a piovere e uscire con le torce per fare pipì significava affrontare tutti gli insetti del creato, ma è stato stupendo pensare a dove ci trovavamo e ascoltare i suoni della natura e gli spiriti della foresta prima di addormentarci. Il giorno dopo è spuntato il sole e ci siamo rimessi in marcia con le scarpe ancora umide per continuare l'avventura.
Disavventure meccaniche
Come dicevo, viaggiare al risparmio ha i suoi svantaggi, come utilizzare mezzi vecchi e scassati che possono lasciarti a piedi nei momenti peggiori.
Sono stata su treni e autobus che stentavo a credere mi avrebbero portata a destinazione senza andare in pezzi, ma mi hanno stupita e perfino il Wicked camper, pur consumando chili e chili d'olio, ha fatto il suo dovere fino a Port Douglas.
Nel 2016 ero in Kenya con le Cavallette, quando il nostro pulmino si è fermato in un punto imprecisato e sperduto del parco Aberdare. Eravamo gli unici visitatori quella mattina, il bellissimo Aberdare è meno conosciuto dei parchi solitamente inclusi nei tour organizzati e oltretutto era periodo di bassa stagione. Ci eravamo già inoltrati parecchio con Fred alla guida, seguendo gli elefanti che risalivano le splendide colline boscose, mentre la foschia del primo mattino si disperdeva rivelando un panorama da togliere il fiato. A un tratto il motore del van si è surriscaldato e siamo stati costretti a fermarci nel bel mezzo della riserva. Metà della nostra scorta d'acqua è stata usata per raffreddare il radiatore e Fred, che era responsabile di ben sei passeggere, era abbastanza nervoso perché eravamo ben lontani dall'ingresso e dai ranger che avrebbero potuto soccorrerci. Per fortuna, l'acqua è stata sufficiente a permetterci di ripartire e proseguire quel meraviglioso viaggio.
L'anno scorso, sempre in Kenya, con Fra & Fra, Peris e Junior alla guida abbiamo avuto una serie di incidenti: insabbiati al parco Samburu, impantanati sulla strada per Ol Pejeta e infine il van ha esalato l'ultimo respiro sulla via del ritorno a Nairobi con tanto di geyser di vapore esploso dal radiatore nell'abitacolo. Se per i primi due ci siamo fatti una risata, l'ultimo ci ha costretti ad abbandonare Junior e il van per rientrare in autobus, dopo aver atteso per ore a bordo strada. Era pure il mio compleanno.
Ci sarebbero tanti altri piccoli aneddoti da includere in questa lista, come quando un macaco ha rubato gli occhiali da vista al TdC e se non fosse stato per il provvidenziale intervento di un uomo che glieli ha fatti mollare scambiandoli con una banana, non avremmo saputo come tornare a Ubud visto che lui era cieco e io non so guidare il motorino. Viaggiare comporta sempre dei rischi, ma tutto sommato non mi sono mai trovata in situazioni tanto gravi da rovinare l'esperienza o scoraggiarmi dal partire di nuovo. Anzi, quando ne esci indenne, sono proprio le disavventure quelle che racconti più spesso agli amici.
Il tuo post è stato straordinario! La tua scrittura è di prim'ordine. Continua così e scrivi di più!
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