venerdì 24 luglio 2015

Il lago perduto

La scoperta che esiste un mondo fuori di casa, ai miei tempi, cominciava sfogliando l'atlante. Era un librone alto e pesante quanto i bambini che lo ricevevano in regalo per studiare geografia, solitamente un'edizione De Agostini ordinata per posta.
Si viaggiava tra le pagine puntando il dito sui luoghi con i nomi più strani, seguendo le forme dei continenti, imparando a memoria le capitali, misurando le distanze con due dita dopo aver preso a campione la linea della scala in fondo alla pagina. Si giocava a trovare il monte più alto, il fiume più lungo, il punto più profondo del mare. Le ore volavano tra quelle mappe meravigliose.
Mi ricordo anche quanto mi piacesse quel lago a forma di goccia che spiccava sul paesaggio brullo di un gigantesco territorio che, allora, si chiamava URSS. Era una grossa macchia blu sullo sfondo color deserto di regioni dai nomi strani. Si chiamava lago d'Aral, ma era grande come un mare eppure lontano da tutti gli altri mari. Una stranezza.
Gli anni passano, l'atlante si consuma e finisce nella spazzatura. Avevo quasi dimenticato quel lago, quando sul numero di giugno di National Geographic trovo un articolo che ne parla. 
Così scopro questo:
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Quella bellissima goccia blu che dava un tocco di colore a un paesaggio arido è scomparsa. Il lago d'Aral è morto, anzi, è stato assassinato. Si è prosciugato perché il corso dei due fiumi che lo alimentavano è stato deviato in canali per l'irrigazione. Senza l'originario apporto d'acque, il lago si è trasformato in un deserto di terra e sale, spazzato da venti e turbini che sollevano la polvere in spaventose tempeste. 
A parte la mia delusione sentimentale, questo è un altro disastro ambientale causato dall'uomo e non si tratta di un incidente imprevisto. Quando fu progettata la rete d'irrigazione che avrebbe ucciso il lago, i sovietici sapevano perfettamente a quali conseguenze avrebbe portato. L'omicidio è stato quindi premeditato e volontario. Ci sono foto di navi in secca in mezzo a un deserto dove un tempo si pescava e si navigava. I pescatori hanno perso tutto, qualcuno è diventato un agricoltore forzato.
La storia è piena di scelte umane catastrofiche e il pianeta ne porta i segni come cicatrici. Chissà quante altre azioni sciagurate si stanno consumando mentre scrivo queste righe e nessuno ce lo racconta. 
Non so se i bambini di domani sfoglieranno atlanti o vedranno il mondo solo via Internet, ma ho paura che le mappe del futuro saranno una grande anonima distesa grigia. Niente di interessante da osservare, niente più verde per le foreste e nessuna goccia blu in quei luoghi dal nome strano.

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