mercoledì 3 luglio 2013

Viaggio (nel tempo) di una vecchia metallara

Nella mia vita di fan del rock sono stata a un discreto numero di concerti, il primo, nel 1991, è stato quello di Skid Row e L.A. Guns in quello che ai tempi si chiamava PalaTrussardi e da allora per parecchio tempo le date degli spettacoli delle mie band preferite erano per me i giorni più attesi dell'anno, come ora lo sono le date di partenza dei miei voli. Risparmiavo per i biglietti, sentivo crescere l'emozione nei giorni precedenti e dopo non volevo più tornare a casa, proprio come ora con i viaggi.
Molti dei miei idoli di allora non suonano più o i loro tour non fanno più tappa in Italia oppure sono morti, ma qualche volta capitano ancora da queste parti (quelli vivi ovviamente) e così compro un biglietto per tornare ragazzina. Sul serio, certe serate hanno il potere di farmi viaggiare nel tempo: l'atmosfera e le sensazioni che mi assalgono sono le stesse dei miei migliori ricordi e le ritrovo forti e splendide, assolutamente intatte nonostante il passare del tempo. Riconosci la tua canzone preferita dal primo accordo e non puoi impedire che ti tornino in mente e nello stomaco emozioni d'altri tempi, non puoi fare a meno di cantarla come hai fatto mille volte prima perchè è come riabbracciare un caro amico che non vedevi da tanto.
Ho dei ricordi favolosi di tanti concerti e ho conservato tutti i biglietti, alcuni anche autografati, e ho foto con alcuni di loro grazie alle band di miei amici che spesso hanno aperto spettacoli importanti permettendomi l'ingresso al backstage dove mi aggiravo con un incontenibile sorriso a caccia dei personaggi che popolavano i poster della mia cameretta.
Posso dividere i concerti della mia lista in due categorie: le serate intime (come Savatage o Fates Warning al Rainbow, come Dream Theater a Varese, come Chris Cornell al teatro romano di Verona l'anno scorso) e i grandi eventi (come Monsters of Rock e Gods of Metal, Guns n'Roses e poi Metallica con Megadeth e The Cult allo stadio di Torino, Dream Theater e poi Pearl Jam al Forum di Assago... basta con gli esempi che poi mi commuovo).
All'elenco dei grandi eventi ora posso aggiungere Bon Jovi a San Siro che è stato sabato sera. Il nostro amico Jon ha festeggiato 30 anni di carriera eppure è rimasto lo stesso americanaccio tamarro del primo album ed è proprio per questo che io e altri 50mila abbiamo voluto vederlo.
Prima due appunti negativi: mancava Sambora e mancava parecchio, non tanto alla chitarra perchè a quei livelli i sostituti sono veri professionisti, ma mancava come perfetta spalla di Jon sia nei cori che nell'interazione durante lo show; il secondo appunto riguarda la scaletta che inevitabilmente contava tante, troppe, canzoni nuove che onestamente da It's my life in poi sono calate rovinosamente di qualità e infatti il pubblico le ha lasciate passare senza infamia né gloria (tranne una, ma lo racconto dopo).
Ora veniamo alle cose belle che son state davvero mooolto belle. Tanto per cominciare una scenografia spettacolare come non ne vedevo da tanto, guardate che palco nella foto che ha fatto la Nico!
C'erano 50 mila persone pronte ad esplodere per quelle canzoni storiche che dalle prime note facevano saltare tutto lo stadio. Jon è stato grandioso come ce l'aspettavamo, senza Sambora lo spettacolo era tutto sulle sue spalle, ma è riuscito a tenerci tutti per la gola e per mano, una vera rockstar. Devo ammettere che all'inizio non avevo grandi aspettative considerato che il ragazzo ha da poco compiuto 51 anni, ma dopo essersi scaldato con i primi pezzi si è acceso in tutto il suo splendore cantando benissimo per più di tre ore, ballando, suonando, coinvolgendo tutti con il suo atteggiamento da supereroe della musica (mica a caso il vecchio tatuaggio di Superman sulla spalla e il giacchino di Capitan America che ovviamente quel nerd di mio fratello gli ha invidiato). I vecchi pezzi più famosi sono stati accolti da boati di folla straordinari e tutto lo stadio saltava insieme e io saltavo avanti e indietro nel tempo ubriaca di soddisfazione.

L'unico pezzo nuovo di cui vale la pena raccontarvi è quello che da il titolo al tour, Because we can (obamissimo!), perchè quando hanno iniziato a suonarlo è apparsa sugli spalti la coreografia organizzata dal fan club italiano: il pubblico del terzo anello ha composto con bandierine bianche e blu la scritta Bon Jovi forever mentre dalla balconata pendevano striscioni con le date importanti dei 30 anni trascorsi dal primo singolo della band, sotto di loro bandierine bianche e rosse a comporre con quelle più in alto una sorta di bandiera americana e infine noi nel prato con migliaia di bandiere italiane. Davanti a questa dimostrazione d'amore, il nostro amico Jon si è commosso e ha sbagliato l'attacco della strofa, così ha chiesto ai compagni di fermarsi un attimo, ha ammirato la scena e ringraziato il pubblico con la mano sul cuore senza nascondere la lacrimuccia (da buon terrone ha fatto la sceneggiata!) e ha poi ripreso la canzone dall'inizio. È il re! 
Recitato o meno, è stato un grande spettacolo, quello per cui abbiamo comprato il biglietto. La rockstar ha fatto perfettamente il suo lavoro e, a differenza di altri, l'ha sempre fatto seriamente. Aldilà del talento per lo spettacolo, Jon Bon Jovi è stato negli anni un furbo e oculato imprenditore, si è costruito un impero (lui da solo è più ricco dei quattro Metallica sommati) investendo nella sua band e in altre che ha tirato fuori dal cilindro come Skid Row, Cinderella e Tesla. Gente che cantava e suonava meglio di lui non ha raggiunto o mantenuto lo stesso successo, dipende da come giochi le tue carte e Jon ha saputo farlo al meglio. Sarà il sangue italiano: popolo di santi, poeti e truffatori! Dunque, anche se non era il mio preferito in assoluto, è tutt'altro che uno sprovveduto e se sul palco fa il supereroe è perchè in fondo se lo può permettere. Respect!

Lo sguardo che dai mega schermi puntava su ognuno di noi era quello dei miei vecchi poster e mentre molti suoi colleghi coetanei sono ormai dei rottami, Jon è ancora un bellissimo uomo con quegli occhi blu luminosi tra le rughe, un sorriso da cinema e quando più tardi si è tolto la giacca restando in canotta non mi aspettavo il fisico tonico che ha mostrato.
Il momento migliore della serata, per me, è stata Livin' on a prayer. La prima strofa suonata in versione acustica ci aveva ingannato perchè poi è entrata la batteria ed ecco il classicone che tutti attendevamo. Al primo ritornello è venuto giù lo stadio, sul serio, l'ultima volta che ho sentito un boato del genere a San Siro era per Van Basten (che stava in un altro poster) e avevo la pelle d'oca. Che meraviglia!!
Lo so, non potete capire se non avete avuto i vent'anni che avevo io, ma fidatevi: tutti quei concerti indimenticabili son momenti per cui vale la pena pagare, mangiare panini in piedi, fare ore di coda, passare la notte in treno, prendersi degli spintoni, trattenere la pipì, arrostire sotto il sole o infradiciarsi di pioggia, perdere il sonno, percorrere chilometri, sporcarsi. L'ho fatto per essere ripagata dallo spettacolo di artisti che suonano con passione infinita e lo faccio ancora quando viaggio per esser ripagata dallo spettacolo della natura. Non mi fermo davanti a niente per qualche momento di pura e semplice felicità.
A Jon e al resto della band ancora massimo rispetto e tutta la mia gratitudine per questo straordinario viaggio nel tempo.

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